Debellato il cartello degli appalti in Calabria
di Roberto Galullo
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Se le cosche di ‘ndrangheta fanno ricorso ad associazione temporanee d'impresa (Ati) per monopolizzare gli appalti, lo stesso hanno deciso di fare le Procure di Reggio Calabria e Catanzaro per debellarle.
Le due Direzioni distrettuali antimafia – con a capo Federico Cafiero De Raho e Nicola Gratteri – con l'operazione ancora in corso sull'intero territorio nazionale hanno infatti sgominato un vero cartello di imprese calabresi e all'occorrenza del nord, spesso riunite in associazione temporanea, che si presentavano alle gare con offerte in bianco. Poi c'era chi si occupava di riempirle in modo che l'Ati si aggiudicasse lavori».
35 soggetti coinvolti
Gli uomini dei Comandi provinciali della Guardia di finanza di Reggio Calabria e Cosenza, con l'ausilio dello Scico e del Comando Provinciale di Roma e altri numerosi reparti dell'intero territorio nazionale, stanno procedendo al fermo di indiziato di delitto nei confronti di 35 soggetti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione per delinquere aggravata dall'aver favorito la mafia, turbata libertà degli incanti, frode nelle pubbliche forniture, corruzione e falso ideologico in atti pubblici nonché al sequestro preventivo di 54 imprese su tutto il territorio nazionale.
I provvedimenti rappresentano l'epilogo di un'articolata attività investigativa svolta dal Gico del Nucleo di polizia tributaria di Reggio Calabria e dal Nucleo di polizia tributaria di Cosenza che hanno consentito di accertare, da un lato, come un importante gruppo imprenditoriale operante nella piana di Gioia Tauro, si era posto come punto di riferimento della cosca Piromalli al fine di turbare, sistematicamente, almeno 27 gare indette da plurime stazioni appaltanti calabresi nel periodo 2012/2015 riguardanti l'esecuzione di importanti lavori pubblici nll'area calabrese e, dall'altro, l'esistenza di un imprenditore che, grazie alle relazioni con il clan Muto (attivo sulla costa dell'alto Tirreno calabrese) nonché con il reggente della cosca cosentina Lanzino-Ruà-Patitucci, si è aggiudicato i più importanti appalti della provincia di Cosenza nel periodo 2013/2015.
Appalti pubblici irregolari a Gioia Tauro e nel cosentino
Le indagini hanno approfondito i profili imprenditoriali della criminalità organizzata nella piana di Gioia Tauro e nel cosentino, legati al settore degli appalti pubblici, che trovano punto di convergenza nella figura di alcuni imprenditori legati alla ‘ndrangheta.
L'operazione ha infatti accertato il diretto coinvolgimento del gruppo imprenditoriale Bagalà, che ha costituito e consolidato nel settore degli appalti pubblici in Calabria una posizione di assoluto predominio, sfruttando, secondo l'accusa, l'appartenenza alla cosca Piromalli, tra le più potenti della ‘ndrangheta, riuscendo sistematicamente a turbare almeno 27 gare indette da diverse stazioni appaltanti (tra le quali i Comuni di Gioia Tauro, Rosarno, Cosoleto, la Provincia di Reggio Calabria, l'Anas, nel periodo 2012/2015, per un valore complessivo superiore a 90 milioni.
Grazie anche ai rapporti corruttivi con funzionari delle stazioni appaltanti e al ricorso a professionisti collusi il gruppo ha influito sul regolare svolgimento delle gare pubbliche mediante la costituzione di un cartello composto da oltre 60 società che, attraverso la presentazione di offerte precedentemente concordate, è stato in grado di determinare l'aggiudicazione degli appalti a una delle imprese della cordata.
Nel corso delle indagini è stata individuata una cerchia di soggetti risultati pienamente inseriti in quella organizzazione che gli indagati, negli stessi dialoghi intercettati, hanno definito la “cumbertazione” (termine dialettale reggino utilizzato per indicare un'associazione “chiusa”).
Accanto al nucleo essenziale della famiglia Bagalà – in particolare dei fratelli Giuseppe e Luigi, nonché dei rispettivi figli Francesco e Francesco – sono stati individuati altri soggetti, con ruoli chiave nel sistema di controllo degli appalti di lavori gestito dalla famiglia Bagalà. Accanto a questi soggetti, una serie di ditte compiacenti in Calabria, Lazio, Sicilia, Campania e Toscana a cui venivano fatte presentare le offerte secondo importi che avrebbero automaticamente garantito ad una di esse l'aggiudicazione.
In taluni casi le imprese, scelte in ragione dei propri requisiti tecnici ed economici (come nel caso dei gruppi Cittadini e Barbieri), si sono prestate a partecipare fittiziamente alle gare, singolarmente o in Ati o Rti (Raggruppamenti temporanei di imprese), per conto dell'organizzazione (ricevendo in cambio una percentuale che variava dal 2,5% al 5% sull'importo posto a base d'asta, al netto del ribasso), in altri casi, le stesse hanno presentato offerte fittizie, ricevendo in cambio, ad esempio, la garanzia che l'organizzazione, a sua volta, avrebbe presentato offerte fittizie per appalti di loro interesse così aiutandole ad aggiudicarsi le relative gare.
