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DeFi: come funziona la finanza prêt-à-porter basata sulla blockchain

Le criptovalute hanno creato un «clone» virtuale dei tradizionali mercati finanziari. Un mondo senza intermediari che presenta più di qualche rischio

di Marcello Minenna

(tippapatt - stock.adobe.com)

10' di lettura

Il 2022 potrebbe essere un anno decisivo per la DeFi, la finanza decentralizzata che permette agli utenti di effettuare direttamente transazioni finanziarie senza bisogno di intermediari. Operativamente, ciò è possibile grazie alla tecnologia a registri distribuiti della blockchain, quel particolare tipo di database condiviso e immutabile su cui sono nate le cripto-valute. Grazie alla blockchain più soggetti possono tenere traccia di una transazione, evitando che la stessa sia controllata da una singola entità centrale.
Sulle piattaforme DeFi le transazioni finanziarie vengono effettuate attraverso lo strumento dei contratti intelligenti (smart contracts), cioè programmi o protocolli che eseguono o controllano eventi o azioni in modo automatico sulla base di condizioni prestabilite. A oggi la blockchain più utilizzata per l’esecuzione di smart contracts è ancora quella di Ethereum (la seconda cripto-valuta al mondo per capitalizzazione di mercato), la prima a essere stata appositamente perfezionata per supportare la programmazione di protocolli intelligenti.

Una crescita impressionante

Dal punto di vista degli utenti, la DeFi offre molteplici vantaggi rispetto alla finanza tradizionale: poche barriere all’ingresso, anonimato, maggiore rapidità di esecuzione dei contratti, riduzione dei costi di transazione, estrema varietà delle applicazioni disponibili. Sebbene sia ancora un mercato di nicchia, le prospettive di sviluppo sono enormi. A confermarlo sono i ritmi di crescita impressionanti dell’ultimo biennio, certificati dal boom del Total Value Locked o TVL, ossia il valore totale degli assets depositati nei protocolli della DeFi (cfr. Figura 1). Da inizio 2020 a oggi il TVL è balzato da meno di 1 miliardo di $ a circa 230 miliardi di $. Si distinguono due grosse fasi espansive: la prima è iniziata nella primavera/estate del 2020 e si è arrestata nella prima metà di maggio 2021 (in sincrono con la correzione nei prezzi delle principali cripto-valute), mentre la seconda è partita lo scorso luglio ed è proseguita sino a inizio dicembre 2021.

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VALORE TOTALE DEGLI ATTIVI NEI PROTOCOLLI DEFI
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Altrettanto straordinaria è la crescita nel numero di utenti della DeFi osservata negli ultimi due anni. L’indicatore più rappresentativo in questo caso è il numero di indirizzi distinti che hanno utilizzato giornalmente i protocolli smart: appena 91mila a inizio 2020 contro i quasi 4,5 milioni degli ultimi giorni (cfr. Figura 2).

TOTALE UTENTI DEFI NEL TEMPO
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Stablecoins e «tokenizzazione»: alle origini della DeFi

La finanza decentralizzata rappresenta la naturale evoluzione delle cripto-valute. Esattamente come nella finanza classica, prima di tutto si sviluppa la moneta, poi i sistemi di pagamento e quindi i servizi finanziari in senso lato. In particolare, le origini della DeFi si intrecciano con quelle delle stablecoins, le monete digitali che puntano a minimizzare la volatilità del prezzo ancorando il proprio valore a quello di valute fiat come il dollaro, oppure di commodities o anche di altre cripto-valute. Le prime applicazioni della DeFi hanno permesso di prestare (lending) queste stablecoins a fronte del pagamento di un interesse e dell’impegno di un collaterale, spesso sotto-forma di altre monete digitali.

Nella loro essenza, le stablecoins incarnano la promessa di mantenere sempre lo stesso valore espresso in termini di un rapporto di cambio prefissato con l’asset sottostante. S’intuisce facilmente, quindi, come in breve tempo sulla blockchain siano proliferati tanti altri tipi di promesse finanziarie, la cui formalizzazione digitale è detta tokenizzazione. Un token è l’insieme delle informazioni digitali che identificano sulla blockchain il proprietario di un determinato bene. L’esempio più elementare sono le cripto-valute «native» come Bitcoin ed Ethereum, cioè quelle che hanno una propria blockchain sulla quale vengono coniate, ma ormai esistono parecchie stablecoins e molti altri tokens che rappresentano altrettante promesse, più o meno stravaganti.

