De Matteis: «Bisogna investire nei nuovi talenti, non solo in macchinari»
L’ad di Kiton al debutto come presidente di Pitti Immagine: «Lavoreremo sulla formazione per sostenere l’industria. Che cresce anche grazie al fatto che nel mondo c’è euforia e voglia di vivere»
di Silvia Pieraccini
3' di lettura
Antonio De Matteis (detto Totò), 59 anni, napoletano, amministratore delegato del marchio di abbigliamento sartoriale Kiton, è al suo primo Pitti Uomo come presidente della società organizzatrice della fiera, Pitti Immagine, dopo che per 40 anni è stato “solo” un espositore: «Sono sempre venuto al Pitti fin dal 1982 – spiega - e sono stato tra i pochi che ha partecipato anche nel gennaio 2022, quando il Covid imperversava. Del resto mio zio Ciro Paone (fondatore del l’azienda, ndr) è stato tra coloro che lanciarono il salone».
Ora che è presidente cosa farà?
«È una bella sfida, perché qui non è come operare nella propria azienda, che si conosce a memoria. Ma mi reputo molto fortunato: ho trovato una società in ottima salute, che ha lavorato bene durante la pandemia, organizzando un’edizione strepitosa nel gennaio scorso. Credo che questo trend continuerà, e le tante richieste di partecipazione alla fiera fanno ben sperare».
Cosa deve fare un salone come Pitti?
«Deve continuare a essere attento all’evoluzione del mercato: viviamo in un’epoca in cui i cambiamenti sono molto forti, per questo la regola deve essere non-regole. Ci vuole grande apertura all’innovazione, bisogna continuare a cercare talenti, avere attenzione alle aziende medio-piccole come per quelle internazionali, perché Pitti Uomo è l’unica fiera maschile interessante al mondo: oggi, se un marchio vuol farsi conoscere da una clientela internazionale, deve venire a Firenze. In Germania le fiere sono tecnicamente finite, Londra ha difficoltà a riprendersi, così come New York».
Quindi è per la continuità?
«Pitti è un’azienda e va aggiornata, modificata e adeguata ai tempi, ma senza perdere il Dna; deve portare innovazione, nuovi stilisti, spiegare l’evoluzione del costume, creare eventi che stimolano il confronto. È come stare in un campo di calcio, bisogna adattare il gioco».
Finora Pitti ha attirato espositori e compratori internazionali a Firenze, senza mai organizzare fiere all’estero. Continuerà così?
«Credo di sì. Abbiamo la fortuna di avere due eventi, Pitti Uomo e la Milano Fashion Week, uno dietro l’altro, che hanno la forza unica di attirare in Italia il mondo: perché cambiare? In Italia si viene per lavoro, ma anche per la cucina, il paesaggio. Io continuerei a lavorare in questa direzione».
La pandemia ha portato in molte aziende difficoltà nell’organizzare la produzione. Come si risolvono?
«Come abbiamo fatto noi in Kiton, tornando a produrre direttamente: siamo partiti nel 2000 con una scuola di formazione per sarti che ha selezionato con difficoltà dieci giovani, poi tutti assunti in azienda e pagati degnamente. Così si è creato un volano, tanto che oggi abbiamo richieste dieci volte superiori ai posti disponibili. Finora abbiamo formato 200 giovani e ne abbiamo assunti l’80%: se si dà il giusto riconoscimento morale e economico, i giovani non scappano. Bisogna investire nella formazione, noi imprenditori abbiamo il dovere di farlo».
Pitti Uomo potrebbe lanciare un’operazione in questo senso?
«È una delle iniziative che vorrei mettere in campo. Tutti possono affiancare un giovane a un lavoratore esperto, anche i piccoli laboratori: vorrebbe dire sacrificare una piccola parte degli utili, ma questi si chiamano investimenti. Non si investe solo se si comprano macchine da cucire. Mi piacerebbe riuscire a fare un’operazione di questo genere».
L’industria italiana della moda maschile è cresciuta a doppia cifra nel 2022, cosa prevede per il 2023?
«Prevedo ancora crescita, e non solo per il lusso, perché la mentalità, soprattutto per chi è della mia generazione, col Covid è cambiata: la gente ha capito che può morire da un minuto all’altro e ora vuole viaggiare, vuole fare vita sociale, vuole andare al ristorante. Non vale solo per i ricchi, ma a tutti i livelli, in proporzione. Nel mondo c’è euforia, voglia di vivere, e questo porta crescita al settore. Naturalmente non tutte le aziende vanno bene, ma solo quelle che hanno innovato, migliorato il prodotto e il servizio, prodotto idee. Esattamente come deve fare Pitti».
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