ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùI miti dello sport italiano

Deborah Compagnoni, la regina delle nevi più forte del dolore

Una carrellata di campioni dello sport italiano che hanno appassionato generazioni di tifosi e che hanno lasciato il segno fino ad oggi

di Dario Ceccarelli

(REUTERS)

7' di lettura

Anche lei è un poster degli Anni Novanta. La regina delle nevi, l'altra metà del cielo dello sci italiano e mondiale. Da una parte c'era Alberto Tomba, detto la “Bomba,” e dall'altra c'era lei, Deborah Compagnoni, la magnifica slalomista che piaceva a tutti perché aveva la leggerezza dei predestinati. Vinceva senza farlo pesare. Come fosse una cosa semplice, alla portata di tutti. Dove basta infilarsi gli sci e poi vien tutto da sé.

Invece dietro ai suoi successi c’era anche tanta fatica, allenamento e molto dolore. Il suo urlo in mondovisione, quando si ruppe il ginocchio sinistro alle olimpiadi di Albertville '92, dopo aver vinto il giorno prima l’oro nel Super G, lo ricordano tutti. Un po' come quello di Marco Tardelli ai Mondiali '82 in Italia-Germania. Solo che quello di Tardelli era un urlo di gioia sfrenata, di pura liberazione, quello di Deborah era invece un urlo di dolore e di sconforto. «Sì, avevo capito subito che mi ero fatta male seriamente. Mi era già capitato quattro anni prima nell'altro ginocchio. Sapevo bene quello che mi aspettava. Non ero neppure riuscita a godermi l’oro del giorno prima che ero già sulla barella. Lo sport è una dura lezione di vita, ti mette alla prova, ma alla fine ti obbliga a crescere. A ritrovare te stessa».

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È sempre un piacere ripensare allo sci di quegli anni. Anni più leggeri, più partecipativi, confrontati a quelli di oggi. Certo, anche adesso, grazie alla Valanga Rosa, pur con qualche delusione ai mondiali francesi, non ci facciamo mancare niente. Trent'anni fa però, dietro agli exploit dei nostri protagonisti, c’era tutta l’Italia che gioiva e soffriva per loro. Tutti davanti alla televisione. Tutti a fare il tifo. Per Tomba, perché sembrava il fratellone casinista che una ne fa e cento ne pensa. Per Deborah perché era la ragazza della porta accanto. Precisa, educata, sorridente. Con quella bella cantilena valtellinese che sapeva tanta di polenta e pizzoccheri, di cime innevate e passeggiate nei boschi. Un’Italia che ha dimenticato le magrezze del Dopoguerra e le ferite degli anni del terrorismo. Un’Italia che va in montagna anche per divertirsi. Che fa la settimana bianca iscrivendosi alla scuola di sci. E dopo l’ultima discesa, in un tramonto infinito, si gode il bicchierino della staffa.

Deborah Compagnoni, oggi 52enne, è di quella generazione di fenomeni. Nata a Bormio il 2 giugno 1970, e vissuta in piccolo paese vicino a Santa Caterina di Valfurva, dove da anni c’è l'albergo di famiglia, Deborah ha la fortuna di crescere in un ambiente fatto apposta per una bambina che ama la natura e la vita all'aperto. «Sono stata fortunata», ricorda con gli occhi che le brillano. «Ero in mezzo ai boschi e alla neve per otto mesi all’anno. Questo contatto mi ha aiutato molto. Ho fatto tante scoperte. Il piacere dello sciare viene anche da questo. Per me sciare è sempre stato un piacere. La competizione è venuta dopo. Vincere, certo, ti dà soddisfazione. Però alla base di tutto ci deve essere il piacere di fare un'attività che ti appassiona. Che ti riempia il cuore. Per questo dico che con lo sport, vinci sempre. Perfino quando perdi…».

