Debito verde dopo il boom: le sfide per il 2022
Nel 2021 le emissioni di debito sostenibile hanno raggiunto i 1.500 miliardi di $ a livello globale: +90% rispetto al 2020. Ma quest’anno tutto potrebbe cambiare
di Marcello Minenna
I punti chiave
7' di lettura
Gli investimenti verdi hanno chiuso il 2021 con il botto. Al di là di ogni previsione di crescita, le emissioni annuali di debito sostenibile hanno raggiunto i 1.500 miliardi di $ a livello globale, un incredibile +90% rispetto al 2020, che pure aveva registrato un sensibile trend di aumento (cfr. Figura 1).
Per capire l'accelerazione in corso, si consideri che a maggio 2021 le grandi banche di investimento mondiali avevano stimato un livello di circa 900 miliardi, incrementato a 1.200 ad agosto. È verosimile dunque che si tratti dell'ennesima sottostima, destinata ad essere aggiornata al rialzo entro poche settimane.
L'andamento esponenziale delle emissioni conclama l'esistenza di una vera e propria bolla speculativa. Rispetto allo sviluppo lento ed ordinato di alcuni anni fa, il mercato è in cambiamento tumultuoso ed il 2022 potrebbe essere caratterizzato da nuovi fenomeni che potrebbero influire radicalmente sulla sua espansione. Cerchiamo di capire gli scenari plausibili.
L’ascesa degli investimenti “sustainability linked” e le sue conseguenze
All'interno dell'etichetta di debito “sostenibile” (o ESG, Environmental, Social e Governance) rientrano una vasta gamma di investimenti: il più diffuso (barre verdi) sono ancora i c.d. green bonds, cioè le obbligazioni verdi “classiche” strutturate intorno ad uno standard globale di certificazione, il cui funzionamento è coordinato dal consorzio globale della “Climate Bond Initiative” (CBI), una costola dell'ICMA (l'International Capital Market Association che è portavoce e referente globale degli emittenti di bond).
Durante la crisi pandemica si sono diffusi anche i social bonds (barre blu), obbligazioni destinate a finanziare le Casse Integrazioni Guadagni ed altri schemi di protezione dell'occupazione: l'Unione Europea (UE) è stata l'apripista a livello globale nell'emissione e management di social bonds a rischi condivisi grazie al progetto SURE (temporary Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency) che ha erogato quasi 100 miliardi di € ai Paesi membri più colpiti dalla crisi pandemica.
Tuttavia dal 2018 in poi la crescita più turbolenta è stata sperimentata da nuove categorie di strumenti: i sustainability linked bond/loans (barre gialle, rosse) che sono arrivati a rappresentare il 34% dell'intero mercato degli investimenti ESG (cfr. Figura 2). È impressionate osservare come, nonostante un ritmo di espansione invidiabile, il mercato globale dei green bonds classici abbia ridotto rapidamente il proprio peso e rappresenti ora solo il 35% del totale delle emissioni.
L'andamento dei flussi trimestrali delle emissioni negli ultimi 3 anni (cfr. Figura 3) riesce a rendere con un maggiore colpo d'occhio il differenziale nei tassi di crescita delle diverse categorie, con l'esplosione del fenomeno dei sustainability linked bond/loans negli ultimi trimestri.
Perché questo boom? Semplice: i sustainability linked bond/loans incorporano una maggiore flessibilità nella raccolta ed utilizzo dei proventi, al fine di permettere anche ad imprese operanti in settori non green come l'industria chimica o degli idrocarburi di accedere ad un mercato in crescita.
I green, social ed in parte i sustainability bonds condividono proprietà ben precise: 1) la connessione con un progetto esplicito da finanziare 2) la definizione di una specifica destinazione d'uso dei proventi e 3) l'impegno contrattuale alla pubblicazione periodica di un report di impatto ambientale. Si tratta di un framework piuttosto restrittivo che in passato ha funzionato bene nel ridurre il fenomeno del c.d. greenwashing (il comportamento fraudolento finalizzato a perseguire un ambientalismo puramente di facciata), ma che ha ovviamente ridotto la platea potenziale delle imprese emittenti.
Stante la presenza di obiettivi piuttosto “generici” di miglioramento dell'impatto ambientale, nei sustainability linked bond/loans è sorta la necessità di ancorare (il link) le performance di questi strumenti ad indicatori chiave di sostenibilità (key performance indicators, KPI). In parole semplici, l'obbligazione (o il prestito) ha delle cedole che sono collegate al raggiungimento di livelli-obiettivo in alcuni indicatori chiave, che possono essere ad es. l'ammontare emesso di CO2 oppure la minimizzazione di scarti di produzione tossici.
Se l'impresa manca questi obiettivi, le cedole crescono automaticamente secondo un meccanismo step-up incrementando il costo del finanziamento di un ammontare pari alla stima teorica del danno prodotto dal comportamento negligente.
In teoria il meccanismo del link con gli indicatori KPI offre un innegabile incentivo all'impresa a centrare l'obiettivo di sostenibilità: mentre con i green bonds la responsabilità dell'impresa è solo reputazionale, in questo caso ci sarebbe un effetto economico tangibile sui conti aziendali. Inoltre i bondholders sarebbero più tutelati rispetto agli investimenti green standard, potendo contare su un potenziale bonus in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi ambientali.
Tutto bene quindi? Non proprio: allo stato attuale non esiste una definizione univoca e standardizzata per gli indicatori KPI che possa consentire di effettuare un controllo esterno sul raggiungimento delle performance e paragoni chiari tra prodotti. Inoltre si sta diffondendo tra le imprese emittenti la pratica di dubbio valore etico di porre l'asticella degli obiettivi molto vicina ai livelli attuali già raggiunti, per avere la certezza di centrarli senza troppo sforzo e mantenere gli esborsi al livello minimo.