Derivati, borse decentralizzate e miniere di liquidità

In poco tempo gli smart contracts hanno reso possibili transazioni finanziarie di crescente complessità. Così, accanto alle piattaforme di lending come le famose Aave e Compound, sono ora operative piattaforme che consentono di stipulare contratti derivati, assicurativi o di asset management, ma anche di negoziare valute digitali o altri tokens (il cosiddetto crypto-trading) sui DEX, le borse decentralizzate. La DeFi mette a disposizione degli utenti anche numerose strategie passive per consentire loro di mettere a reddito i tokens di cui dispongono cedendoli temporaneamente a piattaforme specializzate (liquidity pools). In gergo queste strategie sono note con l’espressione liquidity mining (letteralmente: «minare liquidità»), in quanto chi rinuncia temporaneamente ai propri cripto-assets rendendoli disponibili a un liquidity pool riceve in cambio liquidità addizionale nella forma di nuovi tokens.

Anche nel mondo digitale, la liquidità è il mattone che regge tutto il resto: i liquidity pools necessitano di liquidità per prestarla ad altri utenti, oppure per consentire ad altri utenti di scambiarsi coppie di cripto-assets a un tasso di cambio determinato in ogni momento da un algoritmo (i cosiddetti market-makers automatici). Una versione evoluta di questa operatività è lo yield farming, che permette all’utente di massimizzare i rendimenti spostandone la liquidità tra pools differenti sulla base di algoritmi capaci di selezionare di volta in volta quello più profittevole. È possibile esaminare l’importanza relativa dei diversi servizi di finanza decentralizzata nell’ultimo anno (cfr. Figura 3) considerando i primi dieci protocolli di maggiore successo per ciascuna macro-tipologia: lending, borse decentralizzate e altri servizi (inclusi quelli di liquidity mining).

VALORE TOTALE DEGLI ATTIVI DEPOSITATI NEI PRINCIPALI PROTOCOLLI DEFI
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Un anno fa il 43% del valore totale degli attivi depositati negli smart contracts era legato al prestito di cripto-valute e altri tokens; seguivano le borse decentralizzate con una quota del 32% e, infine, gli altri servizi contribuivano per circa il 25 per cento. Nel corso del 2021 sono intervenuti cambiamenti che hanno visto una progressiva discesa del peso dei protocolli di lending essenzialmente in favore di una crescente quota dei contratti che codificano altre tipologie di servizi. Il risultato è, a inizio 2022, una ripartizione più uniforme del TVL tra le macro-tipologie analizzate.

Una finanza prêt-à-porter

La rapida escalation delle diverse fattispecie di transazioni possibili con la DeFi sta realizzando un autentico clone digitale dell’intero mondo della finanza tradizionale. Le commistioni tra i due ecosistemi sono già numerose. A maggio 2020 Société Générale ha emesso il suo primo bond sulla blockchain di Ethereum e di recente ha annunciato un nuovo progetto per realizzare operazioni pronti-contro-termine digitali (digital repo). Anche gli altri big della finanza globale hanno avviato iniziative nel campo della DeFi, ma devono competere con le numerose startup che sorgono rapidamente per colonizzare un universo ancora nuovo e molto promettente.

Del resto, l’enorme flessibilità della finanza decentralizzata ne consente l’adattamento in tempi estremamente brevi a nuove e complesse operatività che permettono agli utenti di mobilitare risorse in relazione al perseguimento delle finalità più disparate. Il fenomeno viene ricondotto al concetto dell’Internet-of-Value, ossia – secondo gli ideatori della cripto-valuta Ripple – un utilizzo della rete per trasferire il valore tra gli individui o le aziende tanto rapidamente quanto le informazioni. Siamo in un contesto in cui gli aspetti economici e finanziari si intrecciano con profonde dinamiche socio-culturali e con i mezzi offerti dalle tecnologie digitali. In ambito non finanziario, queste permettono di fare telefonate e video-chiamate, scansionare la retina o le impronte digitali, ordinare una pizza, ascoltare una canzone.

