Dati giudiziari online, ecco quando si può ottenere la depubblicazione
Tutela privacy: la mancata anonimizzazione, anche da parte di tribunali e istituzioni pubbliche, rende accessibili a tutti condanne e pendenze
di Marisa Marraffino
I punti chiave
6' di lettura
Quattro anni fa sono stato condannato con una sentenza ormai definitiva della corte di Cassazione, sezione penale. A distanza di anni i miei dati personali giudiziari sono pubblicati online sulla banca dati italgiure gestita dalla stessa Corte di cassazione. È possibile leggere tutti i dati giudiziari che mi riguardano tramite un motore di ricerca interno. Ho chiesto l'anonimizzazione del dato ma mi è stata negata.
Sulla base della normativa europea sulla privacy, in particolare del Regolamento Ue 679/2016 (cosiddetto Gdpr), i dati giudiziari non dovrebbero essere pubblicati online. Trattandosi di dati particolari, secondo l'articolo 9 del Gdpr, dovrebbero essere anonimizzati in modo da non consentire a chiunque di potervi accedere anche soltanto per motivi legati a curiosità personali. Si tratta di un principio giuridico di fondamentale importanza che tuttavia in Italia negli anni ha dato vita a una giurisprudenza, spesso contraddittoria, che nella maggior parte dei casi ha ritenuto lecita tale pubblicazione, sulla base degli articoli 51 e 52 del Codice in materia di protezione dei dati personali (Dlgs 196/2003) che sono stati soltanto parzialmente modificati dal Dlgs 101/2018 a seguito dell'entrata in vigore del regolamento Ue 679/2016.
Tali norme, in evidente contrasto col dettato europeo, stabiliscono che dovrebbe essere il diretto interessato a chiedere per motivi legittimi, prima della fine del relativo grado di giudizio, che i dati non vengano pubblicati o che vengano anonimizzati. La regola, chiarita dalle norme europee, dovrebbe in realtà essere opposta. Di default i dati giudiziari non dovrebbero essere pubblicati, non essendo consentita la divulgazione automatica di dati così delicati come quelli giudiziari. Tale confusione normativa ha condotto negli anni a una giurisprudenza nazionale che nella maggior parte dei casi ha consentito la pubblicazione online di dati particolari senza le cautele previste dalle norme europee. I giudici interessati avrebbero potuto disapplicare le norme nazionali in conflitto con quelle europee, gerarchicamente superiori, ma allo stato non risultano precedenti di questo tenore.
Neppure la Corte di giustizia europea risulta essere stata investita dalla questione dai giudici nazionali. Eppure un ruolo fondamentale per assicurare l'osservanza del diritto dell'Unione all'interno dei singoli ordinamenti statali dovrebbe infatti essere svolto dal giudice nazionale, giudice comune di diritto europeo, in quanto incaricato di vegliare sull'applicazione e sull'osservanza del diritto dell'Unione nell'ordinamento giuridico nazionale.Proprio la Corte di giustizia Ue dal 1° luglio 2018 aveva anonimizzato tutti i dati giudiziari presenti online, sostituendo i nomi reali con le iniziali, proprio in virtù del regolamento Ue 679/2016. Per rafforzare le tutele dei soggetti interessati, la stessa Corte con un comunicato stampa del 9 gennaio 2023 ha inoltre formalmente dichiarato la sostituzione delle iniziali con nomi fittizi. Nel frattempo, in Italia è stato investito più volte della delicata questione il Garante per la protezione dei dati personali, ma ad oggi non risultano precedenti editi sulla banca dati gestita direttamente dalla Suprema corte italiana.Già nel 2014 l'allora presidente del Garante, Antonello Soro, aveva scritto una lettera aperta al presidente della Corte di cassazione manifestando la propria preoccupazione per la pubblicazione online dei dati giudiziari degli interessati.Il tema è tornato all'attenzione del Garante durante la pandemia quando molti tribunali pubblicavano online le date di rinvio delle udienze, anche penali, non oscurando sempre i dati personali dei diretti interessati. In questi casi il trattamento è considerato illecito. Giova tornare sulla questione in quanto, nell'attuale situazione di stallo, ad intervenire potrebbe essere addirittura la Commissione Europea. In astratto, infatti, i casi di conflitto tra norme nazionali ed Europee possono dar luogo anche all'avvio di una procedura di infrazione contro l'Italia con possibili conseguenze sanzionatorie.
Schedatura di massa e antiriciclaggio: quali confini?
Di recente ho cercato di aprire un conto corrente in Francia, dove risiedo da diversi anni, ma il direttore me lo ha impedito sulla base di una sentenza di patteggiamento per un reato che a breve si estinguerà che ha trovato su una banca dati a pagamento. È lecito?
La questione è molto controversa tanto che in Italia e all'estero sono pendenti procedimenti davanti alle competenti autorità amministrative. In Italia alcune denunce hanno innescato procedimenti penali, ancora in corso, per i reati di trattamento illecito dei dati personali (articolo 167 Dlgs 196/2003) e di illecita attività di investigazione in base agli articoli 134 e 140 Tulps. Il punto centrale è se queste banche dati possano trattare o meno dati giudiziari senza il consenso degli interessati per poi rivenderli su larga scala a terzi, in genere banche e compagnie di assicurazioni, per attività di due diligence, antiriciclaggio e in genere di monitoraggio della propria clientela.
