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Daniel Roseberry: «Nell’alta moda trovo il miglior respiro creativo e il giusto ritmo»

A Parigi il direttore creativo di Schiaparelli presenta la collezione haute couture dello storico marchio: «Le mie creazioni cercano lo spirito del tempo, ma insieme lo trascendono, grazie al valore eterno dell’artigianalità»

di Giulia Crivelli

Cappotto fatto da un mosaico di oltre 12mila rettangoli di pelle dipinti a mano

4' di lettura

Vive nella città storicamente considerata la capitale mondiale della moda, Parigi. E la moda è la passione di Daniel Roseberry fin da quando era bambino. A tratti però ha nostalgia per il suo Paese, gli Stati Uniti: gli manca il Texas, dove è nato nel 1985, e soprattutto gli manca New York, in cui ha vissuto e ha frequentato il Fashion Institute of Technology, lasciato dopo due anni per lavorare con Thom Browne. In dieci anni Roseberry ha contribuito molto alla crescita del brand (oggi parte del gruppo Zegna), diventando head of design delle collezioni donna e uomo Thom Browne. Ma è nel cuore dell’Europa che Roseberry sembra aver trovato la sua dimensione creativa: chiamato nel 2019 da Diego Della Valle per ridare alla maison Schiaparelli il suo posto nel mondo della moda, lo stilista americano ha appena presentato al Petit Palais la collezione di alta moda, poche decine di pezzi unici destinati a clienti altrettanto uniche. Nel backstage c’erano anche i genitori, arrivati poche ore prima dal Texas: il padre è un pastore anglicano, la madre un’artista, una donna minuta e scattante, aperta alle sorprese della vita come sanno essere gli americani. Nel backstage e in passerella le collezioni Schiaparelli disegnate dal figlio di sorprese ne riservano molte, per gli abiti e per il pubblico. Ma i coniugi Roseberry sembrano perfettamente a loro agio, come il figlio, che sfugge dall’affettuoso tête-à-tête post sfilata con Cardi B per correre ad abbracciare padre e madre.

Daniel Roseberry

Le presentazioni di haute couture nacquero come eventi privati. Ora sono show simili a quelli del prêt-à-porter e vengono amplificati in tempo reale da streaming e social. Cosa rappresenta la couture per lei?
«È la massima espressione di creatività: sono consapevole di poter immaginare e dare vita a pezzi unici, grazie a un team di artigiani fantastici, dei quali mi sento un po’ cantore e un po’ direttore d’orchestra. Alla fine di ogni show le prime parole e il primo brindisi è con loro e per loro e sto persino imparando a fare un breve discorso in francese, anche se non so se riesco a farmi capire, è una lingua un po’ ostica (ride). Penso anche che ogni collezione debba essere legata profondamente al momento in cui sfila. Il legame può non essere chiarissimo a chi la vede per la prima volta, ma deve essere chiarissimo a me, sono sempre in cerca dello Zeitgeist, una parola tedesca che noi americani usiamo volentieri».

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A proposito di spirito del tempo, la couture è per definizione immersa nel momento, a differenza del prêt-à-porter. È quasi un see now, wear now...
«Esatto: giusto il tempo di perfezionare un abito tra quelli visti in sfilata sul corpo di una cliente e sulla sua personalità, cosa che facciamo negli atelier di place Vendome, ed è pronto per essere indossato. La collezione vista al Petit Palais infatti è quella dell’autunno-inverno prossimo, mentre, per intenderci, le sfilate del prêt-à-porter di giugno proiettano nella primavera-estate 2024 e le fiere del tessile che ci saranno a Milano e Parigi portano addirittura nell’autunno-inverno 2024-2025».

Schiaparelli, la collezione haute couture per l'AI 23-24

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Tornando allo Zeitgeist: le cose oggi cambiano molto più velocemente di quando fu inventato il termine, tra il 18° e 19° secolo. Qual è lo spirito di questo “attimo nel tempo” e della collezione, a parte l’evidente legame con l’arte?
«È l’ossessione per il potere e l’ostentazione di questa ossessione. Vedo tanti segnali di questo, pensi alla serie tv americana Succession, che sta spopolando in tutto il mondo. Tutto però potrebbe cambiare in fretta e lasciare spazio a un’altra ossessione».

Sta dicendo che le collezioni di haute couture rischiano di invecchiare in fretta?
«No. Ed è proprio questa la magia dell’alta moda: c’è un legame con il momento in cui nascono, ma allo stesso tempo il valore di ogni capo e accessorio è, direi, eterno. Perché viene dalla qualità dei materiali che usiamo e dalla loro storia e dalla cura maniacale usata da chi ha lavorato alla collezione. Questo valore intrinseco, che mi piace addirittura pensare eterno, è fatto di artigianalità. Volendo, si può misurarlo in ore di lavoro, numero di paillettes o di piume usate, metri di tessuto impiegato. Ma la parte davvero importante, di fatto non misurabile, è quella spirituale. Io e tutte le persone che lavorano in Schiaparelli mettiamo in queste collezioni la nostra passione, direi la nostra anima. E credo che questo valore, insieme materiale e umano, venga percepito da chi vede gli abiti e da chi li indossa».

Lei lavora nelle stanze in cui si muoveva Elsa Schiaparelli. Si sente mai sopraffatto da cotanta eredità stilistica?
«Elsa Schiaparelli fu una donna eccezionale, una creativa innamorata dell’arte in ogni sua forma e allo stesso tempo un’imprenditrice. Percepisco un’affinità con lei, che sono contento di non dover spiegare a parole. È qualcosa di molto profondo che include anche il massimo rispetto per l’archivio e tutto il lavoro fatto quando era viva. Allo stesso tempo, credo che anche lei rispetterebbe il mio lavoro proprio perché non cerco di copiarla o, semplicemente, di “attualizzare” quello che ha fatto, ma di mettere la mia anima e la mia creatività al “servizio” di una maison che vuole e deve, lo dico ancora una volta, essere interprete e protagonista del suo tempo».

A proposito di contemporaneità, come affronta il tema della sostenibilità attuale ossessione del mondo della moda?
«In Schiaparelli abbiamo da oltre due anni linee guida che rispettano ogni legge e regola su questi temi. Ma siamo in un certo senso fortunati: la couture – e anche il nostro prêt-à-porter – sono di per sé sostenibili: primo, perché sono fatti per durare nel tempo e passare, volendo, di generazione in generazione. Secondo, per la qualità e selezione dei materiali e terzo, perché riflettono i valori del lavoro manuale e dell’artigianalità come massima espressione del legame tra mente e cuore».

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