Ma ormai la «datificazione» sta interessando in modo sempre più pervasivo anche gli aspetti finanziari della nostra azione sociale. L’euforia degli ultimi due anni è stata alimentata dai tassi d’interesse molto bassi e dalla peculiare situazione creata dalla pandemia che, chiudendo tutti in casa, ha spinto molte persone a passare più tempo su device elettronici e quindi anche a scoprire la DeFi. È comunque probabile che, magari con qualche anno di ritardo, il fenomeno fosse destinato a un exploit anche senza il Covid-19. La disintermediazione, la scarsità di barriere all’entrata, l’anonimato, l’assenza di un’autorità centrale sono tutti fattori che hanno creato in molti utenti la sensazione di una finanza prêt-à-porter.

Una decentralizzazione illusoria

Così non è. Come ogni operatività finanziaria, anche la DeFi presenta profili di attenzione e di rischio, peraltro spesso elevati. Innanzitutto, come osservato in un recente studio della Banca dei Regolamenti Internazionali (BIS), la decentralizzazione – caratteristica clou della DeFi – è solo illusoria. L’inevitabile incompletezza degli algoritmi che regolano le transazioni tra gli utenti impone un livello minimo di centralizzazione, intesa come un soggetto che interviene per gestire le situazioni che gli algoritmi non hanno previsto. Tutte le piattaforme DeFi hanno un meccanismo di governance centrale che ne definisce le priorità strategiche e operative. Questa funzione di governance tipicamente fa capo agli sviluppatori i quali detengono dei tokens speciali che attribuiscono loro il diritto di voto sulle proposte più importanti, esattamente come gli azionisti di una società.

A ciò si aggiunge che, per migliorare la scalabilità (cioè la capacità di gestire un numero sempre maggiore di transazioni senza perdita di efficienza), i meccanismi del consenso della blockchain tendono sempre più a favorire la concentrazione del potere decisionale nelle mani di pochi soggetti, con conseguente maggiore rischio di collusione e di pratiche scorrette di manipolazione dei prezzi come il front-running

Rischi tecnologici e finanziari

La DeFi presenta anche diverse vulnerabilità legate ai limiti delle tecnologie sottese al suo funzionamento. La tassonomia è molto ricca e spesso comprensibile solo agli addetti ai lavori, ma qualche esempio può essere utile per capire di che si tratta. Un problema tipico deriva dalla limitata scalabilità, per cui in momenti di traffico particolarmente intenso si possono verificare congestioni di rete capaci di comprometterne o ritardarne il funzionamento. Ulteriori rischi tecnologici sono gli errori di programmazione che possono tradursi in perdite per gli utenti perché questi operano con un set informativo incompleto o perché la piattaforma su cui sono operativi viene violata.

La finanza decentralizzata, come e più di quella tradizionale, è poi esposta a molteplici rischi finanziari. Innanzitutto una considerazione di buon senso: i rendimenti molto appetibili, fino al 9% e oltre, sono l’alter-ego di un rischio di mercato molto elevato, molto più di quello che si riscontra tipicamente su azioni o indici azionari. Un confronto tra alcuni dei tokens DeFi di maggiore successo del 2021 (Uniswap e Curve) e l’indice Standard & Poor’s 500 (o S&P 500, il più usato per monitorare l’andamento complessivo di Wall Street) può aiutarci a capire (cfr. Figura 4).

Da inizio 2021 a oggi, la volatilità mensile dei rendimenti giornalieri dell’S&P 500 (linea nera) non ha mai superato il 25% e, in media, è stata pari al 15,2%. Di contro, lo stesso indicatore di variabilità dei rendimenti ha oltrepassato il 237% per Uniswap (linea turchese) e addirittura il 310% per Curve (linea rossa), con valori medi rispettivamente pari al 154% e al 203%, ossia circa 10 e 13 volte quello dell’S&P 500.

VOLATILITÀ MENSILE ANNUALIZZATA DEI RENDIMENTI GIORNALIERI
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Le insidie non finiscono qui. Intanto va osservato che anche i cripto-assets meno volatili, le stablecoins, non sono immuni da rischi. Per esempio, quando – come accaduto anche a giugno 2021 – viene meno la fiducia dei detentori sull’effettiva validità del rapporto di cambio promesso con l’asset sottostante, si scatenano dinamiche di liquidazione di massa (stablecoin runs) del tutto analoghe a quelle che si verificano nelle corse agli sportelli quando la solvibilità di una banca vacilla. L’esito è una rapida polverizzazione del valore della stablecoin interessata. Ulteriori profili di criticità della DeFi risiedono nella relativa facilità con cui essa permette di costruire posizioni a leva finanziaria particolarmente alta.

