Ddl anziani, ecco le prossime tappe per raffozare assistenza domiciliare e sostegni
Cristiano Gori: «È nella prossima legge di Bilancio che il Governo sarà chiamato a decidere se e quante risorse economiche dedicare. La spesa pubblica per l'assistenza agli anziani è decisamente inadeguata nel nostro Paese»
di Barbara Gobbi
5' di lettura
“Quella approvata il 21 marzo dal Parlamento è una riforma a due facce, contemporaneamente poco controversa e poco considerata, nonostante riguardi oltre 10 milioni di persone tra anziani interessati, familiari impegnati ad assisterli e operatori coinvolti. Invece, per recuperare i finanziamenti indispensabili, deve diventare una priorità politica”. Cristiano Gori, coordinatore del Patto per un Nuovo Welfare sulla Non autosufficienza che ha dato un contributo sostanziale al testo del “Ddl anziani” approvato definitivamente dal Parlamento, analizza la riforma a cui l'Italia - pur essendo il secondo Paese più anziano - al mondo dopo il Giappone arriva da buona ultima rispetto agli altri grandi partner europei: la Germania nel 1995, la Francia nel 2002, la Spagna nel 2006 si erano già dotate di una legge.
Finalmente ci siamo, dopo un iter complesso: cosa occorre per mettere le ali a questa riforma?
È nella prossima legge di Bilancio che il Governo sarà chiamato a decidere se e quante risorse economiche dedicare. La spesa pubblica per l'assistenza agli anziani è decisamente inadeguata nel nostro Paese, lo dimostrano tonnellate di studi e di dati che analizzano i bisogni insoddisfatti presenti in Italia così come le comparazioni con gli altri Paesi. Per tradurre la riforma in pratica, dunque, è necessario aumentare sensibilmente i finanziamenti, altrimenti rimarrà solo una serie di buone intenzioni sulla carta.
Come è possibile che una legge delega di tale portata non preveda nuovi stanziamenti?
La riforma è stata inserita nel Piano nazionale di ripresa e resilienza grazie alla pressione delle 57 organizzazioni riunite nel Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza. Ma era ben chiaro che – in virtù di quanto previsto per il Pnrr le cui innovazioni non possono prevedere incrementi strutturali di spesa corrente - la legge inizialmente sarebbe partita senza fondi aggiuntivi. Ciononostante, si è perseguita la sua introduzione perché gli impegni vincolanti del Pnrr e i tempi prestabiliti a livello europeo parevano rappresentare una possibilità unica per riformare – dopo un'attesa di almeno 25 anni - un settore molto debole politicamente. Il ragionamento è stato: “blindiamo il tema anziani nel Piano nazionale di ripresa e resilienza in modo da avere la certezza che si farà, e intanto lavoriamo perché questa diventi l'occasione per accrescere l'attenzione sul tema e di conseguenza anche i relativi fondi”. Il prossimo futuro dirà se questa è stata la strategia giusta.
Cosa resta ancora da fare?
Va sottolineato che la Legge delega contiene l'impianto complessivo della riforma: la traduzione in indicazioni puntuali andrà realizzata dal Governo nei decreti delegati, da promulgare entro gennaio 2024. Tre gli obiettivi che - considerati congiuntamente - intendono affrontare le criticità di fondo del tema “anziani”. Si tratta di costruire un settore unitario e specifico del welfare, così da superare l'attuale caotica frammentazione delle misure e riconoscere l'importanza di questo ambito per la società italiana; di definire nuovi modelli di intervento, progettati a partire dalle condizioni di anziani e famiglie e, quindi, in grado di rispondere opportunamente alle loro complesse esigenze; di incrementare sensibilmente i finanziamenti pubblici dedicati, per superare l'attuale ridotta disponibilità di risorse. Obiettivi importanti per l'intero Paese, mentre il loro rilievo cambia tra le diverse realtà locali. Per ognuno degli interventi previsti, di conseguenza, lo Stato indica solo pochi elementi qualificanti e ogni territorio compie i passi necessari per adeguarsi. In tal modo non vengono chiesti inutili cambiamenti ai contesti che, in tutto o in parte, già possiedono i requisiti richiesti.
