De Mita, da Nusco a Palazzo Chigi la passione politica attraverso la Prima Repubblica
Segretario della Dc e presidente del Consiglio negli anni ’80, decennio segnato dalla rivalità con Craxi. Ma fu protagonista anche dopo la “frattura” del 1992
di Dino Pesole
I punti chiave
4' di lettura
Della cosiddetta “Prima Repubblica”, Ciriaco De Mita - morto il 26 maggio 2022 a 94 anni - è stato senza dubbio uno dei protagonisti di maggiore spicco. Lo sarà per la verità anche dopo la “frattura” del 1992, quando il sistema politico che aveva retto le sorti del Paese dal secondo dopoguerra in poi collassò sotto i colpi di Tangentopoli e della violenta crisi finanziaria che si abbattè sulla nostra economia, ma in altre vesti. Si pagava allora il conto degli anni Settanta e Ottanta, gli anni dell’esplosione del debito pubblico, fotografato in queste cifre: in dieci anni, dal 1982 al 1992, il passivo dei nostri conti pubblici era passato dal 66,4% al 110,8% del Pil. E gli anni Ottanta sono proprio quelli in cui si fecero e disfecero alleanze, con De Mita nel ruolo di regista, spesso di “facilitatore” di possibili alleanze, leader della Dc ai massimi livelli e poi presidente del Consiglio. Certo un politico di razza, come il suo amico/avversario di partito Amintore Fanfani.
Gli esordi
La Democrazia cristiana è stata la sua casa, ne conosceva pregi e limiti, fino a quell’esasperato correntismo che costringeva a repentine crisi di governo, poi ricomposte e ancora una volta disfatte. Vicende ben note fin dagli anni Cinquanta, quando dalla crisi del centrismo al primo governo “organico” di centrosinistra con il Psi passarono dieci anni. Preparato dal governo Fanfani del 1962 con l’astensione del Psi guidato da Pietro Nenni, fu Aldo Moro l’anno dopo a stabilizzare l’alleanza con i socialisti, con Nenni vice presidente del Consiglio. Ed è proprio nel 1963 che il trentacinquenne Ciriaco De Mita fa il suo esordio in Parlamento con la “maglia” della “sinistra di base”, una delle varie correnti della Dc fondata da Enrico Mattei e Giovanni Marcora. A quella corrente di sinistra della Dc De Mita è stato sempre sostanzialmente fedele.
Un trentennio nelle istituzioni
Trent’anni di permanenza in Parlamento, incarichi di governo e istituzionali a ripetizione, che il “sindaco” come amano tuttora ricordarlo i suoi concittadini a Nusco, ha con disinvoltura alternato alle responsabilità nel partito, di cui è stato segretario e presidente. Alla fine degli anni Ottanta, al termine dell’esperienza del governo Craxi e del fallimento del cosiddetto “patto della staffetta” tra la Dc e il Psi, i due principali partiti alleati di governo, De Mita - uomo di potere a tutto tondo - è stato contemporaneamente segretario della Democrazia cristiana e presidente del Consiglio. E a tutti i suoi interlocutori amava dispensare pillole di ironica e disinvolta “saggezza politica”, con suo modo rotondo di esporre i concetti, i “ragionamenti” (anzi i “ragionamendi” per dirla in perfetto dialetto avellinese) con cui provava a convincere della fondatezza delle sue argomentazioni. Lotte intestine dilanianti, quelle tra le correnti della Dc, come quando partì la stagione del centro-sinistra organico o quando si trattò di dichiarare chiusa la stagione del “compromesso storico” e di aprire all’alleanza con Craxi, l’alleato/nemico con cui De Mita ebbe rapporti a dir poco dialettici, ma non poteva che essere così vista la distanza anche culturale e per certi versi antropologica tra i due.
La corrente degli avellinesi
De Mita che nel maggio del 1982 aveva conquistato la segreteria della “Balena bianca”, inaugurando con ciò la nascita dell’’ennesima corrente, quella degli “avellinesi” in cui militarono personaggi di spicco come Nicola Mancino, Gerardo Bianco, Giuseppe Gargani, Clemente Mastella, cominciò a tessere la sua tela. Il pentapartito, certo, ma soprattutto l'inevitabile alleanza con il Psi di Bettino Craxi. E il dialogo con le opposizioni sul versante delle riforme istituzionali, che De Mita ha sempre considerato cruciale, come mostrò plasticamente nella regia che nel 1985 portò Francesco Cossiga al Colle alla prima votazione.
Il dualismo con Craxi
L'era craxiana, con tutti i suoi miti fondanti, non piaceva granché a De Mita, uomo di tradizioni ancorato alla sua terra, in fondo non molto lontano da quel ritratto che ne tracciò con evidente ironia un raffinato “borghese” come Gianni Agnelli: “De Mita? È un intellettuale della Magna Grecia!». Nel 1985 De Mita viene rieletto segretario con il 75% dei voti. Craxi capisce che la resa dei conti si sta avvicinando. Come ricordano Simona Colarizi e Mario Gervasoni («La cruna dell’ago. Craxi, il partito socialista e la crisi della Repubblica», Laterza, 2005), proprio nel giorno dell’apertura del congresso della Dc, il 26 maggio 1986, la Borsa di Milano perde 4 punti e dopo pochi giorni crolla del 9,3%. Era mutato il clima sui mercati, come non mancava di rilevare La Stampa di Torino: «È il frutto della leggerezza e precipitazione con cui gli araldi di un presunto nuovo rinascimento hanno annunciato il nuovo boom». Il craxismo come modello mostrava le sue crepe. De Mita comincia a tessere la tela per ridimensionare il peso politico dei socialisti.
L’approdo a Palazzo Chigi
Nell’aprile del 1988 è lui a insediarsi a Palazzo Chigi, ma già comincia a prendere corpo la “grande congiura” ordita da Craxi, Andreotti e Forlani (il “Caf”) che porterà alla defenestrazione del leader di Nusco. Nel gennaio del 1989, Craxi replica così alla convocazione da parte di De Mita di un vertice urgente di maggioranza: «È la prima e ultima volta che rispondo a una cartolina precetto». Da lì a breve a Palazzo Chigi tornerà Andreotti e il Caf trionferà, ma quel fatidico '92 era alle porte. De Mita è riuscito a passare indenne dalle inchieste giudiziarie che hanno travolto la “prima Repubblica”. Da allora la passione politica è rimasta indenne nel suo dna. Nel bagaglio del leader quell’ardito, controverso tentativo di “rinnovamento” della Dc dopo l’assassinio di Aldo Moro nel 1978 ad opera delle Brigate rosse, con l’apertura a personalità “esterne” (De Rita, Prodi, Ruffilli, tra questi) che provassero a far riemergere l’anima autentica del cattolicesimo democratico persa nei mille rivoli del correntismo. Poi il crollo del Muro di Berlino ci ha consegnato un’altra storia: la fine della Guerra fredda e il tramonto delle ideologie novecentesche. De Mita è rimasto fedele a se stesso, sindaco di fatto a vita della sua Nusco.
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