Diamanti di guerra: come il conflitto in Ucraina colpisce il mercato delle gemme
Le sanzioni statunitensi, il ruolo dell’India, i primi boicottaggi contro i nuovi “blood diamonds”, i tesori nascosti del Gokhran di Mosca: le conseguenze del conflitto sulle gemme estratte in Russia e sul mercato mondiale
di Chiara Beghelli
I punti chiave
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Per i suoi abitanti si chiama Sakha, per chi vive fuori dai suoi immensi confini è la Yakutia: convenzioni sui nomi a parte, a unire quella remotissima ed enorme regione nel nord della Siberia russa sono il freddo, la natura selvaggia e i diamanti. È sotto quella terra gelata, infatti, che si cela uno dei tesori più importanti del Paese: la Russia è la prima nazione produttrice di diamanti e proprio sul commercio di queste gemme si sta conducendo una rilevante parte dello scontro economico per cercare di fermare la guerra dichiarata da Mosca all’Ucraina.
Scontro che si combatte a colpi di sanzioni: se l’Europa al momento si è limitata a vietare l’esportazione di beni di lusso di valore superiore a 300 euro verso la Russia, lo scorso 11 marzo l’amministrazione statunitense ha deciso di mettere al bando l’importazione di beni di lusso provenienti dalla Russia, dunque vodka, caviale e soprattutto diamanti. Una mossa che ha messo in allerta il mercato mondiale, soprattutto perché compiuta dal Paese che di gioielli in diamanti è il maggior consumatore.
Alrosa, un gigante fra l’Urss e Putin
Torniamo in Russia: a estrarre diamanti dal terreno del nord è Alrosa, la più grande compagnia di estrazione di diamanti del pianeta, dal momento che dalle sue miniere provengono il 90% dei diamanti russi e il 28% della produzione mondiale. Alrosa è partecipata al 33% dal governo russo e al 33% dal governo della Yakutia, la repubblica dove ha la sua sede a Mirny dal 1992. A guidarla oggi è Sergei S. Ivanov (che siede anche nel board di Gazprombank), figlio di Sergei Borisovich Ivanov, considerato molto vicino a Vladimir Putin, avendo lavorato insieme a lui nel Kgb, e già ministro della Difesa russo fra 2001 e 2007, responsabile dello staff del presidente, e dal 2016 Rappresentante speciale del presidente russo per le questioni legate all’ambiente, l’ecologia e i trasporti.
Ivanov padre è nato nel 1953, un anno prima della scoperta della prima miniera di kimberlite (un minerale dal quale si estraggono i diamanti) dell’Unione Sovietica di allora, Zarnitsa. Un anno dopo iniziarono le estrazioni anche nella miniera di Mir, nella città di Mirny, ma bisognerà aspettare il 1959 perché i primi diamanti russi siano messi in commercio. Nel 1992, dopo lo scioglimento dell’Urss, nasce la Almazy Rossii-Sakha Joint-Stock Company, più tardi ribattezzata Ojsc Alrosa, che nel tempo conquista il primato mondiale nella produzione di diamanti, anche grazie ad attività al di fuori dei confini russi, per esempio in Zimbabwe e Angola.
Nel 2021 Alrosa ha estratto 32,4 milioni di carati, con vendite record che hanno superato i 332 milioni di rubli, pari a circa 4,2 miliardi di dollari, trainate da un aumento del 42% della vendita di diamanti grezzi e dalla crescita del 13% dell’indice del prezzo delle gemme. E soprattutto, dall’aumento degli acquisti di gioielli proprio negli Stati Uniti, che insieme alla Cina sta conducendo la ripresa del mercato globale del lusso.
Con le sanzioni a rischio il 25% della produzione mondiale
Le sanzioni inflitte dall’Occidente hanno suscitato la reazione pressoché immediata di Alrosa: la sede di New York è riportata in chiusura, e la compagnia si è dimessa dalla vicepresidenza del Responsible Jewellery Council, la ong che si occupa di promuovere la sostenibilità dell’industria mondiale dei gioielli. E altre conseguenze riguardano la geopolitica del mercato dei diamanti: innanzitutto, secondo Rapaport, pubblicazione di riferimento dell’industria, le sanzioni contro i diamanti russi potrebbero portare a un calo del 25% della produzione mondiale, e questo mentre i prezzi dei diamanti, sempre secondo Rapaport, da settembre sono aumentati del 25%. Un binomio che se associato al fatto che le riserve di diamanti sono date come pressoché esaurite, per soddisfare la ripresa della domanda mondiale post pandemia, potrebbe scatenare secondo alcuni una tempesta perfetta. Molto dipenderà da quanto lungo e quanto grave sarà il conflitto, ha detto Martin Rapaport in un recente webinar dedicato al tema.
