De Rosa (Lvmh): «Il vero motore della creatività sono i saperi artigianali»
Il manager italiano è a capo di Metiérs d’Art dal dicembre 2021. La divisione conta 22 aziende che danno lavoro a circa 2.700 persone e che nel 2022 si stima abbiano generato circa 500 milioni di ricavi
di Giulia Crivelli
3' di lettura
C’è un’alchimia davvero speciale all’interno di Lvmh, il più grande gruppo del lusso al mondo, leadership che nel 2022 si è ulteriormente rafforzata, con ricavi che hanno sfiorato gli 80 miliardi di euro. Le maison in portafoglio a Lvmh sono 75 e la più importante per ricavi e margini è Louis Vuitton, che nello scorso esercizio ha superato i 20 miliardi di fatturato, rafforzando a sua volta il primato tra i marchi di alta gamma. Ma oltre a nomi conosciuti a livello globale, da Dior a Fendi e Loro Piana (divisione moda e pelletteria) a Bulgari e Tiffany (divisione orologi e gioielleria), ci sono altri due mondi nell’universo Lvmh e si chiamano Metiérs d’Excellence e Metiérs d’Art.
Alexandre Boquel, direttore del primo, ha presentato mercoledì scorso a Milano il debutto del Premio Maestri d’eccellenza, promosso da Lvmh e Fendi in collaborazione con la Camera della moda italiana e Confartigianato. In quell’occasione e per spiegare l’alchimia che caratterizza il gruppo francese, Boquel ha paragonato la sua divisione e l’altra, Metiérs d’Art, a software e hardware dell’affascinante filiera produttiva alla base della più potente macchina del lusso al mondo, Lvmh. A capo di Metiérs d’Art, dal dicembre 2021, c’è l’italiano Matteo de Rosa, al quale abbiamo chiesto di raccontare le attività della divisione.
È d’accordo nel paragone informatico di Alexandre Boquel?
La chiamerei piuttosto una metafora e la usiamo spesso all’interno del gruppo, perché rende bene l’idea di come il valore intrinseco di ogni prodotto di ogni maison di Lvmh sia legato alle sue origini, dall'approvvigionamento delle materie prime alla loro lavorazione e poi trasformazione in quello che troviamo nelle vetrine di tutto il mondo. La nascita di Metiérs d’Art si spiega proprio così e la sua crescita è stata costante: da quattro aziende del 2015 siamo arrivati a 22, che danno lavoro a circa 2.700 persone e che nel 2022 si stima abbiano generato circa 500 milioni di ricavi. Si trovano nei cinque continenti, perché ci sono eccellenze da preservare in tutto il mondo, per dare un futuro ai prodotti di alta gamma e al lavoro, altrettanto sofisticato e prezioso,
di chi aiuta a crearli.
Del network fanno parte anche realtà italiane?
Mi è capitato di sentire dire spesso che oltre all’anima francese, Lvmh ne ha una italiana: è proprio così, sia per le numerose maison del gruppo nate nel nostro Paese, sia per le realtà produttive. Le aziende della divisione che guido si caratterizzano perché sono al servizio dell’intero gruppo, poi ce ne sono alcune che hanno rapporti con singole maison o divisioni. In Italia Metiérs d’Art comprende la conceria toscana Masoni e un’impresa veneta, Menegatti, specializzata in metalleria. Siamo in trattative per altre aziende, in particolare nella filiera della pelle.
Cosa vi guida nella scelta delle aziende in cui entrare?
Abbiamo un vero e proprio credo e le parole sono importanti: Metiérs d’Art è stata creata per dare un futuro sostenibile, in tutti i sensi, al gruppo. Desideriamo proteggere e sviluppare l’accesso di tutte le maison a materie prime e savoir faire di eccellenza, ma allo stesso tempo vogliamo, viste le nostre dimensioni e forza, supportare in un’ottica di lungo periodo i nostri migliori fornitori, producendo valore e innovazione e allo stesso tempo riducendo l’impronta di carbonio delle diverse filiere. I tre tipi di sostenibilità, economica, sociale e ambientale, sono un ecosistema, che stiamo costruendo e che richiede lo sforzo di tutte le persone che, a vario titolo, vivono nell’universo Lvmh, consumatori compresi, che chiedono sempre più trasparenza su ogni aspetto.
Si dice che l’artigianalità vada perdendosi. È d’accordo?
No, a patto di capire che le nuove generazioni di artigiani sono diverse dalle precedenti, tranne che nella creatività, una luce che splendeva ieri come splende oggi. È necessario però prima di tutte mettere in sicurezza dal punto di vista economico le imprese più piccole e poi dare a chi ci lavora, magari seconda o terza generazione della famiglia fondatrice, strumenti digitali e di analisi, per accompagnarli, o farsi accompagnare, in un percorso di bello e ben fatto sempre più sostenibile.
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