Interventi

Deglobalizzati o riglobalizzati?

di Alessandro Curioni

3' di lettura

Nella conferenza stampa del 14 marzo il responsabile della protezione civile rispetto alle difficoltà nel reperimento delle mascherine dichiara laconicamente e testualmente: “quello che si sta verificando in tutto il mondo è una chiusura delle frontiere all'esportazione. L'India, La Romania, la Russia, mercati nei quali i nostri fornitori avevano recuperato mascherine e soprattutto DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) mascherine FFP2 e FFP3 hanno chiuso, così come ha fatto la Francia, le frontiere per le esportazioni”. Poco dopo lo scenario si completa quando aggiunge: “Purtroppo noi non abbiamo una produzione nazionale di mascherine e di dpi, forse perché il mercato le ha giudicate sempre di basso margine per l'operatore economico, quindi adesso ne paghiamo le conseguenze. Su questo dobbiamo lavorare e ci lavoreremo”.

E' facile immaginare che il “lavoro” sarà una riconversione di impianti produttivi esistenti (in guerra le fabbriche che producevano auto passavano rapidamente ai carri armati), ma il vero punto è come la crisi abbia mostrato il mondo attuale per quello che è, ovvero un enorme equivoco, perché la globalizzazione, almeno nella sua forma attuale, non è nulla più di questo. La realtà è talmente evidente che di fronte alla prima emergenza veramente globale il sistema rischia di implodere e mostra tutti i suoi limiti. Se qualcuno pensa che si tratti di una critica stereotipata si sbaglia, perché in realtà il problema non è la globalizzazione in quanto tale, ma la sua convivenza con la struttura socio-politica che ha segnato la storia degli ultimi seicento anni: lo Stato. Un'entità basata su concetti come la sovranità all'interno di un perimetro spaziale definito, che ha vissuto per secoli lo scontro dell'autodeterminazione di se stesso spesso opposta a quella dei popoli, che ha fatto della capacità di controllo la fonte della sua potenza. Questa realtà è assolutamente incapacità di sopportare l'idea stessa della globalizzazione. In modo più strisciante, la stessa società dell'informazione da almeno un ventennio dimostra l'impossibilità della convivenza.

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L'ascesa di “forze alternative”, economicamente ormai superiori, come Google, Microsoft, Amazon o Facebook avevano già messo in crisi l'idea stessa che il controllo, da sempre esercitato dagli Stati, potesse essere applicato alla Rete. Oggi l'epidemia mostra anche ai più distratti come i due modelli non possano coesistere. Se oggi le aziende indiane, rumene, russe e perfino francesi non ci hanno fornito le mascherine, per quale ragione domani l'Italia dovrebbe aiutarli? Gli Stati hanno un istinto di autoconservazione non meno forte di quello degli esseri umani e allo stesso tempo hanno sempre mostrato la propria avidità. Quando questa epidemia sarà finita vedremo cosa resterà della globalizzazione. Se l'Italia, in nome della sicurezza nazionale, dovesse strutturare un sistema di norme a tutela e protezione (dazi sulle importazioni e sgravi per la competitività sui mercati internazionali) di una serie di aziende “strategiche” in caso di emergenza (oggi potrebbe essere chi produce mascherine, ma domani chi lo può dire) si potrebbe ragionevolmente obiettare? Dopo il Coronavirus credo proprio di no.

Oggi parliamo dell'Italia, ma lo stesso ragionamento potrebbe valere domani per qualsiasi Stato. Sull'onda emotiva si potrebbe materializzare la fine della globalizzazione per come la conosciamo, in alternativa si potrebbe immaginare una “riglobalizzazione” di certo molto diversa, in cui la plurisecolare entità che ha governato i destini del mondo dovrebbe trasformarsi in “altro”. Tutto sommato può essere che questo processo sia già in atto da tempo, sotto la lenta ma inesorabile spinta del cambiamento tecnologico che ha minato in più punti i pilastri della statualità ai quali l'attuale epidemia potrebbe dare un'altra violenta spallata. Di certo sta confermando come la società dell'informazione sia una nuova dimensione, ormai anche politica, entro cui si possa disegnare il mondo del futuro in ogni suo singolo aspetto. Un sola piccola avvertenza: anche queste tecnologie hanno i loro virus e possono essere letali tanto quanto quelli del mondo reale.

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