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Dalle “lenzuolate” di Bersani ai balneari e alle big-tech: come è cambiata la difesa della concorrenza

La Commissione europea avvia da Modena un ciclo di dibattiti in diverse città europee per discutere delle vecchie e nuove minacce alla libertà dei consumatori e per far conoscere ai cittadini l'impatto che la politica della concorrenza ha sulla vita quotidiana

di Giuseppe Chiellino

(Controluce via AFP)

5' di lettura

«L'unico obiettivo politico per i mercati è essere al servizio delle persone. Il punto centrale delle regole di concorrenza è abbastanza semplice: che ci sia cibo nella dispensa, a un prezzo che le famiglie possono permettersi e che i giovani con grandi sogni e nuove idee possano avviare una nuova attività. Perché il mercato unico siamo noi». Con questa premessa, nelle parole della commissaria Ue alla Concorrenza, Margrethe Vestager, parte giovedì 20 aprile da Modena “Markets for people”, un ciclo di dibattiti itineranti che toccherà altre quattro città nell’Unione europea, organizzato dalla Dg Concorrenza con l’obiettivo di far conoscere ai cittadini, attraverso il confronto con esperti in diverse materie, l’impatto che la politica della concorrenza ha e può avere nella vita quotidiana.

All’incontro di giovedì al teatro della Fondazione San Carlo a Modena parteciperà anche Pierluigi Bersani, ricordato per le “lenzuolate” di liberalizzazioni che tra il 2006 e il 2007 aprirono al mercato interi settori dell’economia italiana rimasti fino ad allora protetti al riparo dalla concorrenza.

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«Oggi come allora il consumatore riceve un danno dalla ridotta competizione nel mercato che può discendere dall’esercizio abusivo del potere di mercato da parte delle imprese, o dall’adozione di regolazioni distorsive da parte dei pubblici poteri» spiega Anna Argentati, direttore studi giuridici e analisi legislativa presso l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che con Bersani e altri esperti del mondo imprenditoriale e accademico si confronterà nell’appuntamento di Modena.

«Quelle lenzuolate ebbero il merito di rimuovere in un ampio spettro di attività economiche diffuse restrizioni normative della concorrenza, non giustificate da obiettivi di interesse generale ed erano non di rado di stampo protezionistico: si pensi alle norme sulle tariffe professionali minime e fisse, sulla modifica unilaterale delle condizioni contrattuali e sulla portabilità dei mutui nel settore bancario o ancora sulla distribuzione esclusiva nel mercato dell’assicurazione obbligatoria per la RC auto».

Le «istanze corporative che frenano l’innovazione»

«Nonostante il processo di ammodernamento dei regimi normativi e amministrativi allora avviato, il problema delle regole che limitano ingiustificatamente la concorrenza sotto forma di restrizioni all’accesso o all’esercizio di un’attività economica permane, riflesso di istanze corporative che resistono ai venti di apertura del mercato» spiega Argentati. «Il riferimento non è solo al settore balneare, di recente al centro del dibattito. Sono ancora tanti gli ambiti in cui assetti regolatori obsoleti e protezionistici frenano l’innovazione e la modernizzazione delle attività a spese della collettività: pensiamo ai servizi pubblici locali e al dilagare del modello dell’in-house providing come pure al fenomeno del capitalismo municipale; ai servizi di mobilità urbana e alla contrapposizione tra i taxi e gli NCC; al settore della distribuzione farmaceutica, in cui le para-farmacie reclamano maggiori spazi di operatività; al rinnovo automatico delle concessioni nei settori economici più disparati, da quello idro-elettrico a quello delle acque minerali e, ancora, ad alcune restrizioni che persistono nel settore delle attività libero-professionali. Sono questi solo degli esempi: un quadro ben più ampio può ricavarsi dalle tante segnalazioni che l’Autorità ha trasmesso negli anni a Governo e Parlamento ai fini della legge annuale per la concorrenza, introdotta nel 2009 che è giunto all’approvazione definitiva solo due volte: nel 2017 e nel 2022».

Dalle big tech le nuove minacce ai consumatori

Dao temi di Bersani, però, molte cose sono cambiate, si sono attivati nuovi processi e nuovi soggetti si sono affermati sul mercato, aprendo nuove sfide alla tutela della concorrenza e dei consumatori. «Pensiamo anzitutto alla rivoluzione digitale e all’emersione di nuovi monopolisti dalle sembianze inedite, le cosiddette big tech, che, accanto alle straordinarie innovazioni, hanno portato anche il rischio concreto che poi utilizzino il loro potere di mercato per impedire che altri innovino oppure per sfruttare il consumatore. Occorre chiedersi quale sia la politica di concorrenza più adeguata a fronteggiare la crescita monopolistica dei grandi operatori digitali, quale paradigma essa debba abbracciare, quale sia la risposta più efficace dei pubblici poteri per fronteggiare simili concentrazioni di potere».