Il cruciale passaggio in India
Se dalla Russia spostiamo lo sguardo verso l’India, ci accorgiamo di un altro fattore: anche se Mosca ha il primato della produzione di diamanti, le gemme che commercializza sono grezze, e passano proprio in India per essere lucidate e immesse sul mercato. L’India lavora il 92% delle gemme grezze del mondo, come riporta sempre Rapaport. E una volta lucidati, anche i diamanti russi diventano prodotto made in India e dunque al momento sollevato da ogni sanzione. L’India è stata fra i 35 Paesi che si sono astenuti nel voto alla risoluzione di condanna dell'Assemblea dell'Onu verso l'invasione russa, e come ulteriore atto di vicinanza a Mosca, l’industria dei diamanti indiana ha comunicato di accettare pagamenti anche in valute diverse da euro e dollari e attraverso canali bancari non compresi nel sistema Swift. «Alrosa ci ha assicurato che stanno conducendo le loro attività come sempre - ha affermato Colin Shah, presidente del Gem and Jewellery Export Promotion Council del governo di Narendra Modi -. Manterranno i loro impegni con i loro clienti di tutto il mondo».
I primi boicottaggi dei nuovi blood diamonds
Ma i clienti di tutto il mondo continueranno ad acquistare diamanti coinvolti in un conflitto? I diamanti russi, infatti, potrebbero diventare i nuovi blood diamonds, le gemme insanguinate che finora avevano finanziato conflitti nel continente africano. Le prime defezioni si sono già verificate: due giorni dopo l’avvio delle sanzioni statunitensi, l’azienda di gioielli sostenibili Brilliant Earth ha rimosso tutti i gioielli in diamanti russi dal suo sito. Successiva, ma più rumorosa, è stata la decisione di Signet Jewellers, il più importante rivenditore di gioielli di diamanti al mondo, di non acquistare più diamanti russi. Nello stesso tempo, la fondazione della società ha donato un milione di dollari alla Croce Rossa per le attività in Ucraina. Venerdì scorso, secondo quanto riportato da Bloomberg, Tiffany & Co., marchio statunitense del gruppo Lvmh, è stato il primo “big” a comunicare l’intenzione di interrompere gli acquisti di diamanti grezzi dalla Russia e di quelli di origine russa, anche se tagliati in altri Paesi.
Visto che la tracciabilità delle gemme è un tema cruciale nelle strategie di sostenibilità dei grandi marchi di gioielleria, altri seguiranno la strada del boicottaggio? E come risponderanno i consumatori, anch’essi sempre più attenti all’eticità dei loro acquisti, soprattutto le giovani generazioni che stanno trainando la crescita mondiale del lusso?
Il Gokhran, il tesoro nascosto di Mosca
Per capire se le sanzioni contro i diamanti di Mosca avranno effetti sulle finanze della repubblica servirà tempo. Ma c’è un altro, importante fattore da tener presente: Mosca potrebbe finanziare le sue spese belliche anche facendo ricorso ai preziosi custoditi nel cosiddetto Gokhran, il suo tesoro di stato, dove conserva anche i suoi stock di diamanti. Le sue origini risalgono al 1719, per volontà dello zar Pietro il Grande, e nel tempo la “stanza dei diamanti”, com’era nominata all’epoca, si è arricchita finché dopo la rivoluzione russa fu trasformata nel Gokhran e diventò tesoro del popolo.
A partire dagli anni Cinquanta, quando si iniziarono a estrarre diamanti in Siberia, nel Gokhran iniziarono a confluire anche le gemme. Dal 1996 è passato sotto il controllo del ministero delle Finanze di Mosca, con il ruolo di occuparsi dell’acquisto, stoccaggio, vendita e uso di metalli preziosi, gemme, gioielli, pietre e minerali per conto dello Stato. La quantità e la qualità dei diamanti conservati in questo fondo non è nota, ma certo se la Russia potrebbe trarre notevoli vantaggi finanziari dal vendere le sue riserve. Il Gokhran acquista anche diamanti da Alrosa e organizza aste periodiche di gemme: la più recente c’è stata il 24 e il 25 febbraio, negli stessi giorni in cui l’esercito russo entrava nei confini dell’Ucraina.
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