Dare voce ai figli che non ce l’hanno
“La voce di Pietro” è il racconto della verità del difficile percorso di una famiglia che non si illude, ma nemmeno si arrende allo spettro autistico
di Silvia Pasqualotto
4' di lettura
«Non avrò mai la precisa certezza di quanto tu capisca e di quanto tu riesca a districarti tra le mie parole, ma sono sicura di una cosa: sono sicura che a te arrivano le emozioni di cui le mie parole sono veicolo». Sembrano quasi una carezza le parole che Agnese Fioretti rivolge al figlio Pietro, 8 anni, in una delle lettere che compongono il libro “La voce di Pietro”. Il volume racconta la vita di una famiglia nello spettro autistico, prendendo le mosse dalla decisione di Agnese di essere la voce di suo figlio, incapace di comunicare in modo tradizionale articolando parole.
Agnese Fioretti, giornalista e editor, da circa due anni ha infatti deciso di utilizzare i social per parlare delle difficoltà e della vita di suo figlio Pietro. Una vita che, come quella di molte altre persone che hanno ricevuto una diagnosi di disturbo dello spettro autistico (un bambino su 77 secondo l'Istituto superiore di sanità), rischia spesso di rimanere sullo sfondo, taciuta, inascoltata.
Agnese racconta invece con sincerità e delicatezza la storia di Pietro, partendo dal momento della nascita e ripercorrendo il doloroso cammino che ha portato lei e il marito Tommaso ad affrontare nel 2017 la diagnosi di autismo. Da lì, l'inizio di una nuova vita fatta di tante paure, difficoltà, momenti di sconforto ma anche di un amore immenso e di gioie piccole e grandi come vedere Pietro crescere insieme al fratello Elia, 3 anni, o essere accolto e benvoluto dai compagni di classe.
Le parole di Agnese Fioretti raccontano, senza nascondere i lati più difficili, anche il percorso introspettivo che i genitori sono chiamati a fare. Lei per prima ha dovuto imparare a mettere da parte la rabbia e il senso di colpa per la diagnosi, lavorando su sé stessa per imparare la clemenza, la pazienza e l'accettazione di ciò che la vita ha messo sul suo cammino, compresa la consapevolezza che «Pietro avrà bisogno ogni giorno di terapie».
«Trattare una forma di autismo come quella di Pietro, che richiede interventi strutturali e a tutto tondo, - scrive Agnese - è economicamente gravoso. Per agire subito, l'unica alternativa plausibile è spesso quella di rivolgersi a una struttura privata». Nonostante infatti il ministero della Salute abbia stretto accordi con le regioni per oltre 20 milioni di euro per rafforzare i servizi dedicati alla diagnosi precoce e all'aiuto di chi ha una diagnosi di autismo, per le famiglie non è sempre facile accedere in maniera gratuita a servizi di questo tipo.
«Ci sono infatti zone d'Italia più attrezzate - spiega Agnese - e altre meno. In generale, il sistema riesce a sostenere la parte della diagnosi ma si inceppa nel momento della presa in carico. Non è infrequente che si finisca per essere lasciati soli e molto viene lasciato all'intraprendenza dei genitori che - al di là delle indennità previste dalla legge - devono prodigarsi per cercare bandi e fondi attraverso i quali provare a riavere una minima parte di ciò che si spende».
Un altro problema riguarda la scuola e gli insegnanti di sostegno che dovrebbero essere presenti dal primo giorno di frequenza e in numero adatto alla gravità del disturbo. Non è però sempre così. «Noi siamo stati fortunati - ammette Agnese - ma il sistema non ti dà garanzie sul fatto che la figura che ti verrà assegnata sia davvero capace di gestire la disabilità di tuo figlio e che sarà al suo fianco dal primo giorno di scuola».
Quella dei genitori con figli nello spettro è una vita dedicata quasi totalmente alla cura, fino a sacrificare a volte il proprio lavoro, la propria identità, il tempo per sé. Eppure il libro “La voce di Pietro” lascia intravedere anche un percorso diverso. Un percorso in cui i genitori non si rassegnano al dolore, ma, come scrive Agnese, trovano la forza di godersi «questo viaggio accanto a lui così com'è», «con immensa gioia, provando a non perdersi nulla».
Agnese Fioretti, giornalista ed editor, da circa due anni ha infatti deciso di utilizzare i social per parlare delle difficoltà e della vita di suo figlio Pietro. Una vita che, come quella di molte altre persone che hanno ricevuto una diagnosi di disturbo dello spettro autistico (un bambino su 77 secondo l'Istituto superiore di sanità), rischia spesso di rimanere sullo sfondo, taciuta, inascoltata.
«Trattare una forma di autismo come quella di Pietro, che richiede interventi strutturali e a tutto tondo, - scrive l’autrice - è economicamente gravoso. Per agire subito, l'unica alternativa plausibile è spesso quella di rivolgersi a una struttura privata». Nonostante infatti il ministero della Salute abbia stretto accordi con le regioni per oltre 20 milioni di euro per rafforzare i servizi dedicati alla diagnosi precoce e all'aiuto di chi ha una diagnosi di autismo, per le famiglie non è sempre facile accedere in maniera gratuita a servizi di questo tipo. «Ci sono infatti zone d'Italia più attrezzate - spiega Fioretti - e altre meno. In generale, il sistema riesce a sostenere la parte della diagnosi ma si inceppa nel momento della presa in carico. Non è infrequente che si finisca per essere lasciati soli e molto viene lasciato all'intraprendenza dei genitori che - al di là delle indennità previste dalla legge - devono prodigarsi per cercare bandi e fondi attraverso i quali provare a riavere una minima parte di ciò che si spende».
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