Tuttavia, occorre confrontarsi pragmaticamente con quelle che sono le attuali prospettive e spingere per una rapida standardizzazione dei KPI: secondo le stime più recenti della banca Barclays, nel 2022 il mercato dei sustainability linked bond/loans dovrebbe crescere del 50%-70% e nel 2023 quasi tutta l'emissione di debito sostenibile potrebbe avvenire all'interno di questa categoria.
Anche le istituzioni europee si stanno adeguando alla realtà del mercato: da settembre 2020 la Banca Centrale Europea accetta questa tipologia di strumenti (ancorché con vari caveat) come collaterale per le operazioni di rifinanziamento standard delle banche mentre la Banca Europea degli Investimenti ha erogato diversi prestiti attraverso questi schemi contrattuali.
La difficoltà nel definire una tassonomia globale
Nel 2022 il percorso verso uno standard globale per gli investimenti verdi potrebbe incontrare parecchi venti contrari. In queste settimane sta tenendo banco la polemica relativa all'intenzione della Commissione Europea di voler includere le attività energetiche basate su gas e nucleare nella c.d. “tassonomia verde” europea.
In generale, una tassonomia elenca tutte le attività ed i prodotti finanziari associati che contribuiscono alla transizione energetica e definisce in che percentuale si possano definire sostenibili sulla base di criteri predefiniti. Ci sono diversi approcci alla costruzione di una tassonomia verde. Il più comune prevede il riferimento al tipo di attività economica finanziata: energia, attività agricole, trasporti, edilizia e manifattura. Un secondo approccio è quello di fare riferimento al tipo di strumento finanziario coinvolto: ad esempio, la storica tassonomia della CBI sui green bonds (cfr. Figura 4).
L’UE è stata la prima al mondo a varare nel 2020 una “nomenclatura verde” del primo tipo, trasversale a diversi mercati. Secondo l'OCSE (l'organizzazione delle economie industrializzate), essa è unica per il livello di dettaglio dei requisiti di conformità richiesti per ogni tipologia di attività economica. Solo la tassonomia UE regolamenta alcuni settori manifatturieri “delicati” al centro di vaste reti di interessi economici come il cemento, l'acciaio, l'alluminio, i prodotti chimici e l'idrogeno.
Tuttavia anche la nomenclatura europea presenta tutt'ora ampie lacune in termini di settori non coperti: aviazione e salute recentemente messe sotto i riflettori a seguito delle conseguenze economiche della pandemia e le categorie c.d. “di transizione”, cioè i settori industriali che ad oggi non sono a basse emissioni di carbonio (come il caso attualmente conteso del gas), ma in cui gli obiettivi di miglioramento delle prestazioni ridurranno l'entità delle emissioni.
Sempre più governi stanno lavorando a degli standard normativi e tassonomici in grado di regolamentare gli investimenti green in forte espansione e spesso le economie emergenti utilizzano un mix ibrido dei due approcci di base. Ad esempio, la Cina utilizza dettagliate tassonomie come base normativa per l’emissione di obbligazioni green e per le linee guida sul credito verde per le banche. Canada, Malesia e Emirati Arabi Uniti sono nella fase esplorativa, mentre altri mercati (in primis l'India) scontano un ritardo sempre più pesante.
La speranza è che lo standard europeo funga da “magnete” rispetto alla proliferazione normativa che invece ha caratterizzato il 2021 (più di 250 tipologie di certificazione verde in essere), altrimenti si rafforzerà l’incentivo a fare arbitraggio regolamentare per ottenere l’etichetta verde dalle certificazioni più lasche.
L'impatto del rialzo atteso dei tassi di interesse globali
L'ultimo meeting della Federal Reserve (FED) ha ufficializzato ciò che il mercato stava paventando da diversi mesi: il 2022 potrebbe essere caratterizzato da 3/4 rialzi dei tassi di interesse di riferimento USA. La mossa della FED si innesta all'interno di un trend che vede la Bank of England e le banche centrali dei Paesi emergenti già ben avviate in un ciclo di politica monetaria restrittiva: Russia, Brasile, Messico, Sud Africa hanno tutte implementato uno o più incrementi dei tassi di interesse.
Anche per le obbligazioni sostenibili vale la “legge di gravità” dei tassi di interesse: se i rendimenti delle future emissioni saranno sicuramente più alti, allora i prezzi degli strumenti finanziari attualmente quotati accuseranno il colpo. Il punto è che potrebbero farlo in maniera anche peggiore rispetto ai bonds convenzionali, a causa dei bassissimi rendimenti (5-10 punti base in media meno delle obbligazioni standard) e delle scadenze lunghe a cui sono stati collocati nell’ultimo anno di grande euforia.
I principali indici azionari/obbligazionari del settore hanno virato al ribasso all'incirca da marzo/aprile 2021 quando la forza della ripresa economica globale ha delineato il progressivo arresto del ciclo di espansione monetaria delle banche centrali (cfr. Figura 5). La tendenza sembra accelerare nelle prime settimane del 2022.
Per il momento la forza della domanda di debito verde da parte degli investitori è tale da rendere ininfluente l'andamento deludente dei prezzi, ma questo potrebbe non essere scontato in un contesto di tassi di interesse in rialzo. Nel lungo periodo, gli emittenti saranno costretti a strutturare la propria strategia di funding attraverso obbligazioni sostenibili in grado di generare rendimenti ben più alti, e questo non appare certo un compito facile.Quello sarà il momento della verità per la bolla speculativa in corso: quanto debito verde sarà effettivamente sostenibile in termini finanziari?
Marcello Minenna, Direttore Generale dell'Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli
@MarcelloMinenna
Le opinioni espresse sono strettamente personali
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