Il caso GKN

Delocalizzazioni, situazioni di mercato e impatto sociale

di Fabrizio Onida

(Ansa)

3' di lettura

Ai numerosi “tavoli di crisi” di cui il ministro dello sviluppo economico Giorgetti deve occuparsi si è aggiunto il caso – di particolare interesse per le ripercussioni sui lavori parlamentari circa un progetto di “legge anti-delocalizzazioni” e circa la normativa in vigore sul “golden power” del governo nei confronti degli investitori esteri in Italia – dei licenziamenti irritualmente comunicati lo scorso luglio tramite PEC ai 422 dipendenti (di cui 335 operai) dello stabilimento toscano (Campi Bisenzio) della GKN Driveline, società multinazionale controllata dal fondo inglese Melrose Industries. Lo stabilimento, inaugurato nel 1996 con un investimento di 120 miliardi di Fiat Auto che dava lavoro a 700 addetti, produce principalmente semiassi e componenti per la trasmissione di autoveicoli, originariamente destinati alla Fiat Auto. Nei piani concordati nel 2018 con l’acquirente GKN Driveline la produzione fiorentina veniva venduta per l’80% alla FCA e per il restante 20 ad altre case automobilistiche europee. Abbiamo a che fare con un gruppo multinazionale di medio-grandi dimensioni che controlla 51 stabilimenti in più di 20 Paesi con quasi 28.000 dipendenti e nel 2020 ha registrato ricavi per 9,4 miliardi di sterline, di cui 3,8 miliardi originati dalla controllata GKN Automotive. Onde evitare strumentalizzazioni come chiesto dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi, al di là della indubbia scorrettezza nell’annuncio unilaterale via PEC ai lavoratori, e comunque ricordando i 3 milioni di aiuti pubblici di cui la capogruppo ha beneficiato a suo tempo per lo stabilimento di Brunico, in tema di politica industriale ricordiamo il contesto in cui si colloca la proposta di delocalizzazione. Nel 2019 la GKN Driveline Firenze ha fatturato 137 milioni di euro, che nelle previsioni a 2025 si dimezzerebbero a 71. Contrariamente alle previsioni formulate poco più di un anno fa, il management della GKN Driveline Firenze giustifica la decisione di chiusura dell’impianto fiorentino sulla base del trend negativo della produzione di veicoli leggeri in Italia. Il trend negativo, valutato “strutturale e irreversibile”, porta il gruppo a ritenere la struttura organizzativa del gruppo industriale GKN Automotive non più sostenibile e pertanto bisognoso di «immediate azioni di efficientamento, semplificazione e abbattimento dei costi».

Nel polo automobilistico toscano si teme ora la delocalizzazione degli impianti pisani della Vitesco (750 esuberi annunciati a partire dal 2024) che producono iniettori per motori termici destinati a subire lo spiazzamento da parte della crescente corsa verso l’auto elettrica e ibrida. La proprietà tedesca intende uscire dal comparto della combustione. Il caso GKN viene paragonato a quello dell’azienda belga Bekaert che nel 2018 ha licenziato 318 lavoratori trasferendo la produzione di Figline Valdarno nell’Europa dell’Est. Decisioni di rilocalizzare passati investimenti, come risposta a importanti cambiamenti nelle tecnologie e nella domanda dei mercati, sono abbastanza frequenti nella strategia dei gruppi multinazionali, come peraltro accade anche per i gruppi controllati da capitale italiano quando operano su uno scacchiere globale. Va ricordato che, oltre le ricorrenti spesso sterili accuse agli “investitori di rapina” che succhiano incentivi pubblici per poi fuggire quando vengono meno le opportunità di profitto, spesso la delocalizzazione comporta per l’azienda perdite di bilancio cioè costi non recuperabili per precedenti investimenti in capitale fisico e capitale umano. Resta comunque il gravissimo tema dell’impatto sociale della delocalizzazione sulle famiglie dei dipendenti licenziati e quelle legate all’indotto sotto forma di catene di forniture nei territori più o meno vicini all’impianto dismesso. Le risposte devono provenire innanzi tutto dai programmi di mobilità e riqualificazione della forza lavoro che attingano dalle energie imprenditoriali e di innovazione spesso diffuse sul territorio stesso, oggi chiamate in causa dalle nuove risorse del Pnnr, come ricordato dal presidente di Assolombarda (Il Sole del 27 agosto). Sono un banco di prova per una regia pragmatica e informatizzata della “nuova politica industriale”. Ma contributi alla soluzione del problema potrebbero arrivare dallo stesso gruppo multinazionale che delocalizza, secondo una accezione allargata della spesso sbandierata “responsabilità sociale dell’impresa”. Ad esempio, tenuto conto che il portafoglio prodotti del gruppo GKN include un’area che interessa l’Italia da vicino (componentistica di elicotteri per la controllata Westland Aircraft), andrebbe forse esplorato in un tavolo bilaterale un interessamento del nostro grande polo elicotteristico (Leonardo-Agusta Westland) ad una parziale ricollocazione del personale licenziato dalla GKN.

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