ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùL’intervista. Riccardo Di Stefano

Di Stefano (Giovani imprenditori): «Favorire gli investimenti per la competitività delle imprese italiane»

In vista del convegno a Capri il presidente dei Giovani imprenditori indica alcune priorità per la prossima manovra: investire, sostenere i redditi bassi e fare le riforme

di Nicoletta Picchio

3' di lettura

Un giro attorno al mondo, dall’Estremo Oriente fino all’altra parte dell’Oceano, per poi tornare in Europa e arrivare al nostro paese, scendendo fino a Sud, al ruolo determinante del Mezzogiorno, per la crescita dell’Italia nella nuova centralità del Mediterraneo. «Un viaggio per ragionare sulle nuove dinamiche della globalizzazione, in questa fase geopolitica così complessa e incerta, che rende più difficile fare impresa ed essere competitivi sui mercati. Servono politiche europee, servono scelte a livello nazionale che creino un contesto favorevole alla crescita e agli investimenti». Riccardo Di Stefano, presidente dei Giovani imprenditori, venerdì pomeriggio aprirà il 38° convegno di Capri. Il titolo è la sintesi efficace dei messaggi che lancerà dal palco: “Correnti. Sfide, contraddizioni, opportunità”. Uno sguardo al contesto globale per planare sulla congiuntura del paese, a pochi giorni dal varo della legge di bilancio.

Ci saranno molti ministri tra venerdì e sabato: chiedete ascolto al governo, in vista della manovra?
È una fase di grande incertezza e di attenzione ai conti pubblici. Ora l’attacco di Hamas a Israele aggrava lo scenario. Oltre ai risvolti umanitari, rischia di avere un impatto negativo sui costi dell’energia. Speriamo si possa evitare un’escalation. In questo contesto serve certamente ragionevolezza visto il nostro alto debito pubblico. Ma è necessario spingere gli investimenti, affinché le imprese possano innovare e competere, intervento quantomai necessario ora che la politica dei tassi della Bce sta rendendo più difficile l’accesso al credito. E intervenire sulle famiglie a basso reddito, per sostenere il potere d’acquisto, rendendo strutturale il taglio al cuneo fiscale. Altro tassello fondamentale, le riforme: sono l’elemento determinante del Pnrr e vanno realizzate, per rendere il paese efficiente e moderno.

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Ieri l’Italia ha ottenuto la terza tranche, un risultato importante. Ora si tratta di spendere presto e bene…
L’Italia ha sempre avuto difficoltà nell’effettivo utilizzo dei fondi comunitari. Tuttavia, anche se con qualche ritardo, le rate arrivano e questo significa che ci si sta muovendo nella giusta direzione. Il governo è salito su un treno in corsa e gli riconosciamo un approccio corretto sul cambio di governance e nell’aver reso gli interventi più coerenti con Repower Eu e i fondi di coesione. Il Piano italiano, secondo noi, aveva un errore all’origine perché puntava sul modello delle gare pubbliche, che hanno iter molto lunghi. Confindustria invece fin dall’inizio ha chiesto che i fondi fossero destinati a strumenti di stimolo agli investimenti delle imprese, che sono di rapida attuazione e di più sicuro impatto sul Pil. Adesso, quindi, è necessario recuperare il tempo perduto e dare una forte accelerazione alle procedure di spesa. Ad ogni modo, il Pnrr resta una formidabile opportunità di crescita e sviluppo sia per la dotazione finanziaria ma soprattutto per le riforme strutturali con cui l’Italia si è impegnata a diventare più efficiente e inclusiva.

Un giro del mondo per
approdare al Sud: più sfide o opportunità?

Ci sono ambedue. Stiamo assistendo ad una nuova fase della globalizzazione, dopo lo shock della pandemia le aziende stanno riorganizzando le filiere, accorciandole. Le opportunità restano molte per il nostro made in Italy: penso all’Estremo Oriente, a paesi come Giappone, Taiwan, Singapore, India, approdi di straordinaria potenza geopolitica, economica, demografica e tecnologica. Le aziende vanno messe in condizioni di competere, ed è necessaria anche una politica industriale europea, che accompagni le transizioni digitale e green. Una politica comune, non scelte come la deroga agli aiuti di Stato che avvantaggiano i paesi che hanno un maggiore spazio fiscale, come la Germania.

A proposito di Germania, quest’anno il loro Pil
sarà -0,8%. Quanto peserà per l’Italia il loro calo?

La loro recessione colpisce anche noi, la nostra manifattura è legata a doppio filo con quella tedesca, la Germania è il nostro primo paese in termini di export. Ma oltre che partner siamo anche competitor: nel 2022 quasi il 50% degli aiuti di Stati Ue sono andati alla Germania. La politica delle deroghe ci penalizza e spezza il mercato unico.

A Capri rilancerà la centralità del Sud per la crescita: il decreto del governo va nella giusta
direzione?

Va bene la Zes unica, a patto che si mantenga l’attuale strategia industriale e che le risorse siano adeguate, assicurando continuità agli strumenti esistenti di incentivazione e semplificazione. È essenziale che il Fondo di sviluppo e coesione sia a sostegno degli investimenti. Occorre fare attenzione all’autonomia differenziata: non deve penalizzare le regioni del Mezzogiorno, aumentando i divari. Il Sud va messo nelle condizioni di crescere, tanto più che il Mediterraneo ha acquisito una nuova centralità. Dal Sud dipende la crescita di tutto il paese.

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