La natura, le montagne, l'aria cristallina che ti riempie i polmoni. C'è tutto questo nella vita di Deborah, ma c'è anche un incrocio di destini. Il papa Giorgio, che fa il maestro di sci, nota subito che quella bimbetta di 3 anni sugli sci, due giocattoli di legno, se la cava come quando corre sul prato. E così tutto diventa più facile. «Mi sono sempre divertita. Anche quando ho cominciato a partecipare alle prime gare. Le facevo tutte, come andavo, andavo. C'era meno l'ansia della specializzazione. Mi è sempre piaciuto il gigante, perché è lo stile più naturale. Quello che con cui si scende normalmente. Io comunque facevo tutto, soprattutto da ragazzina».

La carriera e i successi

Che curriculum, quello di Deborah Compagnoni. In un carriera cominciata nel 1986, con le prime gare juniores, e terminata nel 1999, Deborah conquista tre ori e un argento alle Olimpiadi invernali. Tre ori ai Mondiali. Sedici vittorie in Coppa del Mondo con 44 podi. Inoltre, negli anni migliori della sua vita agonistica, tra il 1994 e il '98, centra tutti i trofei in palio. Un'impresa straordinaria, soprattutto alla luce dei pesantissimi incidenti che ha subito in carriera. Incidenti che avrebbero potuto fermarla per sempre considerando che 30 anni fa la chirurgia non era avanti come adesso. Un carattere di ferro con le ginocchia di cristallo. «Senza questi infortuni - racconta il suo allenatore Chicco Cotelli - Deborah sarebbe potuta diventare fortissima anche in Super Gigante, arricchendo ancor di più il suo palmarès. Ma questa sua fragilità ci ha impedito di impegnarla in allenamenti così specifici e prolungati».

Gli infortuni però non modificano il suo carattere. Sempre positivo, sempre pronto a riadattarsi a ogni nuova situazione. «Quando ci si fa male, bisogna avere molta pazienza. Prenderti delle pause, recuperare con la dovuta cautela. Ma non è solo una questione fisica. Conta anche l'aspetto psicologico. Mai pensare che non ce la potrai fare. Che tutto rema contro. Bisogna liberare la testa, magari occuparti di altre cose. A ma piace molto l'arte, dipingere. Una passione che ho cercato d alimentare, anche se nella mia seconda vita, soprattutto quella di mamma, l'ho un po' trascurata. Ora però ci ho ripreso gusto. Ho fatto dei corsi, per migliorarmi».

Eccolo qua il punto. Le grandi atlete, in passato ma ancora più adesso, devono fare i conti non solo con lo sport che praticano, ma anche con la loro vita privata, spesso relegata in un angolo buio della loro vita, in attesa che si abbassino le luci del palco. Deborah Compagnoni, pur grandissima nello sci, ha cercato di far quadrare la sua vita pubblica, di campionessa e di testimonial azzurra, con quella più privata e familiare. Un'impresa da guinnes dei primati, pure questa, essendosi legata a un uomo altrettanto famoso, Alessandro Benetton, dal quale, in quasi 24 anni di convivenza e 13 di matrimonio, ha avuto tre figli, Agnese, Tobia, e Luce. Una vita intensa anche questa, cominciata subito dopo il suo ritiro dall'attività agonistica.

La vita dopo lo sci

Sì, perché «non mi aspettavo di dover essere più “atleta” dopo il ritiro», spiega lei. «Allora se ero stanca rispondevo solo a me stessa, in famiglia è invece è un gioco di squadra. Prima avevo pochi centesimi di secondo per vincere, poi con i ragazzi, soprattutto quando erano ancora piccoli, non mi bastavano 24 ore. Quando ho smesso di gareggiare, ho lasciato da parte tutto. Dico la verità: ero stanca di quel tipo di vita, non tanto di sciare ma di dover dar retta a tutti, agli sponsor in particolare, che anche nello sci, pur necessari, indirizzano la tua attività. Avrei ancora avuto il piacere di misurarmi, come adesso ho il piacere di fare una bella escursione, ma non così. L'unica cosa in cui mi sono impegnata con continuità, dopo la scomparsa di mia cugina Barbara, è la beneficenza, fondando nel 2006 l'associazione filantropica “Sciare per la Vita”, dedicata alla lotta contro la leucemia. Adesso sono ambasciatrice di Milano-Cortina 2026. Il progetto che seguirò di più è la sostenibilità dei Giochi italiani. Il punto di partenza è che i Giochi si autofinanzino con i contributi del Comitato Olimpico, degli sponsor e la vendita dei diritti di marketing. In sostanza le Olimpiadi non devono pesare sui contribuenti lasciando poi qualcosa di positivo per la comunità. Non strutture inutili che degradano nell’abbandono. Ora però bisogna procedere. Perché tre anni passano velocissimi».

