Decreto energia: dalla fine tutela alle concessioni idroelettriche, ecco tutti i dubbi della Ue e i piani del governo
Dalla proroga del regime di maggior tutela nel mercato elettrico all’integrazione delle norme che disciplinano gli affidamenti per le grandi derivazioni idroelettriche: ecco cosa prevede il nuovo Dl e cosa chiede l’Europa
di Celestina Dominelli
I punti chiave
4' di lettura
Se la partita (politica) avrà esito positivo per l’Italia, è ancora presto per dirlo. Ma il governo punta a ottenere l’avallo di Bruxelles per correggere parzialmente la rotta su due fronti caldi, fine della maggior tutela per il mercato elettrico e gestione delle concessioni scadute o in scadenza nell’idroelettrico, che sono al centro del decreto energia firmato dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin. Il provvedimento che sarebbe dovuto approdare al Consiglio dei ministri dello scorso 23 ottobre è in stand by (l’obiettivo è farlo arrivare sul tavolo della prossima riunione, in agenda per venerdì 3 novembre), in attesa che il governo trovi la quadra con Bruxelles.
I punti critici della bozza di decreto
I punti critici nella bozza del Dl sono due. Il primo è la proroga della fine della maggior tutela per il mercato elettrico. Attualmente il servizio maggior tutela per i clienti domestici non vulnerabili terminerà a partire da aprile 2024 e se, entro quella data, il cliente finale non avrà sottoscritto un’offerta di mercato libero, la fornitura passerà automaticamente, senza alcuna interruzione, al servizio a tutele graduali, in cui le condizioni contrattuali ed economiche saranno definite dall’Autorità anche sulla base degli esiti di procedure concorsuali. Mentre i clienti vulnerabili - categoria in cui sono inclusi i percettori di bonus, coloro che dipendono da apparecchiature salvavita, soggetti con disabilità ai sensi della legge 104/92, utenti che vivono in strutture di emergenza a seguito di calamità o in isole minori non interconnesse, over 75 -, continueranno ad essere serviti, anche dopo il primo aprile, nella maggior tutela.
La proroga della fine delle tutele di prezzo nel nuovo Dl
Il nuovo decreto energia stabilisce invece una proroga. In sostanza, per i clienti domestici non vulnerabili, nel Dl si legge che il passaggio dal mercato tutelato al servizio a tutele graduali avvenga previa adeguate campagne informative per le quali il ministero si avvale di Acquirente Unico. A tal fine, il passaggio dei punti di consegna agli operatori selezionati dalle procedure competitive (ossia il passaggio tecnico dei clienti al nuovo sistema) avverrà non prima di sei mesi e non oltre dodici mesi dalla data di conclusione delle procedure competitive (10 gennaio 2024). Quanto ai vulnerabili, si introduce un nuovo servizio per la fornitura di energia elettrica (cosiddetto “servizio vulnerabili”) che affida all’Acquirente Unico la funzione di “grande approvvigionatore”: Au, sulla base di criteri di mercato, acquista l’energia elettrica all’ingrosso e la cede all’esercente il servizio di vulnerabilità, che sarà selezionato tramite gara.
Gli impegni assunti nel Pnrr
Il provvedimento, quindi, concede più tempo per la definitiva liberalizzazione del mercato elettrico, su cui, però, e qui scatta il faro della Ue, i precedenti governi si erano impegnati nel Pnrr tanto che la fine della maggior tutela per i non vulnerabili agli inizi del 2024 viene considerata tra gli obiettivi centrati che hanno consentito all’Italia di ottenere la terza rata. Per questo, quindi, il governo, ha aperto un confronto con l’Europa per convincere Bruxelles ad avere un approccio meno rigido sul dossier.
Il capitolo concessioni idroelettriche
L’altro elemento di criticità è rappresentato dalle norme che vanno a integrare la disciplina vigente sulle concessioni idroelettriche introducendo due ulteriori binari per assegnare le concessioni di grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico (potenza installata superiore ai 3 megawatt). In altri termini, regioni e province autonome possono richiedere ai concessionari scaduti o uscenti la presentazione di una proposta tecnico-economica e finanziaria ai fini della rimodulazione delle concessioni in scadenza, o, in alternativa, procedere all’assegnazione mediante la costituzione con il concessionario scaduto o uscente di una società a capitale misto pubblico privato. In entrambi i casi è prevista la presentazione di un piano integrato di investimenti pluriennali sugli impianti e sul territorio, ai fini dell’assegnazione delle concessioni per una durata compresa tra venti anni e quaranta anni (incrementabile fino a un massimo di dieci anni in relazione alla complessità della proposta progettuale e all’importo dell’investimento).
Le richieste dell’Europa
Anche su questo, si registra una distanza dalle richieste europee. Come per la fine della maggior tutela, l’apertura del settore a procedure concorrenziali è stata considerata tra gli obiettivi conseguiti per erogare la terza rata (e l’Italia l’ha centrato con la disciplina attualmente in vigore) e l’introduzione di questi due ulteriori binari accanto ai due tasselli esistenti (assegnazione a scadenza con gara pubblica a soggetto privato o a società mista pubblico-privata) potrebbe, è il timore, creare qualche frizione con Bruxelles. Per questo motivo, anche su questo l’Italia sta dialogando con gli uffici tecnici della Commissione Europea.
Cosa succede all’estero
Che, va detto, da tempo ha chiesto a tutto il Continente di aprire il settore delle concessioni idroelettriche alla concorrenza, ma senza grossi risultati nonostante richiami e l’avvio di una procedura di infrazione a diversi Stati nel 2019, archiviata a settembre 2021. Il risultato è un coacervo di regole e durate: si va dall’Austria, in cui vige un sistema di permessi in cui la durata può arrivare fino a 90 anni, al Portogallo, dove la scadenza ordinaria è 35 anni (ma può toccare i 70 anni); dalla Spagna, dove attualmente l’asticella è di 75 anni per tutte le concessioni, alla Francia, in cui la durata delle grandi derivazioni è compresa tra 30 e 40 anni, mentre per le piccole ci si ferma a 30 anni. Nessuna apertura alla concorrenza, dunque, al di là di quanto fatto dall’Italia. Che rischia però di pagare lo scotto dell’assenza di reciprocità e omogeneità di disciplina su questo fronte.
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