Il rischio di tale mappatura di dati su larga scala è elevatissimo, finendo per influenzare di fatto l'accesso al credito e la libertà di investimento dei diretti interessati. In assenza di un quadro regolamentare chiaro e preciso occorrerà stabilire di volta in volta se il trattamento ponga rischi per i diritti e le libertà degli interessati, in quanto non rispettoso dei principi di proporzionalità, necessarietà elegittimità.
Vanno oscurate le informazioni delle parti nel processo
Il Tribunale ha pubblicato sul proprio sito la data di rinvio di un'udienza civile che mi riguarda senza oscurare i miei dati. Ho chiesto di anonimizzarli ma non mi hanno risposto. Cosa posso fare?
Può presentare un reclamo al Garante per la protezione dei dati personali. I dati giudiziari non possono essere diffusi online senza oscurare i nomi dei diretti interessati, nemmeno se per agevolare la comunicazione con le parti. In particolare l'articolo 9 del regolamento Ue 679/2016 prescrive una particolare attenzione per i dati personali cosiddetti particolari, tra i quali rientrano anche quelli giudiziari. Il rinvio avrebbe potuto essere pubblico semmai col numero di ruolo del procedimento ma in ogni caso senza rendere identificabili i soggetti interessati. Il legittimo interesse delle parti e del tribunale deve essere infatti bilanciato col diritto alla riservatezza degli interessati, in base al noto principio della minimizzazione del trattamento del dato.
Il diritto all'oblio vale anche per i professionisti
Sono un commercialista, oltre dieci anni fa sono stato condannato per omissione di soccorso. La notizia finì sul giornale locale e viene ancora indicizzate dal motore di ricerca. Il giornale locale rifiuta di deindicizzarla. Cosa posso fare?
In questo caso il giornale, nella sua qualità di titolare dei dati personali, dovrebbe deindicizzare la notizia in applicazione del cosiddetto diritto all'oblio, così come oggi cristallizzato dall'articolo 17 del Regolamento Ue 679/2016. La testata dovrebbe spostare l'articolo nell'archivio telematico del giornale, inserendo il cosiddetto file robots.txt, in modo che i motori di ricerca non indicizzino più la notizia partendo dal nome dell'interessato. Se la testata rifiutasse la deindicizzazione, la stessa richiesta potrebbe essere fatta direttamente al motore di ricerca. In caso di diniego sarà possibile presentare un reclamo al Garante per la protezione dei dati personali contro entrambi. Il cosiddetto diritto all'oblio vale infatti per entrambi e deve consentire al diretto interessato di non subire a tempo indeterminato gli effetti pregiudizievoli di una condanna ormai datata.
No a elementi delle sentenze su piattaforme social network
La mia ex moglie ha pubblicato su facebook un estratto della nostra sentenza di divorzio, posso fargliela rimuovere?
I dati personali non possono essere divulgati senza il consenso dell'interessato, a meno che non vi sia un legittimo interesse, un obbligo legale o contrattuale, un interesse pubblico oppure infine sia necessario per la salvaguardia degli interessi vitali dell'interessato o di un'altra persona fisica, come prescritto dall'articolo 6 del Gdpr. Quindi i dati giudiziari, ma anche quelli personali comuni, non possono essere pubblicati se non c'è il consenso dell'interessato. La stessa regola vale per le fotografie che siano dei ritratti fotografici e i numeri di telefono.In alcuni casi può integrarsi anche il reato di trattamento illecito dei dati personali. Ciò può avvenire quando c'è un danno per il diretto interessato e un profitto per l'autore della condivisione dei dati.Quindi la ex moglie non ha titolo per divulgare su facebook dati giudiziari, considerati particolari ai sensi dell'articolo 9 del Gdpr e quindi soggetti a una tutela ancora maggiore rispetto ai dati cosiddetti comuni.
Anche gli enti pubblici devono cancellare i riferimenti personali
Ho partecipato tempo fa a un concorso comunale che non ho vinto. Sul sito del Comune, però, sono stati pubblicati i miei dati personali e i risultati delle prove intermedie. E' legittimo?
Il Comune deve pubblicare soltanto le graduatorie finali dei vincitori concorsi pubblici. Lo prescrive espressamente l'articolo 15, comma 6-bis, del Dpr, 487/1994.Inoltre il Gdpr prevede che il trattamento dei dati personali effettuato da soggetti pubblici è lecito soltanto quando è necessario per adempiere un obbligo legale o per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico. Nel caso di specie quindi non vi è alcun interesse alla conoscenza da parte di terzi dei risultati delle prove intermedie che devono quindi essere rimossi. L'interessato può presentare formale istanza direttamente al Comune e in caso di mancata risposta o diniego può presentare un reclamo al Garante per la protezione dei dati personali che si è già espresso su un caso simile con l'ordinanza ingiunzione del 3 settembre 2020 che ha sanzionato il Comune interessato con una multa di 2mila euro oltre ad ordinare l'immediata rimozione dei dati.
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