Dalla Tobagi a Bible: la letteratura affronta la temperie
Il disincanto giovanile, l’iper-narcisismo e la totale mancanza di empatia hanno caratterizzato gli argomenti del festival letterario di Pordenone
di Matteo Bianchi
3' di lettura
Non si tratta più di rappresentare fedelmente la realtà, bensì di rispettarne le correnti intrinseche per interpretarla onestamente, con parole incondizionate. Gli intellettuali di oggi scontano e si scontrano con la dicotomia imposta dall’impulsività dei lettori stessi, senza distinzioni né substrati culturali: a vincere il Premio Campiello è stata Benedetta Tobagi, ospitata domenica scorsa alla ventiquattresima edizione di Pordenonelegge per la sua prima uscita trionfante, mentre uno dei titoli più richiesti nelle librerie del capoluogo letterario friulano è stato ancora “Il mondo al contrario” di Roberto Vannacci.
Due titoli che stigmatizzano, agli antipodi, il disorientamento del presente: se il volume autoprodotto dal generale è assimilabile a una lunga e convulsa opinione, avulsa da un’analisi lucida e organica del contesto sociale a cui fa riferimento, nonché stipata di refusi e strafalcioni, di Tobagi non è trascurabile la finalità morale e quasi testamentaria de “La Resistenza delle donne” (Einaudi). In sostanza, vicino alla sbornia verbosa di Vannacci il saggio terapeutico di quest’ultima si riduce a un “wishful thinking”, per dirla all’anglosassone.
In balia delle non-fiction
Se alcuni critici considerano penalizzanti le giurie “popolari” dei premi, essendo più sensibili ad argomenti etici e politici rispetto alla statura letteraria di un’opera, Tobagi emancipa il ruolo delle cosiddette “staffette” partigiane, spesso fondamentali in missioni ad alto rischio durante la seconda guerra mondiale. Parallela all’autrice c’è anche la ricerca decennale di Alessandro Carlini, che ha dato alle stampe “Nome in codice: Renata” (Utet) e già si rendeva conto del clima di “moralismo e puritanesimo esasperato” in cui queste donne erano cresciute, dovendo vincere così il pregiudizio e la conseguente sopraffazione di una società che le relegava a “mogli, madri e sorelle”. La centenaria Del Din, parimenti alle altre protagoniste della nostra Liberazione, imbracciava un’arma tutt’altro che tangibile per “uccidere l’angelo del focolare” che perseguitava Virginia Woolf, oltre al nemico nazifascista, ma mai rinunciando alla propria spensieratezza, al bisogno di convertire l’incertezza del viaggio in vertigine avventurosa e la paura in senso di ebbrezza.
Il disincanto prematuro
Nella Libreria della Poesia di Palazzo Gregoris, durante il festival, il disincanto dei più giovani è emerso dal “Sedicesimo Quaderno Italiano di Poesia Contemporanea”, pubblicato di recente da Marcos y Marcos e seguito passo passo da Franco Buffoni. Il tema del disincanto, ricorrente sia nella dimensione autoriale sia in quella critica, se da un lato interpreta un’analisi serrata della contemporaneità, dall’altro manifesta il rischio che la mancata stupefazione per la realtà crei uno scollamento tra ciò che si scrive e ciò che è percepibile dallo scritto stesso. Sia l’autore sia il critico, insomma, a certe latitudini, interpretano la presa di distanza dalla meraviglia come una rinuncia alla soggettività che pure si continua a manifestare, persino più preponderante e assertiva di quando non viene messa in discussione. Dalla lingua ai concetti, si perlustra una realtà iper-realizzata che dicendo tutto di sé, abbandona se stessa per convergere nell’unica voce che si può ascoltare: quella di chi scrive, sempre più sola. Lo manifestano i cognomi di “bonolis” e “clerici”, minuscoli e terribili insieme, incapsulati nella “Ghost Track” di Marilina Ciaco quali sintomi dell’effimero che rimarca parodicamente la deriva di ogni spettacolo (e di ogni senso sovraesposto).
Morte per consumo
La perdita drammatica di ogni significato che Annie Ernaux scandisce fatalmente in “Guarda le luci, amore mio” (L’orma, 2022) tra le corsie spersonalizzanti di un centro commerciale, è dovuta a una condizione mercificata dell’esistenza priva di autocritica. Una mancata presa di coscienza che si traduce in equivoci concatenati, in cortocircuiti ed errori madornali, che arriva al tentativo di cancellarsi, dandosi fuoco dentro una chiesa, e finendo per sterminare venticinque ignari in preghiera. Si tratta del lascito di Hell, il protagonista dell’americano Michael Bible in “L’ultima cosa bella sulla faccia della terra” (Adelphi), che nell’auditorium dell’Istituto Vendramini ha incontrato una folla di lettori italiani.
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