Arte coloniale

Dalla Francia 26 opere al Benin, dal Regno Unito una: le incertezze nel mercato

Dall'esempio francese e inglese all'ICPRCP dell'UNESCO, quali sono le sfide per i paesi africani e quelle per gli operatori

di Giuditta Giardini

4' di lettura

Il 27 ottobre, alle ore 16, la Francia ha restituito 26 opere alla Repubblica del Benin che erano state sottratte dal Palazzo Abomey alla fine del XIX secolo. La cerimonia si è svolta al Museo del Quai Branly - Jacques Chirac che ospita la più grandi collezioni di opere d’arte indigena provenienti dall’Africa, dall’Asia, dall'Oceania e dalle Americhe. Le opere saranno collocate presso un museo in costruzione ad Abomey. Si stima che una percentuale oscillante tra l'85 e il 90% del patrimonio africano sia fuori dal continente. Secondo gli esperti, più di 90.000 opere d'arte africane sarebbero ancora in Francia: 70.000 sono proprio al Museo Quai Branly e di queste 46.000 sarebbero arrivate in Francia a seguito delle spoliazioni coloniali. Dal 2019, oltre al Benin, altri sei paesi come Senegal, Costa d'Avorio, Etiopia, Ciad, Mali e Madagascar hanno inviato richieste di restituzione alla Francia. Le statue antropomorfe in legno, i troni reali e gli altari sacri della collezione nota come “Tesori di Abomey” sono stati trafugati dall’esercito francese 129 anni fa, attualmente in mostra a Parigi, saranno consegnate al Benin il 9 novembre.

La cerimonia di restituzione del bronzo del Benin

La Francia fa i conti col passato coloniale

L'evento, oltre ad avere un valore materiale, ha soprattutto una grande valenza simbolica, infatti il gesto marca l'impegno del governo del presidente Emmanuel Macron nel riparare alle sottrazioni forzose di opere d'arte dalle ex colonie francesi. Questo impegno è iniziato nel 2017 con una dichiarazione del presidente francese all'università di Ouagadougou in Burkina Faso ed è stato rafforzato attraverso il Rapporto - cosiddetto “rapporto Macron”- commissionato ai professori Felwine Sarr e Bénédicte Savoy che codifica il nuovo trend d'oltralpe. Secondo il professore Kamil Zeidler i casi di restituzione di opere d'arte si muovono entro lo spazio di un tetraedro con ai lati il diritto, la morale, la politica e l'economia. Nei casi di restituzione delle opere d'arte ispirati dal rapporto Macron l'argomentazione morale ha un peso preponderante. Secondo il professore Vincent Negri, intervistato da Arteconomy per Plus del 31 luglio 2021: “il Rapporto ha avuto un impatto interno, in Francia, ma anche un forte impatto esterno portando la questione della restituzione nelle agende degli ex paesi colonizzatori come Germania, Belgio e Olanda”. Secondo il professore francese avrebbe fatto più questo rapporto in poco tempo che la sentenza inglese Barakat del 2007 (che afferma l'esistenza di un principio internazionale di origine pattizia favorevole alla restituzione) “che tutti si aspettavano avesse un impatto sulla giurisprudenza delle corti e che, invece, tarda ad avere”.

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La prima volta del Regno Unito

Dall’altro lato della Manica Jesus College dell’Università di Cambridge sta consegnando alle autorità nigeriane un galletto di bronzo saccheggiato dall’Africa nel XIX secolo. Fa parte di un modesto ma crescente sforzo in alcuni paesi europei per restituire l’arte africana sottratta alle potenze coloniali. Il Jesus College è la prima istituzione del Regno Unito che restituisce uno dei manufatti conosciuti come i Bronzi del Benin. Le forze coloniali britanniche presero la statua di Okukor nel 1897 dalla corte del Benin, nell’attuale Nigeria, e fu data al college nel 1905 ed è tra le migliaia di opere d’arte sequestrate dalle truppe di occupazione. Il college ha rimosso il bronzo dalla vista pubblica nel 2016 dopo che gli studenti hanno protestato, affermando che rappresentava una narrativa coloniale. Il collegio ha istituito un gruppo di lavoro che ha concluso che la statua appartiene all’Oba del Benin, capo della storica dinastia Eweka dell’Impero del Benin. L’Università di Aberdeen consegnerà un altro manufatto saccheggiato al Benin.

Centinaia di bronzi del Benin sequestrati sono finiti al British Museum di Londra e altre centinaia sono stati venduti ad altre collezioni come il Museo Etnologico di Berlino. La Germania quest’anno ha dichiarato che avrebbe restituito gli articoli in suo possesso. Il British Museum ha dichiarato di star lavorando a una collaborazione con la Nigeria, legata alla costruzione di un nuovo museo nel paese dell’Africa occidentale, che consentirà di “riunire opere d’arte del Benin provenienti da collezioni internazionali”. Il museo è anche in un braccio di ferro decennale con il governo greco per la restituzione dei marmi di Elgin del Partenone.Tali ritorni sono controversi in Europa, dove molti musei conservano opere acquisite durante il periodo coloniale.

L’Unesco in campo

Un altro celebrato strumento internazionale per quei casi di restituzione che hanno già esperito tutti i gradi interni di giustizia in un dato paese o i reati per cui si agisce sono prescritti è il Comitato Intergovernativo dell'UNESCO per promuovere il ritorno di beni culturali ai loro paesi di origine o la restituzione nei casi di illecita appropriazione. Lo strumento, composto da 22 Stati Membri dell'UNESCO con un mandato di quattro anno, funziona come un facilitatore per negoziazioni bilaterali cercando punti di incontro tra stati richiedenti e stati richiesti. Anche il Comitato, come il rapporto, si muove sul piano etico-morale delle restituzioni. Per fare un esempio, appellandosi alla morale, l'Italia potrebbe richiedere al Metropolitan Museum di New York la restituzione della biga etrusca, ritenuta, da alcuna dottrina, illecitamente scavata in territorio umbro, ed esportata dall'Italia prima dell'entrata in vigore delle leggi sulla proprietà italiana del sottosuolo.

Il mercato

Del resto un crescente numero di stati africani sta preparando e sottoponendo all'esame del Comitato richieste per la restituzione di opere sottratte illegalmente in epoca coloniale. Il sempre maggior numero di richieste di restituzione in cui la componente morale è preponderante e supera quella giuridica diffonde grande incertezza nel mercato di antichità e non solo. L'irretroattività dei trattati e la prescrizione dei reati hanno fino ad oggi tutelato il mercato dell'arte proteggendo acquisti anche incauti avvenuti in tempi passati. Oggi, con gli stati occidentali più inclini a restituire, i market player stanno vincendo la loro secolare ritrosia (o snobismo) e partecipano ai dibattiti internazionali intervenendo in conferenze e seminari per difendere e tutelare la certezza degli scambi nel mercato dell'arte.

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