Davide Serra: «La finanza unisce i due miei maggiori interessi: la competizione e i numeri»
Dopo una carriera costruita nel Regno Unito, il fondatore e Ceo di Algebris da quattro anni vive tra Londra e Milano, dove segue con attenzione le Pmi quotate in Borsa
di Paolo Bricco
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«Ho capito quello che avrei voluto fare nella mia vita un giorno a Bergen, in Norvegia, nel 1994, durante il mio primo periodo all’estero da studente della Bocconi. Ero alla Nhh, la Norwegian School of Economics. Due anni prima, il 16 settembre 1992, George Soros con il suo Quantum Fund aveva scommesso contro le monete europee più deboli, la sterlina britannica e la lira italiana. La Banca d’Inghilterra e la Banca d’Italia avevano svalutato.
Dopo poche settimane, Soros aveva compiuto la stessa operazione, ma senza successo, con la corona svedese. A tenere lezione di finanza a Bergen, due anni dopo, era il professore che aveva fatto da consulente alla banca centrale e al governo di Stoccolma. Il suo metodo, in aula, era quello dello studio di caso. A lezione ci spiegava come si era mosso il Quantum Fund, i suggerimenti da lui dati in risposta alle aperture di gioco di Soros, quali scelte avevano compiuto le autorità della Svezia, le reazioni del mercato. Ascoltandolo, capii quello che avrei voluto fare. Perché la finanza univa i due miei maggiori interessi: i numeri e la competizione. La matematica e l’agonismo, che ho sempre vissuto attraverso lo sport. La misurazione quantitativa della realtà e la definizione dei valori in campo».
Davide Serra – classe 1971 – è insieme tante cose. È pieno di spigoli, ma è segnato da rotondità. È un uomo della finanza più iper-uranica e ha una passione civile che, dopo lunghi mesi di silenzio, esprime all’improvviso, quasi senza riuscire a controllarla. È riservato e insieme desideroso di esprimere il suo punto di vista esponendo la pelle alle bruciature pubbliche. È orgoglioso dei risultati raggiunti provenendo da una famiglia della media borghese (la mamma Vittoria impiegata comunale e il papà Roberto dirigente della Italsider, la quiete e l’agiatezza dell’infanzia e dell’adolescenza trascorse nel complesso Edilnord di Brugherio), ma è quasi più orgoglioso delle sue fragilità, che oggi in una condizione di consapevolezza dei funzionamenti anomali delle fisiologie neurologiche appaiono più chiari anche a lui stesso: «I numeri sono la mia seconda natura. Al liceo Gonzaga, gestito a Milano dai padri lassalliani, all’esame di maturità scientifica scrissi il tema in stampatello. Ancora adesso non riesco a scrivere in corsivo e, quando sono costretto a farlo, quasi non ce la faccio a leggerlo. Ho sempre avuto difficoltà a rimanere nei luoghi affollati e pieni di rumore. Non sono mai andato a un concerto. Da ragazzo preferivo stare in tenda da solo con il cane in montagna la notte di Capodanno. Il mio ancoraggio alla realtà è stato reso possibile da tre cose: la vocazione per i numeri, la passione per lo sport,
che attraverso la competizione regolata e corretta mi ha mostrato la cifra etica del darwinismo naturale, l’amore per mia moglie Anna, con cui ho costruito la famiglia».
Siamo a Milano sul tetto del palazzo di corso Vittorio Emanuele dove ha sede Algebris, la sua società di investimenti. Si possono quasi toccare le guglie del Duomo. In lontananza si vedono bene da un lato il Monte Rosa e dall’altro il Resegone. La giornata è splendida. C’è il sole. L’aria è ancora fresca per la pioggia degli ultimi giorni. Ci accomodiamo in una sala da pranzo ricavata sul tetto. Tutto lineare. Nessuna opulenza. Milano ha conservato la nitidezza che aveva negli anni ’50 di Gio Ponti e di Achille Castiglioni.
Negli anni Novanta a Londra lui è stato il migliore analista nel settore finanziario internazionale: «Nel 1994, in SG Warburg, ero l’unico europeo continentale. I miei 33 colleghi erano tutti usciti da Oxford e da Cambridge». Nella cultura angloamericana basata sulla costruzione di classifiche, le sue previsioni si sono rivelate, nella maggior parte dei casi, le più vicine alla realtà: nel 1998 Davide fu il primo a capire che la fusione fra Cariplo e Ambroveneto non valeva un euro per azione, ma cinque, per via del valore nascosto di Ambroveneto di generare utili. Il titolo, in effetti, andò in Borsa a cinque euro. Quell’anno fu la terza migliore operazione al mondo. In queste settimane di instabilità della finanza internazionale, la sua Algebris non ha perso un dollaro o un euro su Silicon Valley Bank, su First Republic Bank e su Credit Suisse. «La cosa che invece non avevo capito? La natura degli attivi di UniCredit poco prima del 2008. Dalla Grande crisi, UniCredit è uscita con il triplo delle perdite di Intesa. I crediti apparivano di qualità migliore rispetto a quanto non fossero».
