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Dalla tragedia greca al western: gli eroi stanchi di Clint Eastwood

Il grande regista americano compie 90 anni: così dieci filosofi analizzano la sua filmografia alla luce dei temi etici affrontati, definendolo «l'ultimo dei classici viventi»

di Serena Uccello

(Reuters)

3' di lettura

Il senso di colpa e la marginalità. Uomini spietati, in primo luogo con loro stessi. Sono gli eroi stanchi del cinema di Clint Eastwood, il grande regista americano che il 31 maggio compie 90 anni. Per ricordare Eastwood e i suoi eroi sopraffatti Cinesophia, il festival di Ascoli Piceno che indaga la filosofia del cinema, ha deciso di dedicare al grande attore la sua quarta edizione, che si terrà in streaming.

Dieci filosofi indagheranno il pensiero filosofico del suo lavoro cinematografico: si parlerà di eroismo con Gianluca Briguglia che analizzerà Trilogia del dollaro; Umberto Curi, massimo esperto della filosofia del regista, parlerà de Il corriere - The Mule; Massimo Arcangeli rifletterà sull'Ispettore Callaghan; Ilaria Gaspari commenterà Brivido nella notte; Cesare Catà, accompagnando la visione di I ponti di Madison County, parlerà di amore romantico e dell'importanza della connessione emotiva nel mondo culturale; Simone Regazzoni indagherà la figura dell'allenatore-filosofo di Million Dollar Baby; Salvatore Patriarca si interrogherà sui meccanismi dell'odio a partire dal film Gran Torino. E ancora, si parlerà di diritti con Angela Azzaro che interverrà su Invictus - L'invincibile; Umberto Croppi approfondirà i temi de Gli spietati; mentre Riccardo Dal Ferro, divulgatore filosofico e youtuber, racconterà il pensiero di Richard Jewell.

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«Possiamo definire Clint Eastwood come l'ultimo dei classici viventi, capace di dare nuova linfa a generi tradizionali della cultura occidentale. Ma c'è molto altro», ci spiega Lucrezia Ercoli, filosofa e direttrice di Cinesophia (braccio cinematografico del progetto Popsophia, laboratorio permanente dove il pensiero critico si contamina con i fenomeni pop della cultura di massa). Che aggiunge: «Eastwood ha una peculiarità ulteriore: riflette in maniera unica (direi assolutamente filosofica) sul senso della vita e della morte, affronta in modo inedito temi etici complessi che danno da pensare alla filosofia. Eastwood ci pone di fronte alla fatica della scelta etica, atti che sfuggono alle logiche razionali della morale convenzionale. Gli eroi di Eastwood seguono la propria vocazione e il proprio desiderio. Non si rassegnano e scendono in campo, anche se il mondo finirà per travolgerli, anche se subiranno lo scacco del destino, anche se saranno sconfitti, anche se non c'è salvezza. I suoi film tratteggiano con maestria la meravigliosa tragicità della condizione umana. Il nichilismo leopardiano dei suoi eroi è racchiuso nella virtù della “tenacia”: letteralmente, “tengono fermo” il timone nella tempesta pur nella consapevolezza che, alla fine, saranno travolti dalle onde. E Invictus, la poesia che Mandela legge e rilegge durante gli interminabili anni di prigionia (ma anche il titolo della biopic che Eastwood, nel 2009, dedica allo statista sudafricano, interpretato da Morgan Freeman), racchiude il senso dell'eroe eastwoodiano che sfida lo spettatore: “sono padrone del mio destino, capitano della mia anima”».

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Per Salvatore Patriarca: «Il cinema di Clint Eastwood è una delle espressioni culturalmente più interessanti del pragmatismo americano. L'intera carriera di Eastwood, attore, regista, sceneggiatore, è una declinazione narrativa e visuale del primato dell'azione come elemento caratterizzante la specificità dell'individuo e della comunità. Giustizia, potere, etica, diritto, stato, religione, apparenza, essere: l'intero spettro fondativo delle dimensioni simboliche umani incontrano nella cinematografia di Eastwood una peculiare forma di rappresentazione. Per questo va superata ogni preconcetta lettura ideologica della sua produzione; ogni riduzione del portato culturale dell'opera alle posizioni personali sui temi d'attualità. Quella eastwoodiana è una degli ultimi e più fulgidi esempi di trasfigurazione significativa della riflessione sull'atto, su ciò che è (stato) fatto, come condizione imprescindibile di costruzione di ciò che sarà. Una cinematografia umana troppo umana da apparire, paradossalmente, superflua. Come solo l'arte sa essere».

Umberto Curi, filosofo massimo esperto del pensiero di Clint Eastwood: «C'è un punto centrale che connette Gran Torino e The Mule: il protagonista di entrambe le opere è colpevole di una sorta di colpa metafisica. È un peccatore, che deve espiare i suoi peccati attraverso il castigo. Nel crepuscolo della sua vita e della sua attività di cineasta, Clint Eastwood dichiara di volersi avviare dunque, con serena compostezza, al sacrificio di espiazione che lo attende e che ha un evidente significato liberatorio e di purificazione».

Parla di etica Simone Regazzoni, filosofo: «Un'etica è un modo di essere assolutamente singolare, in cui non è in gioco la cura dell'Altro ma la cura e l'allenamento di sé. Con Million Dollar Baby, Eastwood riprende questa idea greca di etica e ci costruisce attorno un capolavoro cinematografico che è anche un trattato filosofico attraverso immagini in movimento. La storia di Maggie Fitzgerald e del suo allenatore, Frankie Dunn, è la storia di una giovane donna che, a 32 anni, decide di rompere con la mediocrità della propria esistenza, per prendersi cura della propria singolarità che fa corpo con il desiderio di diventare un pugile. E che cos'è questo desiderio? Un'intensità di vita che vuole se stessa fin dentro la morte».

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