Dalle prigioni del mondo migliaia di spartiti per cantare il dolore e la vita
Musica in cattività. Musica concentrazionaria. In Europa come nell’Africa coloniale, in Asia, in Australia, Usa, Canada e America Latina. Sono ebrei, cristiani, sinti e rom, baschi, sufi e bahá'í, quaccheri, geovisti, comunisti, disabili, omosessuali, prigionieri civili e militari. Scrivevano su quaderni, carta igienica, telegrammi, oppure tramandavano i motivi e le note a memoria. Il pianista Francesco Lotoro ha raccolto questi straordinari materiali creando un archivio unico al mondo.
di Donata Marrazzo
4' di lettura
E dire che c’era musica nel lager di Dachau, nei campi di concentramento di Auschwitz e di Birkenau, tra i blocks di Monowitz, nei gulag di Kolyma, nei ghetti di Vilnius e di Lodz e a Palembag, nel campo giapponese in Indonesia. Ovunque, nell'inferno quotidiano di quei luoghi - di prigionia, di internamento, di transito, di concentramento, di sterminio, di rieducazione sociale, di lavori forzati, di confino – come nei penitenziari militari, nelle carceri, nei ghetti, aperti tra il 1933 e il 1953 (data della “destalinizzazione” dei gulag), sempre si levava un canto, un’aria, un coro, una melodia. C’erano violini, liuti, fisarmoniche, chitarre, a volte anche il pianoforte a muovere il tempo immobile dell'olocausto.
I canti delle deportate
Mamma son tanto felice… cantavano le ebree deportate ad Auschwitz. E le donne dell'orchestra femminile di Birkenau suonavano le note più alte per soffocare le urla delle vittime durante la gasazione. La fisarmonicista era Esther Bejarano. Oggi porta nel mondo la sua testimonianza di artista e sopravvissuta. Ilse Weber, ebreo-ceca deportata nel febbraio del 1942 nel campo di concentramento di Theresienstadt, con suo marito e Tommy, il figlio minore, componeva poesie, canzoni e ninnananne per i bambini ebrei, accompagnandosi con il liuto e la chitarra. È morta con il suo bambino nelle camere a gas.
L’Inno alla gioia nella “notte dei cristalli”
I suoni dell'orchestra dello Oflag IVC Colditz (campo di massima sicurezza in Germania, destinato a ufficiali britannici, francesi, olandesi e polacchi) coprivano le manovre di evasione dei commilitoni. Un ebreo, a Dachau, all'ingresso del block 26, il 17 dicembre 1944 suonava il violino per sviare l'attenzione dei kapo durante la celebrazione clandestina del rito di ordinazione sacerdotale per Karl Leisner. L'Inno alla gioia di Beethoven, nella “notte dei cristalli” (1938), mentre si ordinavano arresti di massa di uomini giovani, faceva tremare la stazione di Vienna: Alle Menschen werden Brueder, Tutti gli uomini saranno fratelli, urlavano in coro gli ebrei in faccia a un soldato tedesco. Prima in 10, poi in 100, alla fine più di mille, tutti insieme.
Musica in cattività, musica concentrazionaria
Dall’apertura del primo lager alla chiusura dell’ultimo gulag, dall'ascesa del nazismo alla destalinizzazione dell’ex Urss, musicisti di qualsiasi estrazione, appartenenti a diversi contesti nazionali, sociali e religiosi, compongono ed eseguono musica. Musica in cattività. Musica concentrazionaria. In Europa come nell’Africa coloniale, in Asia, in Australia, Usa, Canada e America Latina. Sono ebrei, cristiani, sinti e rom, baschi, sufi e bahá'í, quaccheri, geovisti, comunisti, disabili, omosessuali, prigionieri civili e militari. Scrivevano su quaderni, carta igienica, telegrammi, oppure tramandavano i motivi e le note a memoria.
L’opera monumentale di Francesco Lotoro
Il pianista Francesco Lotoro, compositore e direttore d'orchestra, è lo studioso, l'archeologo, il filologo, l'interprete, di una produzione vastissima: con la sua monumentale opera di recupero, ma anche di revisione, esecuzione e incisione di migliaia di lavori musicali composti da musicisti internati, ha creato un archivio unico al mondo (e una fondazione, l'Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria): 8.000 spartiti pubblicati o inediti, 10.000 documenti relativi alla produzione musicale (microfilms, diari, quaderni, registrazioni fonografiche, preziose interviste ai musicisti sopravvissuti) 3.000 pubblicazioni universitarie, opere di saggistica. Un lavoro incessante che ha suscitato interesse a livello internazionale: dal 2013 Lotoro è Chevalier de l'Ordre des Arts et Lettres in Francia, dal 2014 Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
La Cittadella della Musica Concentrazionaria a Barletta
Ora lo studioso sta per porre la prima pietra per realizzare a Barletta, nell'ex distilleria della città, la Cittadella della Musica Concentrazionaria. All'interno della struttura (il progetto è dell'architetto Nicolangelo Dibitonto) sarà consultabile il catalogo digitale e la grande Enciclopedia in 10 volumi “Thesaurus Musicae Concentrationariae”. Saranno organizzati convegni, concerti, eventi. Su 9mila metri quadrati troveranno spazio anche il Campus delle scienze musicali (con il polo nazionale della Musica ebraica), il teatro “Nuovi Cantieri”, una libreria internazionale, un ostello, un'area ristoro. Il progetto, presentato a Roma, nella Sala Koch di Palazzo Madama, coinvolge investitori pubblici e privati e ha il supporto della Regione Puglia e del Comune.
Progetto 1oo viaggi
«Quella della musica concentrazionaria è una fenomenologia complessa – spiega lo studioso – La musica proliferata nei campi è una delle più importanti eredità della Storia universale ed è un patrimonio da restituire all'umanità. Se non è stato possibile salvare la vita di tanti uomini e donne, saremo almeno riusciti a salvare la loro musica, e questo equivale ad aver salvato loro la vita nel suo significato metastorico e metafisico». Tutta questa straordinaria letteratura musicale attende ancora ulteriori sviluppi: «Ci sono tante opere da salvare dall'oblio e dal rischio di distruzione», aggiunge Lotoro. Così è nato il progetto 100 Viaggi, un crowdfunding per completare il lavoro, sollecitando enti e cittadini di ogni parte del mondo a rendersi parte attiva “adottando” una o più partiture ancora da salvare.
Lotoro, «Qual è oggi è il canto dei barconi?»
«Nel mio lungo percorso ho sentito sempre l'unicità della shoah, pur se in contesti politici diversi – conclude Francesco Lotoro – Ma sopra ogni cosa la genialità della musica, di cui il dolore è solo filigrana. Un giorno le partiture dei campi di concentramento, come i gospel, il jazz, il blues, saranno musica e basta. Ma altri dovranno esser pronti a raccogliere nuove melodie, nate in altri campi, in nuovi ghetti. Qual è oggi è il canto dei barconi?».
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