Serra ha espresso la sua passione civile in Inghilterra («sono stato il terzo finanziatore della campagna Remain, ho visto l’intensità e l’irragionevolezza del populismo politico e della xenofobia latente in Inghilterra emergere con la Brexit») e nel nostro Paese («sono amico personale e sostenitore politico di Matteo Renzi, lui è un boy scout come me, è incivile lo stile privo di garanzie con cui sono state condotte le indagini sulla fondazione Open, che non hanno portato a nulla»).
La tavola è colma di piatti orientali. Il confronto con il cibo è interessante perché mostra la distanza nella nostra formazione. Il cibo è anche questo. Davide adopera con disinvoltura le bacchette, versa le salse, gioca velocemente con le composizioni di pesce crudo e con la candida geometria del riso. Io, invece, faccio fatica. Sono goffo. Impacciato con le mani e con l’intera postura. Con empatia, Davide mi toglie dall’imbarazzo indicandomi la forchetta e, senza alcuna forma di cosmopolitismo estetizzante e da upper class del sushi e del sashimi, mi dice: «Potresti usare questa».
Nel 2000 Serra è entrato in Morgan Stanley. Nel 2002 è diventato il più giovane managing director della banca. Nel 2004 è stato nominato capo della ricerca bancaria: «Morgan Stanley è espressione della cultura Wasp. È improntata allo stile dei Padri fondatori. È meritocratica, ha naturalmente le sue asprezze ma è meno aggressiva di Goldman Sachs, per la quale il vincitore prende sempre tutto».
Davide ha sviluppato la sua capacità di leggere i bilanci e di parlare con gli altri: «Per capire gli altri, gli occhi sono fondamentali. Hai pochi secondi per intuirne il carattere. Devi scommettere sulla loro affidabilità. Devi sentire le loro debolezze. C’è chi usa sostanze pensando di sostenersi e in realtà affossandosi. Da ragazzo facevo volontariato con la San Vincenzo alla Stazione Centrale di Milano, un giorno una persona provò ad accoltellarmi, io mi difesi e da allora riconosco gli occhi del drogato», dice con l’assenza di moralismo di chi avrebbe potuto fare lo psicoterapeuta ultra razionalista o il prete che sa che cosa sono
il mondo e la natura umana.
Davide mangia con calma metodica il sushi, il sashimi, lo spicy salmon roll, le verdure e il mango. Io faccio più fatica con la forchetta, ma riesco comunque. E il pesce crudo dà sempre un bel senso di piacevole leggerezza. Nel caos della vita intima e nel caos dei mercati finanziari, Serra ha fatto una scelta di identità semplice. La risposta più elementare alla massima complessità. In ogni campo. Questo vale nel suo lessico famigliare, con una stabilità di lunga durata: «Ho conosciuto Anna nel secondo periodo all’estero da studente a Lovanio, in Belgio. Lei, studentessa italiana di lettere, era là in Erasmus. Stiamo insieme da allora e ci siamo sposati 25 anni fa. I nostri figli si chiamano Sofia, che ha 20 anni, Tommaso, che ne ha 18, Anita di 16 e Filippo di 14». E questo vale anche per i mercati: «Ho scelto il nome Algebris seguendo l’insegnamento di George Soros e Chris Hohn. Per loro, un investimento non è buono se non lo puoi spiegare con le quattro operazioni elementari».
Nulla è più complesso dell’Italia. Con le sue asimmetrie e le sue opacità, le sue inciviltà e i suoi doppi o tripli fondi. Davide è tornato quattro anni fa, regalando alla famiglia la duplice dimensione inglese e italiana. Negli Stati Uniti pezzi della finanza si stanno spostando da New York a Miami. In Europa da Londra a Milano. «Appena laureato in Bocconi, mandai 110 curricula a società italiane. Mi risposero solo gli uffici italiani di McKinsey e JPMorgan. Ne spedii 120 all’estero. Risposero in sessanta», spiega senza risentimenti. Davide si è re-innamorato dell’Italia. «Esistono due Italie. Negli ultimi vent’anni, se uno avesse investito 100 euro nel Mib 30, cioè le aziende a maggiore capitalizzazione, avrebbe oggi ancora i suoi 100 euro, ma non di più. Se avesse fatto lo stesso con le Pmi quotate, i suoi 100 euro sarebbero aumentati a 600. Noi siamo diventati il terzo investitore nelle mid-cap italiane. Io ho grande stima, umana prima che professionale, per gli imprenditori del nostro Paese: i Doris, gli Zambon, i Merloni nel ramo di Francesco, i Bombassei, gli Zegna, i Marcegaglia e Daniele Ferrero che ha rilanciato il cioccolato Venchi».
Mentre beviamo l’espresso, Serra ricorda un altro elemento di vantaggio di Milano rispetto a Londra: «A Milano, nelle cene di lavoro, non mi sono mai sentito in imbarazzo. Esiste da noi una presunzione di cattiva fede, collegata alla presenza della criminalità organizzata, che ha sovra-regolato il mercato finanziario e la raccolta dei capitali. In Inghilterra c’è la presunzione di buona fede. Per questo la City ha offerto non pochi varchi di accesso ai capitali russi, nigeriani e arabi di ogni tipo». Per una volta, il paradosso italiano produce buoni frutti. Salutandoci, chiedo a Davide in quale lingua sogni: «Sogno in inglese, ma conto in italiano», sorride tutt’altro che stupito per la domanda.
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