Qui si registra la maggiore distanza tra le due sponde dell’Atlantico. «L’ordinamento statunitense - spiega ancora la giurista dell’Autorità Antitrust - ha sacrificato molto pluralismo sul terreno dell’efficienza, mentre l’Unione europea non ha mai perso di vista il valore del pluralismo e si è posta il problema del contrasto ai comportamenti abusivi dei grandi operatori digitali. Le numerose istruttorie condotte dalla Commissione europea e dalle autorità nazioni negli anni scorsi ne sono la prova più evidente. A tal punto è vivo e avvertito il problema che l’Unione europea ha deciso di intervenire, affiancando all’azione antitrust, che interviene ex post sui comportamenti restrittivi della concorrenza, la risposta regolamentare ex ante: con l’approvazione nel 2022 del Digital Markets Act e del Digital Services Act, è stata scelta la via regolatoria per imbrigliare l’enorme potere di mercato delle grandi piattaforme digitali e prevenirne le degenerazioni patologiche a tutela di mercati equi e contendibili e a protezione dei diritti fondamentali degli utenti».

La disciplina degli aiuti di Stato e il caso Alitalia

La tutela della concorrenza si accompagna anche alla disciplina sugli aiuti di Stato. A volte può risultare difficile capire perché un’azienda in difficoltà, che rischia di lasciare a casa migliaia di lavoratori, non possa essere aiutata con soldi pubblici. Un caso per tutti, Alitalia.

«Il divieto di aiuti di Stato serve a garantire che la libera concorrenza nel mercato unico non sia falsata e distorta da politiche di assistenza finanziaria degli Stati membri a favore di imprese discrezionalmente selezionate dalla politica. Non è un divieto assoluto poiché il Trattato, se da un lato vieta, in quanto incompatibili con il mercato interno, gli aiuti pubblici selettivi che favoriscono talune imprese o produzioni e falsano o minacciano di falsare la concorrenza, dall’altro li ammette in taluni casi specifici, disponendo per esempio che possano essere considerati compatibili, tra l’altro, gli aiuti di Stato destinati a porre rimedio ad un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro, oppure quelli alle imprese in difficoltà gli aiuti al ricorrere di determinate condizioni».

Dunque, la disciplina sugli aiuti di Stato ha margini di flessibilità. Ma il principio di fondo «dovrebbe restare quello per cui è la libera concorrenza che, spingendo le imprese ad un costante confronto competitivo sui beni e servizi offerti, innesca e alimenta un processo virtuoso di innovazione, di progresso e di efficienza, da cui discendono benefici per l’intera collettività. Non bisogna dimenticare, anzi, che se e quando gli aiuti di Stato per il salvataggio o la ristrutturazione consentono di mantenere in vita imprese in difficoltà, ciò avviene generalmente a spese dei loro concorrenti e questo va tenuto a mente nel bilanciamento degli interessi sotteso all’intervento pubblico».

Conciliare la tutela del mercato e dei posti di lavoro

Che si tratti di Alitalia o di altra impresa, dunque, «non sono gli aiuti di Stato la soluzione corretta ai licenziamenti - afferma Anna Argentati - poiché esistono strumenti e politiche pubbliche più efficaci per fronteggiare le conseguenze indesiderate di simili vicende: come osservato dall’Autorità Antitrust, politiche attive del lavoro, misure di sicurezza e ammortizzatori sociali possono accompagnare l’uscita dal mercato delle imprese meno efficienti, senza che ciò determini traumi sproporzionati per le categorie di lavoratori a rischio e alimenti le resistenze politiche e culturali al cambiamento. Politica della concorrenza e politiche del lavoro sono, in altri termini, complementari e sinergiche».

I costi per i contribuenti

«Inoltre - ricorda la giurista - il sostegno finanziario teso a mantenere artificialmente in vita un’impresa in crisi non solo danneggia i concorrenti più efficienti e meritevoli che operano senza sussidi, non solo indebolisce la fiducia nel processo concorrenziale, ma costituisce un onere per gli stessi cittadini che, come consumatori-utenti, potrebbero non beneficiare degli effetti della competizione tra imprese e, come contribuenti, sopportano il peso di simili esborsi per sostenere imprese inefficienti e senza prospettive».

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