Decreto ristori, arriva un altro scostamento di bilancio
Dall'inizio della pandemia, su richiesta del precedente governo, il ricorso al maggior deficit (reso possibile dalla sospensione dei vincoli di bilancio europei) ha comportato nel totale stanziamenti diretti a far fronte alla crisi per 108,3 miliardi
di Dino Pesole
I punti chiave
4' di lettura
L'entità del prossimo scostamento di bilancio, vale a dire dell'autorizzazione che verrà chiesta al Parlamento per ricorrere nuovamente all'indebitamento, è in via definizione. Secondo le ultime indiscrezioni, si attesterebbe a non meno di 20 miliardi e con ogni probabilità non sarà l'ultimo. Dall'inizio della pandemia, su richiesta del precedente governo, il ricorso al maggior deficit (reso possibile dalla sospensione dei vincoli di bilancio europei) ha comportato nel totale stanziamenti diretti a far fronte alla crisi per 108,3 miliardi.
L'ultimo scostamento di bilancio, pari a 32 miliardi, è stato autorizzato dal Parlamento lo scorso 20 gennaio, ed è servito a finanziare interamente il decreto “Sostegni” appena varato dal governo Draghi. Il che fa salire il conto a oltre 140 miliardi, cui vanno aggiunti i circa 25 miliardi (anch'essi in deficit) contenuti nella legge di Bilancio, e ora i probabili altri 20 miliardi in arrivo. Nel totale complessivo, si arriva a una cifra non molto lontana dalle intere risorse (tra prestiti e sovvenzioni) previsti per l'Italia dal Next Generation EU.
La priorità finora: far fronte all'emergenza
Si parte dal primo scostamento di bilancio (20 miliardi) dell'11 marzo 2020, al secondo del 24 aprile per 55,3 miliardi, per finire con i 25 miliardi del terzo scostamento (23 luglio), gli 8 miliardi del quarto (20 novembre) e i 32 miliardi dell'ultimo (20 gennaio). Senza queste risorse, che hanno avuto e avranno un peso non da poco nell'accrescere il livello del deficit e di conseguenza del debito, l'intensità della crisi (che già si è tradotta in un crollo del Pil dell'8,9%) sarebbe stata certamente maggiore, con risvolti sociali decisamente più preoccupanti. Sia il governo Conte2 che l'attuale governo si sono dunque trovati di fronte a una scelta per molti versi inevitabile, fermo restando che un ricorso così massiccio all'indebitamento non può essere considerato risolutivo. L'economia riprenderà a crescere solo quando la campagna vaccinale avrà raggiunto i suoi primi, tangibili effetti: dunque – secondo le stime –non prima dell'estate/autunno. Gli indennizzi e i ristori, fondamentali per evitare il tracollo di intere categorie produttive, non sono però sufficienti a compensare le perdite di fatturato subite. Lo attesterà tra breve il consuntivo del primo trimestre, con una contrazione della crescita che comunque ha risentito dell'effetto trascinamento dello scorso anno, e delle conseguenze dei nuovi provvedimenti restrittivi assunti per provare ad arginare il diffondersi delle varianti del virus.
Il nuovo scostamento in arrivo con il Def
Secondo quanto ha annunciato il presidente del Consiglio, Mario Draghi, la nuova richiesta di scostamento sarà presentata dal Governo insieme al Documento di economia e finanza, dunque attorno alla metà di aprile. Con il Def verrà aggiornato il complesso delle variabili macroeconomiche definito a settembre dello scorso anno dal precedente governo. Dalle ultime indicazioni emerge l'intenzione di elevare l'asticella della crescita nei dintorni del 5% nel suo profilo programmatico (contro il 6% indicato dalla Nadef). Un livello che sarà possibile conseguire solo a patto che il “rimbalzo” a partire dalla seconda metà dell'anno sia particolarmente vigoroso. Quanto al deficit, alla luce del nuovo scostamento in arrivo (e degli altri che verranno) è probabile che si vada ben oltre il -7% previsto dal governo Conte, e anche il debito difficilmente potrà rispettare il percorso di rientro previsto finora: 155,6% del Pil rispetto al 158% del 2020.
Attenzione all'arma del deficit
Ancorché consentito per effetto della sospensione del Patto di stabilità (in atto dallo scorso anno e destinata a prolungarsi per tutto il 2022), il ricorso al maggior deficit è un'arma da maneggiare con cura. Si tratta di debiti che andranno comunque ripagati e che ora è possibile finanziare a tassi molto bassi (grazie al “bazooka” della Bce). Nella prospettiva di un graduale ritorno alla normalità (anche da parte della politica monetaria), il debito non potrà che essere gradualmente ridotto. In caso contrario la ripresa non potrà consolidarsi, perché si fonderà su basi fragili, che potrebbero subire scossoni non da poco all'emergere di una possibile nuova crisi finanziaria nei prossimi anni. In sostanza, il ritorno ai livelli di crescita pre-Covid e soprattutto l'avvio di una ripresa ben più solida e strutturale non potrà che basarsi su un debito pienamente sostenibile.
L'imperativo è tornare a crescere
Il momentaneo stop al Recovery Fund imposto dalla Corte costituzionale tedesca, che comunque si pronuncerà a breve sul ricorso presentato insieme ad altri 2.200 cittadini dall'economista di estrema destra Bernd Lucke, fondatore della AfD – partito dal quale è poi uscito – e poi della Lkr (Riformatori liberal-conservatori) potrebbe ritardare l'erogazione della prima tranche degli aiuti europei, che per il nostro Paese equivalgono a circa 25 miliardi. Il che lascia presupporre che i fondi saranno disponibili non prima dell'estate inoltrata. Un motivo in più per provare con le prossime risorse che si renderanno disponibili ad andare oltre la gestione pur necessaria dell'emergenza, più per provare ad accelerare, potenziando per quanto possibile le misure a sostegno della crescita. Con il Def e soprattutto con la versione definitiva del Programma nazionale di ripresa e resilienza (che andrà inviato a Bruxelles entro fine aprile) occorre indicare con precisione la rotta, sia sul versante di importanti riforme strutturali attese da decenni (pubblica amministrazione, giustizia civile, concorrenza, fisco), sia su quello degli investimenti. In ballo vi sono i 191,5 miliardi assegnati al nostro Paese fino al 2026, cui andranno comunque aggiunti 50 miliardi del Fondo di sviluppo e coesione e i 23 miliardi già appostati in legge di Bilancio, oltre agli altri stanziamenti europei suddivisi nelle varie voci del bilancio pluriennale. La sfida (epocale per il nostro paese) è dimostrare di riuscire a spendere (e a spendere bene) una mole di risorse senza precedenti.
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