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Dalla supply chain alla customer experience: ecco perché non si può fare a meno dei dati

Le interruzioni della supply chain che molte aziende manifatturiere hanno sperimentato nel corso degli ultimi 36 mesi impongono un ripensamento di alcuni vecchi modelli

di Gianni Rusconi

(REUTERS)

3' di lettura

Il fattore vulnerabilità preoccupa almeno da tre anni a questa parte i responsabili del procurement in relazione al rischio di stoppare le produzioni “just in time” a causa della mancanza di materie prime e alla quasi totale dipendenza da reti di distribuzione estese a livello globale. Le interruzioni della supply chain che molte aziende manifatturiere hanno sperimentato sulla propria pelle nel corso degli ultimi 36 mesi, con impatti calcolati nell'ordine delle migliaia di miliardi di dollari, impongono un ripensamento di alcuni vecchi modelli. La ricetta per rendere meno fragili le catene di fornitura, in una situazione di prolungata incertezza, è condivisa da molti addetti ai lavori e a vari livelli del management: i dati.

Un approccio basato sui dati

È di questo avviso anche Filippo Mazzei, Account Executive Manufacturing per l'Italia di Snowflake, azienda americana specializzata nell'ambito delle soluzioni cloud per la gestione dei dati, secondo cui un approccio basato sui dati «può abilitare processi operativi più snelli e sostenibili e una maggiore agilità di reazione di fronte a fluttuazioni macroeconomiche e a una domanda molto dinamica».

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Per raggiungere questo obiettivo, sono a suo dire tre le strategie chiave per sostenere l'attività anche in periodi turbolenti: migliorare la resilienza della supply chain, potenziare gli analytics in una logica di industria 4.0 e ottimizzare la customer experience per generare nuovi flussi di profitto.

Tutti (o quasi) potranno essere d'accordo sul fatto che il processo di fornitura di un qualsiasi bene di consumo, dalla sua fabbricazione fino alla vendita al consumatore finale, è strettamente correlato al livello di collaborazione in essere fra tutte le parti che compongono la supply chain. E senza dati, o in presenza di un utilizzo non opportuno dei dati disponibili, la qualità di questa collaborazione viene a decadere. Dove sta dunque la chiave della questione? Nel fatto che, a detta di Mazzei, «spesso i dati risiedono presso un ampio numero di sistemi appartenenti non solo all'azienda produttrice ma a tutto l'ecosistema di terze parti con cui lavora, tra cui clienti, fornitori e operatori di logistica. Collaborare con i partner dell'ecosistema è quindi un passaggio fondamentale per ottenere maggiore visibilità delle informazioni e identificare le opportunità di miglioramento».

Come combinare i dati

La grande sfida a cui sono chiamate le imprese nel loro complesso (e non solo gli uffici acquisti) per avere una fotografia completa, end to end e in tempo reale dello stato di salute della supply chain consiste nel raccogliere e combinare in modo organico tutti i dati disponibili (anche quelli dei partner esterni) e quindi effettuare le analisi necessarie per identificare rischi e potenziali intoppi sfruttando le capacità dell'intelligenza artificiale e degli algoritmi di machine learning.

Dove sta il vantaggio dell'applicazione della business intelligence al processo di fornitura è presto detto: la maggiore agilità. «La capacità di individuare in modo proattivo un problema o di prevedere un risultato e di agire rapidamente sulla base di queste intuizioni – osserva in proposito il manager di Snowflake - è cruciale per consentire alle imprese di intervenire e modificare i propri piani, per esempio in merito alla sostituzione di un materiale o di un componente con un altro, e di informare i partner di eventuali cambiamenti che potrebbero interessarli».

L’impatto su clienti e consumatori

Se, per ovvi motivi, riveste grande importanza per le imprese manifatturiere l'utilizzo dei dati per massimizzare le opportunità offerte da Industria 4.0 e legate alla trasformazione delle fabbriche in una logica più intelligente (grazie alla sensoristica e alle tecnologie IoT) e sostenibile, altrettanto rilevante è l'impatto che gli stessi dati possono avere sulla customer experience, sulla profilazione dei consumatori, sul livello di personalizzazione di prodotti e servizi o ancora sulla capacità di sviluppare modelli di business completamente nuovi. Opportunità, queste appena citate, che però risultano essere praticabili solo se i dati vengono raccolti, analizzati e utilizzati in modo tempestivo.

Guardando all'immediato futuro, questa la conclusione dell'analisi di Mazzei, le aziende saranno in grado di creare un sistema resiliente, migliorare l'esperienza dei clienti e individuare nuovi modelli per aumentare i profitti se sapranno trarre valore dai dati e condividerli con i partner del proprio ecosistema, superando il limite (comune a tante organizzazioni) di set di dati rigidamente conservati all'interno di funzioni aziendali ben definite, tra applicazioni gestionali per la supply chain, piattaforme ERP (Enterprise Resource Planning), sistemi di produzione e di controllo e altro ancora. Il primo passo da compiere? Eliminare le architetture legacy a favore di infrastrutture cloud più flessibili e consone ai dati generati, in grado di facilitarne l'accesso, l'archiviazione e la fruizione.


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