Assistenza a domicilio e nuove modalità di sostegno: cosa cambia nella sostanza?
Sul fronte della domiciliarità, la legge introduce servizi pubblici appositamente ideati per gli anziani non autosufficienti, di durata adeguata a una condizione che può estendersi per anni mentre oggi sono erogati per lo più per 2-3 mesi. Poi è previsto un mix di interventi, con la possibilità di fruire di una pluralità di servizi medico-infermieristici-riabilitativi, di sostegno alle attività fondamentali della vita quotidiana dell'anziano e di affiancamento ai familiari. Quanto ai benefici economici, l'indennità di accompagnamento viene trasformata nella prestazione universale per la non autosufficienza e la possibilità di riceverla continua a dipendere dal bisogno di assistenza dell'anziano indipendentemente dalle sue condizioni economiche. Oggi tutti i percettori di indennità ricevono la stessa cifra (527 euro mensili) che rappresenterà il livello minimo della prestazione. Il suo ammontare sarà graduato al rialzo per chi ha più bisogno di assistenza. I beneficiari possono scegliere tra due opzioni: un contributo economico senza vincoli d'uso, come è oggi per l'indennità o la fruizione di servizi alla persona da gestori privati, pubblici o badanti regolarmente assunte e in questo secondo caso si ha una maggiorazione dell'importo.
Quali i punti di forza della riforma, in sintesi?
Nelle sue indicazioni di maggior rilievo la Delega non inventa niente di nuovo, nel senso migliore del termine. Infatti, valorizza gli insegnamenti dell'esperienza italiana, nei suoi aspetti positivi e nelle sue criticità, così come i messaggi provenienti dalle riforme già realizzate all'estero. Ed è un testo “completo”, che non elude nessuna questione problematica dell'assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia. Inoltre, le strade individuate per superare le criticità fondamentali del settore in Italia sono impegnative ma fattibili. E questo consente di evitare i rischi abituali delle leggi delega: indicazioni irrealizzabili perché troppo ambiziose o pure enunciazioni di principio non traducibili in misure concrete. Importante è stata poi la condivisione con la grandissima maggioranza degli addetti ai lavori, siano essi operatori, studiosi o organizzazioni della società civile.
E quali ombre ravvisa?
La prima criticità è che le forze politiche hanno sinora dedicato un'attenzione esigua alla riforma. Adesso che bisogna affrontare il nodo delle risorse economiche, il perpetuarsi del loro disinteresse sarebbe fatale. Va poi sottolineata la contraddizione con altre indicazioni del Pnrr: il Piano prevede un ampio investimento sino al 2026 per rafforzare l'attuale modello di domiciliarità, non pensato per la non autosufficienza. In assenza di correttivi, pertanto, avremo la riforma che indica una direzione per la domiciliarità e investimenti che vanno in quella opposta. E non mancano le difficoltà “tecniche” legate al fatto che per la prima volta si prova a realizzare una strategia nazionale per l'assistenza agli anziani, una materia molto complicata e della quale si sono sinora ben poco occupate. Proprio per questa complessità, con una riforma che coinvolge diversi ministeri a partire da Welfare e Salute, le Regioni e i Comuni, la capacità e la volontà di questi attori di costruire insieme nuove politiche per gli anziani - quando si entrerà nel merito dei decreti delegati - è da verificare. Un passaggio a cui non giova la “confusione” generale del testo: la delega licenziata dal Parlamento accompagna alcune indicazioni chiave con la declaratoria di un eccesso di buone intenzioni e la previsione di molte altre cose da fare non importanti. Sarà così più difficile, nei Decreti delegati, concentrarsi su ciò che conta.
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