Diébédo Francis Kéré vince il «Nobel» dell’architettura
L’architetto, classe 1965, è originario del Burkina Faso ma con studio a Berlino, anche educatore e attivista. Si è formato in Germania e fino a oggi ha realizzato progetti principalmente in Paesi africani (oltre che nella sua nazione d’origine, anche in Benin, Mali, Togo, Kenya, Mozambico, Sudan)
di Antonella Galli
3' di lettura
Quest’anno più che mai la scelta della giuria del Pritzker Prize, il Nobel dell’architettura – non a caso presieduta dall’architetto cileno Alejandro Aravena (che a sua volta ha meritato il premio nel 2016) – rappresenta un’indicazione programmatica per il futuro sostenibile di questa disciplina. Il riconoscimento, infatti, è stato assegnato a Diébédo Francis Kéré, classe 1965, architetto del Burkina Faso con studio a Berlino, anche educatore e attivista. Si è formato in Germania e fino a oggi ha realizzato progetti principalmente in Paesi africani (oltre che nella sua nazione d’origine, anche in Benin, Mali, Togo, Kenya, Mozambico, Sudan).
Ha firmato padiglioni temporanei e installazioni anche in Europa e negli Usa, tra cui alcuni di grande impatto come il Serpentine Pavilion a Londra nel 2017 e il padiglione Sarbalé Ke per l’edizione 2019 dell’iconico Coachella Valley Music and Arts Festival, che si svolge nell'omonima vallata in California.
Kéré ha ottenuto visibilità internazionale nel 2001 con la Gando Primary School, in Burkina Faso, per il cui finanziamento aveva costituito una fondazione di raccolta fondi. L’obiettivo era di realizzare un edificio in un luogo con estrema scarsità di risorse, in cui i bambini potessero frequentare le lezioni in aule ben illuminate e ventilate. Per costruirlo ha utilizzato mattoni di argilla locale rafforzati con il cemento che, grazie alla loro massa termica, sono in grado di trattenere l'aria fresca all'interno, mentre il tetto ampio e sopraelevato rispetto alle pareti consente di convogliare il calore all'esterno con un processo di ventilazione naturale. Il successo internazionale dell'opera ha consentito al complesso di ampliarsi di sei volte, passando da 120 a 700 studenti. Il modus operandi di Kéré consiste nel costruire opere sostenibili, essenziali al benessere di una comunità, concepite in stretto rapporto con la sua cultura. Anche in assenza di risorse, la comunità viene sempre coinvolta direttamente nei progetti.
Tale visione si esprime in un'opera come il recentissimo Startup Lions Campus, terminato lo scorso anno in Kenya (Turkana County), un edificio per l'istruzione superiore che prende ispirazione dai cumuli a torre costruiti dalle colonie di termiti. Anche in questo caso la presenza di una torre di ventilazione crea un effetto camino che espelle naturalmente il calore, mentre l'aria fresca è introdotta a livello del terreno da speciali aperture. La scuola è costruita in una pietra estratta localmente ed è circondata da grandi alberi che procurano ombra. «La mia speranza è di cambiare i paradigmi – ha affermato Francis Kéré – di spingere le persone a sognare e affrontare rischi. Non è perché sei ricco che puoi sprecare materiale. E non è perché sei povero che non devi provare a ottenere qualità. Ogni individuo merita qualità, lusso e comfort. Siamo tutti connessi e le preoccupazioni che riguardano il clima, la democrazia e la scarsità delle risorse ci coinvolgono indistintamente».
In Burkina Faso, nel 2020, l’architetto ha completato il Burkina Institute of Technology-BIT, a Koudougou, come ampliamento di un precedente progetto di successo, il Lycéè Schorge Secondary School.
Nel complesso del BIT le aule e le aree di servizio, ospitate in edifici modulari, sono organizzate attorno a un cortile rettangolare in modo che la ventilazione sia garantita dagli spazi tra le strutture e dai tetti sopraelevati, concepiti anche per proteggerle durante la breve ma intensa stagione delle piogge. Il cortile funge da luogo di incontro e di raccordo tra le funzioni, mentre l’acqua piovana è raccolta sottoterra e utilizzata per irrigare le piantagioni di mango circostanti. La vicenda esistenziale di Francis Kéré, figlio maggiore del capo di un villaggio burkinabé, in una nazione africana tra le più povere, politicamente instabile (l’ultimo colpo di stato risale a fine gennaio) e priva di strutture formazione, lo ha segnato e lo ha spinto a esplorare da pioniere nuove soluzioni per l’architettura. «Sono cresciuto in una comunità in cui non c'erano campi gioco per i bambini – ha affermato Kéré – ma dove l'intero villaggio era la tua famiglia e dove tutti si prendevano cura degli altri. Il villaggio era il mio campo giochi». E, per contro, lasciato il villaggio a sette anni per poter studiare, Francis Kéré ha sperimentato quanto fossero inadatte le aule della sua scuola nella città di Tenkodogo, in cemento, senza luce e senza ventilazione, dove classi di oltre cento bambini trascorrevano diverse ore con grandi disagi. «Giurai a me stesso che un giorno avrei creato scuole migliori», ha confessato. Ci è riuscito.
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