Interventi

Democrazia brasiliana sotto assedio

di Camila Villard Duran*

(lznogood - stock.adobe.com)

5' di lettura

SAN PAOLO – A soli 36 anni dall'uscita dalla dittatura, il Brasile è sull'orlo di un abisso autoritario. L'anno a venire mostrerà se le istituzioni democratiche ancora giovani del paese possono resistere al vero e proprio assalto da parte di un presidente populista che sembra determinato a rimanere al potere con ogni mezzo.

L'elezione del presidente brasiliano Jair Bolsonaro nel 2018 deve molto alla mobilitazione di gruppi di destra che chiedevano la liberalizzazione economica ed una generale presa di distanza dai partiti politici tradizionali del paese e dai loro scandali di corruzione cronica. Durante la campagna elettorale, Bolsonaro ha costruito la sua base politica attingendo a queste due fonti di sostegno, avvalendosi anche dell'appoggio di un'importante burocrazia che aveva in gran parte tenuto il naso fuori dalla politica: le forze armate.

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Ma i due impegni della campagna di Bolsonaro – liberalizzare l'economia e combattere la corruzione – si sono rivelati vuoti. Nel 2020, Sergio Moro, giudice “star” responsabile dell'incarcerazione dell'ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva con l'accusa di corruzione prima delle elezioni del 2018, si è dimesso da ministro della giustizia di Bolsonaro. Moro è stato il personaggio chiave che ha dato credibilità all'atteggiamento anticorruzione di Bolsonaro. Dal suo allontanamento, gli scandali per corruzione hanno travolto i membri della stessa famiglia di Bolsonaro, ed la “Car Wash”, famosa task force anti-corruzione brasiliana, è stata smobilitata.

Presentatosi come “outsider” (pur essendo stato legislatore federale per 28 anni), Bolsonaro ha promesso che non avrebbe fatto concessioni ai piccoli partiti politici in cambio di sostegno. Eppure è arrivato a dipendere da questi partiti, anche negoziando aggressivamente le risorse finanziarie per garantire la loro sopravvivenza. Stringendo alleanza con il presidente della Camera dei deputati, Arthur Lira, Bolsonaro è stato in grado di respingere 139 richieste distinte di impeachment da parte di oltre 1.550 individui e 550 organizzazioni. (In confronto, tra il 2011 e il 2016 il Congresso Nazionale ha ricevuto 68 richieste di questo tipo nei riguardi della presidente Dilma Rousseff, che è stata effettiamente messa sotto accusa e rimossa dall'incarico).

Infine, Bolsonaro non ha mantenuto la promessa di liberalizzare l'economia. Quando è entrato in carica, aveva una piattaforma neoliberista ideata dal suo ministro dell'Economia, Paulo Guedes. Noto come uno dei “ragazzi di Chicago” perché aveva studiato con i sostenitori del libero mercato dell'Università di Chicago, Guedes sperava di seguire il modello dei programmi economici del dittatore cileno Augusto Pinochet degli anni ‘70 e ‘80. Ma ora, sia Bolsonaro che Guedes sembrano pronti ad abbandonare il loro precedente impegno per la liberalizzazione allo scopo di migliorare le loro possibilità di rielezione nel 2022.

Tra le altre cose, l'amministrazione sta spingendo per una massiccia espansione della Bolsa Familia (ora ribattezzata Auxilio Brasil), un programma per il trasferimento condizionato di denaro, originariamente istituito dal Partito dei lavoratori di Lula nel 2003. È comprensibile: a settembre 2021, l'inflazione annualizzata era salita oltre il 10% con l'impennata dei prezzi di gas, cibo ed elettricità che andavano a colpire gravemente i gruppi sociali meno avvantaggiati. Per garantire le risorse all'Auxilio Brasil, però, Guedes ha giocato una carta pericolosa, segnalando di essere pronto ad abolire il tetto costituzionale di spesa.

Istituita sotto l'ex presidente Michel Temer, questa regola di bilancio di medio termine stabilizza la spesa primaria reale (al netto dell'inflazione) al livello del 2016, limitando così la crescita del governo federale. I mercati brasiliani sono sprofondati dopo che Guedes ha annunciato le sue intenzioni.