Le prove più dure

Tante soddisfazioni, nella vita di Deborah. Una vita però che, anche dopo il ritiro, non le ha risparmiato altri traumi, fratture più difficili da ricomporre che le fanno ancora male. La morte del fratello Jacopo, poco più di un anno fa, è stata una mazzata. Una coltellata a freddo. Era una guida esperta, che conosceva bene il respiro delle montagne, ma una valanga l’ha portato via mentre faceva sci alpinismo. «Aveva solo 40 anni, era il piccolo di casa. Una perdita che ho fatto fatica a metabolizzare. Quando ho una mattina libera, prendo le pelli e vado con gli sci dove non arriva nessuno, nella neve incontaminata dove mi sento più vicino a lui».

Pur gestita con molta discrezione, anche la separazione dal marito, Alessandro Benetton, non è stata indolore. Nessun clamore, nessuna dichiarazione pubblica, ma traspare sotto traccia l’amarezza per una cosa bella finita dopo averci tanto investito. Non è facile, in un mondo come il nostro, prendere ognuno la sua strada, ancora di più se si viene inseguiti dai fotografi e dal rumore dei media che frugano nella tua vita. È il rovescio della medaglia della celebrità. Ora Deborah la sua passione per la montagna la condivide con una guida alpina, Michele Barbiero, che come lei ama viaggiare e fotografare.

Andrà come andrà, ci piace però di più tornare alla Deborah che negli Anni Novanta, assieme a Tomba, faceva vibrare i suoi tifosi. Ondate di popolarità che scuotevano un Paese che si specchiava in quella ragazza sorridente che s’inventava cose straordinarie. E dopo ogni gara, ancora con gli scarponi ai piedi, parlava a ruota libera, delle sue vittorie e ogni tanto anche delle sue sconfitte. Non aveva bisogno dei social per dire che era felice o delusa, fiduciosa o pessimista. «Sì, era un altro mondo», ribadisce. «Tutti ci volevano bene, perfino gli appassionati di calcio e chi non capiva nulla di slalom o discesa libera. Eravamo due ragazzi che con la nostra tenacia ci imponevamo dovunque. La gente ci voleva bene. Poi non c'erano i social e i telefonini. Dicevamo quello che ci veniva da dire. Di sicuro eravamo genuini…Tanti ci volevano far fidanzare, ma eravamo troppo diversi. Siamo rimasti amici, però. Ogni tanto ci mandiamo un saluto, ma senza nostalgia, sapendo d’aver vissuto una bellissima esperienza».

Possibili eredi?

Qualcuno, ogni tanto, con una punta di sana malizia, le domanda cosa pensa delle nuove star, di Sofia Goggia, di Federica Brignone (freschissimo argento nel gigante di Courchevel), di Marta Bassino. Lei sorride, cercando di non fare confronti, ben sapendo che ogni periodo produce frutti diversi, altrettanto buoni ma non sempre paragonabili. Le piace Federica perché, come lei, non si fa mai abbattere. «Sofia invece ha un coraggio incredibile. Va giù senza far calcoli, questa è la sua forza. Invece ammiro Marta per la sua tecnica. È un piacere in gigante vederla scendere. Hanno tutte personalità, umanità, un bel modo di trasmettere le emozioni».

Finisce qui la storia di Debora Compagnoni, la ragazza con gli sci che, oltre a moltiplicare gli ori, riuscì a moltiplicare le vendite di un famoso reggiseno pubblicizzandolo come una top model. «Non ti rubo il lavoro! Mi sono divertita a farmi fotografare», disse a Eva Herzigova, che poco sportivamente si risentì per la concorrenza. Scoprirsi in montagna non fa mai bene. Ma a una regina delle nevi, conclusero gli appassionati, è concessa qualsiasi licenza.

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