il movimento in crisi

Dall'investitura di Grillo alle dimissioni, la parabola triste di Luigi Di Maio

Dagli esordi nella sua città, a Pomigliano D’Arco, fino all’ingresso nei palazzi del potere. Poi arrivano le sconfitte e il passo indietro

di Andrea Marini

La gestualità di Di Maio, si dimette e si toglie la cravatta

3' di lettura

Luigi Di Maio negli ultimi otto anni ha compiuto una carriera politica folgorante: da perfetto sconosciuto della politica è stato prima vicepresidente della Camera, poi capo politico del M5S (primo partito in Italia) vicepremier, ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro, e poi degli Esteri. Fino alla rapida discesa, provocata da sconfitte alle elezioni regionali e alle Europee, che hanno alimentato l’opposizione interna. Fino al ritiro.

Dai lavori saltuari ai meetup M5S
Di Maio nasce ad Avellino il 6 luglio 1986 ma la sua città è sempre stata Pomigliano D’Arco. È lì che, giovanissimo, Di Maio muove i primi passi nella politica locale mentre alterna lavori saltuari come il webmaster o lo steward allo stadio San Paolo. La sua ascesa comincia nel 2007 con l'apertura del meetup M5S a Pomigliano. I primi passi non sono fortunati. Nel 2010 Di Maio si candida come consigliere comunale, ottenendo solo 59 voti.

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Vicepresidente della Camera
Da semisconosciuto, vince le parlamentarie che lo porteranno alla Camera nel 2013. Per il M5S è l’esordio nei palazzi della politica. Di Maio parte in sordina - più famosi di lui, a quel tempo, c’erano Roberta Lombardi, Roberto Fico e Alessandro Di Battista, ad esempio - ma la sua aria pacata (veste sempre in giacca e cravatta) sono perfetti per il ruolo istituzionale di vicepresidente della Camera, che spetta di fatto al primo partito italiano d’opposizione. Sarà il più giovane della storia, a 26 anni, a ricoprire quella carica.

Il “politico” del Movimento
Dal ruolo di prestigio di vicepresidente della Camera, il deputato campano si fa spazio nel Movimento, una sorta di volto “presentabile” rispetto a quanti dipingono il M5S come kitsch e pasticcione. Attira subito l’attenzione del leader del M5S Beppe Grillo, che lo vede come il “politico” del Movimento, di fronte al barricadero Alessandro Di Battista e al più “francescano” Roberto Fico. È l’anima più moderata, se non proprio di centrodestra, del Movimento .

Gli anni dell’ascesa
Di Maio cavalca le tv, lanciato anche da Gianroberto Casaleggio. Con Grillo che fa un passo «di lato», Di Maio entra nel Direttorio che segna gli anni delle vittorie alle comunali di Torino e Roma. Proprio la Capitale, e le vicende della sindaca Virginia Raggi e del suo braccio destro Marra, fanno piombare Di Maio al centro di aspre critiche interne. È la fine del 2016 ed è al prima vera spaccatura anti-Di Maio che emerge nel Movimento. Una spaccatura dalla quale, tuttavia, Di Maio esce indenne, relegando l’ala ortodossa a corrente dissidente.

L’investitura di Grillo
Il suo sodalizio con Milano (e la Casaleggio Associati), del resto, è solidissimo, anche più di quello con Genova, città del Garante del M5S. Ma è a Di Maio che, archiviato il Direttorio, Grillo decide di affidare il Movimento. È il 23 settembre 2017: Italia 5 Stelle di Rimini incorona - con tanto di voto bulgaro su Rousseau - Di Maio capo politico. Di lì in poi arrivano i trionfi: l’elezione del 4 marzo 2018, la rinuncia alla candidatura a premier pur di far partire, insieme con la Lega, il primo governo a guida M5S.

La sconfitta alle regionali e alle europee
Ma l'abbraccio con Matteo Salvini è mortale. Non basta l’aver portato a casa la bandiera grillina del reddito di cittadinanza: il M5S perde voti rapidamente: da primo partito italiano delle politiche del 4 marzo 2018 con il 25,6%, alle successive elezioni regionali il M5S colleziona sconfitte (quasi sempre piazzandosi terzo, staccato da centrodestra e centrosinistra) e alle europee si ferma al 17% dietro Lega e Pd.

La caduta del Conte 1 e la rottura con Salvini
Dopo la caduta del Conte 1 e la rottura con la Lega, il M5S non riesce a rialzarsi. L’alleanza con il Pd (che, in qualche modo, Di Maio ha subito) non migliora la situazione: alle regionali umbre la decisione di presentare un candidato insieme ai dem si rivela disastrosa, con il movimento che scende al 7%. Per Di Maio arriva il tempo del declino, del fuoco amico, del gelo di Grillo. Fino al 22 gennaio. Fino alle sue dimissioni.

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