In questo sistema, sostenuto da un collante fatto di corruzione, imposizione ‘ndranghetistica e collusione, lo scopo perseguito dal gruppo Bagalà è stato quello di garantirsi il controllo del sistema delle gare pubbliche indette dalle stazioni appaltanti calabresi, procurandosi l'aggiudicazione illecita delle commesse da parte di imprese colluse, per poi effettuare direttamente i lavori garantendosi la presenza sul territorio attraverso il sistema delle procure speciali rilasciate ad alcuni soggetti. Anche laddove il cartello non fosse riuscito vincitore, infatti, venivano messe in atto manovre – sotto forma del subappalto o della procedura di nolo – per controllare in maniera diretta la gara.
Il vantaggio dell'organizzazione – in particolare dei Bagalà e dunque secondo le Procure della cosca Piromalli – è stato molteplice. Da un lato, quello economico direttamente derivante dall'esecuzione dell'appalto “per procura”; in secondo luogo quello di favorire diversi imprenditori mafiosi operanti sul territorio di esecuzione dei lavori, così da aumentare il prestigio dell'organizzazione, creare sinergie imprenditoriali/mafiose, consenso ed alleanze; in terzo luogo il vantaggio in termini mafiosi di eseguire visibilmente tutti i lavori in un territorio specifico, come il comune di Gioia Tauro, rafforzando così la posizione della cosca Piromalli. L'occupazione dei cantieri locali permette infatti anche l'assunzione delle maestranze imposte dalle famiglie ‘ndranghetistiche competenti per territorio, permettendo così all'organizzazione di creare un sistema «per cui tutti sono contenti», prendendo in prestito le parole di Giuseppe Bagalà.
Naturalmente per ottenere tali benefici, l'organizzazione ha curato i rapporti con il territorio, ossia con le cosche di ‘ndrangheta competenti, riconoscendo la tradizionale “tassa ambientale” del 3%. Proprio a tal proposito, Giuseppe Bagalà ha parlato di un fondo a ciò deputato e alimentato con una percentuale del valore dell'appalto accantonata dall'organizzazione.
L'operato illecito dell'organizzazione ha interessato anche la fase più propriamente esecutiva dei lavori in quanto, in alcune gare, sono state apportate varianti non autorizzate al progetto ed è stato riscontrato l'utilizzo di materiale scadente e/o di qualità diversa rispetto a quella prevista nel capitolato di appalto.
Tra le principali gare turbate, una spicca lo sviluppo del water front della città di Gioia Tauro (piazza, sistemazione lungomare, costruzione parco urbano, parcheggio, palazzetto dello sport, centro polisportivo e di servizio) il tutto per un importo pubblico di oltre 13 milioni. Sono emerse, infine, irregolarità anche nell'esecuzione dei lavori dello svincolo di Rosarno dell'autostrada A3 Salerno - Reggio Calabria in relazione alla procedura del cosiddetto “accordo bonario” prevista dal Codice degli appalti, in quanto sono state riconosciute all'impresa appaltante sostanziali agevolazioni in virtù di rapporti collusivi e/o corruttivi con funzionari pubblici.
L'operazione ha poi svelato la fitta rete di rapporti di carattere finanziario/economico, che legava un importante gruppo imprenditoriale cosentino con gli esponenti di spicco di alcuni clan, quello dei Muto (sulla costa dell'alto Tirreno), quello bruzio Lanzino-Ruà-Patitucci e quello reggino dei Piromalli.
Seguendo gli spostamenti di un dipendente fidato dell'imprenditore intraneo alla cosca, i finanzieri del nucleo di Polizia tributaria di Cosenza hanno ricostruito le dinamiche, le relazioni e gli accordi con gli altri gruppi criminali operanti sul territorio calabrese. Grazie a questi intrecci, 10 aziende riconducibili allo stesso imprenditore sono riuscite ad aggiudicarsi i più importanti appalti (costruzione e gestione) nella provincia di Cosenza nel triennio 2013/2015. Il valore complessivo degli appalti ammonta ad oltre 100 milioni derivanti dalla costruzione, riqualificazione e gestione venticinquennale degli impianti e dei servizi annessi.
Appurata la connotazione dell'imprenditore e delle imprese a lui facenti capo, la Dda di Catanzaro ha disposto il sequestro dei cantieri, delle dieci soocietà coinvolte, dei relativi conti correnti, dei numerosissimi beni ad esse intestate: 38 immobili (ville, box, locali commerciali), una struttura alberghiera con 144 camere e spiaggia annessa, piscina, ristorante e impianti sportivi, un locale notturno (discoteca), 1 sala slot e videolottery, cinque automezzi. Il tutto per un valore di oltre 10 milioni.
r.galullo@ilsole24ore.com
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