Dalle visiere ai gel, nasce una nuova filiera
Il Politecnico propone “mascherine di comunità” per garantire la produzione massiva in autocertificazione ma con standard di qualità
di Filomena Greco
4' di lettura
La macchina si è messa in moto in fretta, un mese e mezzo fa. L’idea sostenuta dal presidente degli industriali di Torino Dario Gallina era di costruire una filiera piemontese per la produzione di dispositivi di protezione individuale. Molte le aziende che si sono messe a lavoro, a cominciare dalla Miroglio.Una produzione made in Italy “in deroga”, alle prese con un iter complesso per la certificazione e che, nella Fase 2, potrebbe essere ancora più indispensabile in vista della riapertura di aziende e uffici.
La Tekspan – azienda torinese del gruppo Sogimi che trasforma e distribuisce plastiche ad alte prestazioni – ha avviato la produzione tanto di mascherine quanto di visiere protettive. «Due dei quattro test per la certificazione delle mascherine, con il Politecnico di Torino e con l’Università di Bologna, in particolare per la capacità di filtrazione batterica , sono praticamente conclusi, un terzo passaggio sarà gestito dall’Università del Piemonte Orientale mentre l’ultimo step, sulla citotossicità, lo farà la facoltà di Medicina di Torino», sintetizza il ceo Silvio Marioni. Dopo aver ottenuto l’ok la società metterà a punto la documentazione da presentare all’Istituto superiore di Sanità per ottenere il riconoscimento come dispositivo sanitario per le proprie mascherine mentre è in attesa dell’ok da parte dell’Inail per le visiere. «Io mi auguro che l’Istituto superiore di Sanità sia veloce e tenga conto dell’iter di certificazione in corso – sottolinea Marioni – ma è altrettanto importante che il Governo stabilisca in maniera chiara quale tipo di mascherina si potrà adottare ad esempio in azienda o sui mezzi pubblici. In questa giungla di mercato lo sforzo che le imprese stanno facendo in questa fase può davvero andare perso». La Tekspan ha adottato una logica di distretto: il tessuto antigoccia viene acquistato dalla Ahlstrom-Munksjo, multinazionale finlandese con una filiale nel Canavese, mentre un fornitore locale si occupa degli elastici. «Stiamo producendo 120mila dispositivi al giorno, con la prospettiva di salire a quota 240mila – racconta Marioni – e un prezzo che non supera i 3 euro». Serve attenzione per la filiera italiana che si sta rimettendo in piedi, visto che il paese ha perso la produzione di mascherine da vent’anni e l’emergenza Covid ha messo a nudo i rischi della dipendenza da forniture estere. In campo c’è anche la proposta del Politecnico di Torino che, alla luce del fabbisogno per 10 milioni di mascherine al giorno nella Fase 2, ha introdotto le “mascherine di comunità”destinate all’uso massivo, prodotte in autocertificazione, non assimilabili a dpi o dispositivi medici ma con requisiti minimi di impermeabilità. Un’opzione sul tavolo, tutta da valutare anche alla luce delle decisioni del Governo.
Il settore automotive, una delle manifatture che maggiormente ha sofferto per il blocco delle produzioni e del mercato, ha messo in campo nell’emergenza Coronavirus competenze tecnologiche e capacità di industrializzazione dei prodotti. Lo racconta Pierangelo Decisi a capo della Sigit, azienda attiva nel settore dello stampaggio della plastica: «Siamo a quota 120mila mascherine al mese e supereremo i due milioni nelle prossime settimane mentre siamo partiti con le due linee di produzione di occhiali, una parte con Invitalia». La sfida è guardare avanti e capire se la produzione che l’Italia sta mettendo in campo può avere un futuro. «Su questo bisogna essere chiari – risponde Decisi – le mascherie fatte in Italia non potranno mai avere un prezzo cinese, si attesteranno almeno sul doppio ma resteranno ad un prezzo contenuto, sotto l’euro, grazie a un processo di industrializzazione spinto». L’Italia dunque può riprendersi questo pezzo di filiera a patto però che si apra una riflessione sulle gare al massimo ribasso per gli acquisti. «Questo meccanismo – dice Decisi – ha spazzato via in passato la produzione italiana , inoltre non aver pensato di avere importanti stock in caso di emergenza ci ha esposto al rischio». La Sabelt produce tute per piloti e cinture di sicurezza: «Abbiamo provato a sviluppare tre diversi dispositivi di protezione individuale – racconta Massimiliano Marsjai – a cominciare da una tuta protettiva non monouso, abbiamo poi realizzato con la stampa in 3D una protezione per il viso, più completo rispetto alle semplici mascherine, con visiera in policarbonato. Infine stiamo lavorando a tute protettive integrate da destinare ai meccanici per il mondo delle gare sportive e delle corse». Uno sforzo industriale in fase di emergenza è stato fatto anche da piccole realtà come la Grugliasco ricambi guidata da Francesco Tortorelli: «Ci siamo buttati nella produzione di mascherine per salvare il salvabile» racconta Tortorelli. Sei dipendenti in totale, hanno avviato la produzione di mascherine in tessuto-non tessuto in collaborazione con un laboratorio tessile della zona e sono in attesa della certificazione da parte dell’Istituto superiore di sanità.
Molte le imprese piemontesi che hanno parzialmente riconvertito le loro linee di produzione per realizzare igienizzanti e disinfettanti. Tra queste c’è la Sea Marconi – 100 addetti e sedi in Italia, Francia, Spagna e Argentina – specializzata nei servizi e nei sistemi per la gestione di parchi macchine elettriche di grandi dimensioni. «In queste settimane – racconta Cristina Tumiatti, responsabile dello Sviluppo di nuovi business – abbiamo investito in certificazioni e macchinari per produrre gel igienizzanti ad alto contenuto di alcol e stiamo mettendo a punto un biodisinfettante che distrugge il virus negli ambienti». Alla salubrità dell’ambiente in tempi di allarme sanitario guarda anche il test messo a punto dalla Sersys Ambiente di Rivoli per verificare la presenza del virus Covid-19 nei luoghi di lavoro. Si tratta di tamponi, da realizzare su superfici e nelle condotte dell’aria, in grado di verificare la presenza del virus in 48 ore.
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