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La tutela della vita democratica passa anche attraverso il ricordo, continuo, delle misure utili a ripristinare, laddove violate, le regole che garantiscono il comune, civile vivere e che disciplinano uno Stato di diritto. In tale contesto, val la pena sottolineare il principio costituzionale della autonomia e della indipendenza della magistratura quale baluardo insuperabile e, per chi scrive, indiscutibile. Ma, proprio perché la riflessione verte sulla tenuta democratica dello Stato, deve essere parimenti rimarcato che il rispetto delle regole, prima ancora che dalla paura delle inevitabili sanzioni, dipende dalla cultura dominante, che si forma nel tempo e origina da un processo lento e continuativo che trova il proprio punto di partenza nella creazione, sempre più ampia, di coscienze civiche, a partire dai primissimi momenti di formazione. In questo processo creativo, è primario il compito della Giustizia, i cui appartenenti devono sentirsi gelosi custodi delle nobili prerogative di servizio a favore dei cittadini: è nella consapevolezza dell’esistenza di un imparziale esercizio dell’attività giudiziaria che ciascuno deve sentirsi tutelato e protetto. L’imparzialità presuppone e impone l’inesistenza di decisioni precotte, non sostenute dalla fatica di approfondire gli accadimenti per coglierne il senso preciso e per arrivare alla sua ricostruzione.
Per perseguire questo scopo, è necessario ampliare lo spettro della formazione, divenuta ormai una imprescindibile opportunità sociale che, se correttamente erogata, permette, in modo sempre più diffuso, di sottrarsi alle disdicevoli accettazioni passive di affermazioni inverificabili, di sviluppare uno spirito critico e, di conseguenza, di non essere in qualche modo manipolabili e manipolati. Il tempo dedicato alla formazione non è sottratto al lavoro. Le persone formate hanno coscienza del proprio ruolo e delle proprie funzioni, senza nessuna tensione spettacolare, ma con sempre maggiore consapevolezza dei limiti insiti nella natura umana.
In campo giudiziario dovrebbe essere chiaro a tutti che gli inquirenti non sono dei predicatori, degli inventori, dei moralizzatori o dei ragionieri del consenso: essi sono dei cercatori, indipendenti e imparziali, di verità, nel rispetto delle proprie prerogative e delle regole vigenti. Un investigatore pubblico deve essere un integro, attentissimo ed equilibrato osservatore esterno, la cui attività è tesa a ricostruire i fatti e gli accadimenti e a decifrare le identità di chi, in quei fatti e in quegli accadimenti, ha avuto un ruolo, individuandone con precisione quale e mai obliando il principio, insuperabile, della presunzione di innocenza. In tal senso, se non si differenzia la ricostruzione giuridica dall’attualità giornalistica, sparisce lo specifico essere dell’inquirente e si concede spazio a narratori allusivi e semplificatori.
Le relazioni di “polizia”, cardini delle attività inquirenti, non possono essere costruzioni romanzate o trame di film, ma devono essere scrupolosi, accurati e asettici accertamenti degli avvenimenti, riferendo oggettivamente ciò che è accaduto, non lasciando spazi a indimostrate (se non indimostrabili) valutazioni di singoli operatori o, peggio ancora, a pedisseque riprese di tesi sostenute da occasionali periti, cui viene dogmaticamente conferito il pericoloso ruolo di dispensatori di verità anche in contesti di riconosciute complessità scientifiche, fonti di dubbi e di oggettiva incertezza.
Soprattutto in campo penale, le buone “indagini” non tollerano sbavature, approssimazioni, inesattezze, ma si caratterizzano e si devono caratterizzare per solida lucidità ricostruttiva, capace di reggere quel giudizio prognostico di «ragionevole previsione di condanna o di applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca» che è in linea con l’emettere sentenza di condanna soltanto se l’imputato risulta colpevole «al di là di ogni ragionevole dubbio». Sono principi basilari del dibattito democratico in quanto attengono proprio alla essenza della democrazia: è per questo che, anche attraverso la formazione continua, meritano di essere ricordati ed è per lo stesso motivo che si deve ribadire con forza che la loro violazione non solo non può essere tollerata, ma deve comportare immediate e adeguate misure riparatorie, soprattutto per ripristinare il prestigio e il decoro delle Istituzioni, prima ancora che per risarcire chi è ingiustamente perseguito o accusato.
Sono le Istituzioni, infatti, a dover fissare la linea di confine tra ciò che è accettabile e ciò che deve essere rimosso o cambiato, mai dimenticando che il rispetto delle regole serve ad arginare l’aggressività che, pure, è tipica di ogni potere.
Non merita di far parte delle Istituzioni democratiche chi, trincerandosi dietro una sostanziale irresponsabilità, annienta la propria terzietà e alimenta, in tal modo, il circolo vizioso e inaccettabile delle ingiustizie e delle prevaricazioni.
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