Ma forse la caratteristica del mandato di Bolsonaro come presidente che merita maggiore attenzione è la presenza all'interno della sua amministrazione di ufficiali militari di alto rango. Come sottolinea il Colonnello di Riserva dell'Esercito brasiliano Marcelo Pimentel, dal 2019 Bolsonaro non ha più dovuto appartenere ad un partito politico perché viene già supportato da un “Partito Militare” di fatto. Questa situazione rappresenta una pericolosa politicizzazione delle forze armate, con gravi implicazioni per il sistema politico.

La crisi del debito sovrano, la cattiva gestione fiscale e l'iperinflazione degli anni ‘80 hanno gravemente eroso l'immagine delle forze armate brasiliane, e avrebbero dovuto porre fine alle loro aspirazioni politiche. Ma Bolsonaro ha dato ad alcuni generali un altro “assaggio di potere”. Il suo vicepresidente, Hamilton Mourão, è un generale in pensione. Nel 2018, c'erano 2.765 ufficiali militari attivi e in pensione che occupavano posizioni civili nel governo federale; nel 2020, tale cifra era balzata a 6.157. Il governo brasiliano adesso ha in proporzione più ufficiali militari che prestano servizio come ministri di quanti ne abbia il Venezuela. Il personale militare è anche a capo di circa un terzo delle società di proprietà pubblica, dove riceve alte retribuzioni.

Avendo riconquistato le leve del potere statale, le forze armate devono anche assumersi la responsabilità della disastrosa risposta del paese al COVID-19. Mentre il bilancio ufficiale delle vittime ha superato le 600.000 unità, il conteggio effettivo è sicuramente molto più alto. Nell'ottobre 2021, un'inchiesta del Senato brasiliano ha accusato l'amministrazione Bolsonaro di crimini contro l'umanità per le sue politiche sbagliate sulla pandemia.

Da giugno 2020 a marzo 2021, il Ministero della Salute è stato guidato da un generale dell'esercito a tre stelle, Eduardo Pazuello, che si è dimostrato incapace di negoziare con Pfizer l'acquisto di vaccini. Ciò ha posto le basi per una seconda ondata aggressiva di contagi, durante la quale Pazuello ha dimostrato ancora più incompetenza nel non riuscire a mettere insieme una risposta nazionale coordinata. È stato persino oggetto di un'indagine penale per la sua inerzia di fronte al collasso del sistema sanitario a Manaus, la capitale dell'Amazzonia, dove pazienti COVID-19 sono morti per mancanza di ossigeno medico.

Pazuello non è affatto il solo. Durante l'amministrazione di Bolsonaro, ai funzionari militari sono state assegnate posizioni per le quali non avevano le conoscenze o le competenze necessarie. La formazione tradizionale e l'esperienza professionale di un generale, sia in guerra che in pace, semplicemente non si traduce nella gestione di servizi pubblici, in particolare in Brasile. Mentre l'esercito mantiene una rigida gerarchia, il servizio civile tecnocratico del Brasile tende a concedere ai dipendenti più iniziativa e autonomia che in molti paesi. Mentre i funzionari militari non osano mettere in discussione le decisioni dei loro superiori, la deliberazione aperta è fondamentale per la democrazia ed una virtù cruciale di un'amministrazione pubblica efficiente.

Le elezioni presidenziali del 2022 saranno un momento decisivo per il Brasile. Resta da vedere se gli avversari di Bolsonaro saranno in grado di mobilitare il sostegno per un'alternativa. Ma una cosa è chiara: un secondo mandato per Bolsonaro e i suoi sponsor militari rappresenterebbe una grave minaccia per la società brasiliana e le sue istituzioni democratiche. Non ci sarebbe un ritorno all'epoca dei colpi di stato militari, ma solo perché l'esercito è già al potere ed ha tutte le intenzioni di restarci.

Professore di Diritto presso l'Università di São Paulo, è Senior Research Associate presso il Global Economic Governance Program all' University of Oxford, e visiting researcher presso l'ISJPS all'Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne.

Copyright: Project Syndicate, 2021.
www.project-syndicate.org

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