Sebbene i prestiti siano in genere sovra-garantiti, i fondi presi a prestito in una piattaforma possono essere utilizzati per fungere da collaterale in altre transazioni, consentendo agli investitori di creare un’esposizione sempre maggiore per un dato importo di collaterale. Si tratta di speculazione allo stato puro, peraltro resa ancor più pericolosa dal fatto che – come osserva il sopra-menzionato studio della BIS – nella DeFi l’unico ammortizzatore delle perdite è il collaterale: una volta che il suo valore si azzera, la perdita è consolidata per intero. Nella finanza tradizionale non è così, per via dell’azione coordinata di istituti di credito e banche centrali che possono ampliare i propri bilanci di fatto assorbendo una parte delle perdite.

La finanza decentralizzata ha altresì reso disponibili prodotti con un’ingegneria finanziaria del tutto analoga a quelli che meno di 15 anni fa hanno scatenato la crisi finanziaria globale. Oggi esistono già le versioni «cripto» dei credit default swap (strumenti per assicurarsi dal rischio di credito) e dei CDO, ossia obbligazioni garantite da un portafoglio più o meno opaco di attivi (e non da una società emittente) e spesso suddivise in varie tranches distinte per rischio-rendimento. Per intenderci: i CDO sono quelli che nel 2008 hanno fatto fallire la Bear Stearns, una banca che esisteva dal 1923. Infine, non si possono trascurare le fattispecie patologiche del riciclaggio e del finanziamento di attività illegali. La gran parte degli attributi della DeFi (anonimato, disintermediazione, rapidità di esecuzione, assenza di un'autorità centrale terza e indipendente) è una calamita per chi vuole cimentarsi in questi illeciti e gli episodi già documentati sono numerosi

La sfida per governi e regulators

La dirompenza e la rischiosità della finanza decentralizzata rappresentano una grossa sfida per i governi e i regulators di tutto il mondo. A oggi la regolamentazione è quasi ovunque inesistente o lacunosa, anche perché parliamo di un ecosistema che offre servizi particolarmente knowledge intensive, che assommano la complessità della materia finanziaria a quella delle scienze dell’informazione. Per disciplinare in modo adeguato la DeFi occorre possedere conoscenze specifiche e di alto livello in entrambi i campi, altrimenti si rischia di mettere paletti inappropriati o di non intervenire tempestivamente. L’Ue, già da qualche anno, sta lavorando a una proposta normativa detta MiCA (acronimo di Markets in Crypto-Assets) che, tra l’altro, dovrebbe riservare le emissioni decentralizzate di tokens a entità costituite come persone giuridiche. Senonché, come hanno rilevato alcuni esperti del settore, i progetti decentrati non rientrano nella definizione di «persona giuridica», e quindi risultano non conformi col requisito MiCA. Quest’ultima, in ogni caso, non dovrebbe entrare in vigore prima del 2024. C’è dunque ancora tempo per le limature (forse anche troppo, dati i ritmi di espansione del settore).

Al momento sembra che la stessa DeFi – una parte di essa – stia accettando di diventare più «disciplinata». Alcuni protocolli offrono versioni delle loro piattaforme che sono conformi alle normative di certi paesi; altri progetti sono ideati in partenza per essere compliant. Per esempio, il protocollo Swarm Markets, autorizzato nel 2021 dalla BaFin (la Consob tedesca), è il primo DEX regolamentato del pianeta. Questi e altri esempi virtuosi non rappresentano tuttavia una tutela sufficiente per i sempre più numerosi investitori e risparmiatori che ogni giorno sono attratti dal miraggio di alti profitti sulla blockchain. Alcuni paesi come la Cina, l’Iran e il Kosovo hanno gestito la questione con divieti più o meno espliciti ai cripto-assets. Ma i divieti – specie nel caso di un’operatività decentralizzata – sono facilmente aggirabili o comunque favoriscono arbitraggi regolamentari tra giurisdizioni con rilevanti ricadute sui prezzi. Una regolamentazione risk-based e il più possibile armonizzata su scala globale e un enforcement puntuale e rigoroso devono essere la priorità per i policy-makers e per le autorità di vigilanza.

Marcello Minenna, Direttore Generale dell'Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli
@MarcelloMinenna
Le opinioni espresse sono strettamente personali


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