Dieci parole chiave per comprendere la generazione Z
I giovani nati tra il 1995 e il 2010 sono tech, attenti ai temi sociali e ambientali. Ecco un decalogo per comprendere questa generazione
di Davide Dal Maso
4' di lettura
La generazione degli under30 sta entrando nelle aziende e si sta prendendo una fetta sempre maggiore del mercato come consumatori. Sapere comunicare con loro, sia come collaboratori che come potenziali clienti, è fondamentale, se si guarda al futuro con la propria azienda. La Generazione Z è tech, socialmente attenta e vogliosa di conquistare una propria autonomia. Sono i giovani nati tra il 1995 e il 2010 e si stima che cresceranno sino a raggiungere un terzo della popolazione mondiale e un quarto delle risorse umane aziendali entro il 2025.
Ecco dieci parole da conoscere.
Ghosting
Neologismo utilizzato quando una persona non risponde più ai messaggi di un'altra. Tra i giovani è un atteggiamento molto comune, in particolare su Instagram e WhatsApp. Si è però trasferito anche sul lato aziendale: un'azienda che fa “ghosting” delle richieste del pubblico giovane si crea una brutta reputazione. Avviene spesso quando le aziende non presidiano bene i canali social, non monitorando i commenti e soprattutto i messaggi privati.
Micro-community
La parte più giovane della Generazione Z sta portando un nuovo cambiamento nel modo di comunicare. I ragazzi non pubblicano quasi più sul proprio feed di Instagram o TikTok. Una buona parte guarda e basta, fruisce passivamente dei contenuti. La condivisione, in maniera frequente, viene fatta in micro-gruppi con i propri amici stretti. Varie strategie marketing, come quelle basate sugli Ugc ovvero sui contenuti generati dagli utenti, risentiranno di questa nuova dinamica.
Secondi profili autentici
Connesso alle dinamiche precedenti, è in crescita il trend di creare dei secondi profili su Instagram o TikTok proprio per comunicare con i propri amici. Spesso vengono chiamati anche “unposted” o “finsta”, permettono loro di sfogare la creatività, scherzare ed essere sé stessi, distanti dagli occhi di genitori, parenti e adulti vari. Questi profili sono impostati come privati e sono seguiti in media da poche decine di utenti, tutti controllati ed accettati uno ad uno.
Unfluencer
La ricerca di autenticità riguarda anche gli influencer, di cui in generale i giovani non si fidano molto. Un scetticismo spontaneo, visto che una parte di queste figure ha abusato delle sponsorizzazioni, spesso non dichiarandole e filtrando i propri consigli sulla base di azioni retribuite. I giovani però cercano contenuti informativi, interessanti e autentici. Da qui nasce il trend degli “unfluencer”. Di fatto degli “influencer etici”, che parlano di aspetti culturali e che sostengono nei loro canali anche i progetti legati al volontariato, alle associazioni non profit e alle cause sociali. Oltre a questo, non sono disposti a promuovere aziende e progetti di cui non condividono i valori o la finalità.
Contenuti creati dai commenti
Un trend molto interessante che viene cavalcato dalle aziende più smart. Partendo dalle domande nei commenti, magari quelle con più like, si creano dei video per rispondere ai quesiti. Questi contenuti hanno un'alta probabilità di successo e inoltre il brand dimostra di avere cura della propria community. È un trend nato da Tiktok, ma spesso questi video riscuotono successo anche su Instagram Reels e Youtube Shorts.
Blastare
Neologismo che nasce dal mondo dei videogames e significa “zittire” il proprio interlocutore che ti attacca a parole o sui social. Si può notare nei commenti delle pagine dei brand più forti, in cui qualche follower fidelizzato risponde e confuta totalmente la critica rivolta da un utente all'azienda. Rafforzare la propria community sui social ha anche questo risvolto positivo. Realtà come Nutella, grazie al proprio prodotto, hanno da anni un gruppo di affezionati pronti a difenderli su qualsiasi commento. Altre aziende invece si sono create questo senso di community direttamente dai social e ora ne beneficiano anche sotto questo aspetto.
Cringe
Chi è genitore di un adolescente, l'ha sentita sicuramente. «Cringe» descrive un atteggiamento altrui che suscita una sensazione di imbarazzo e disagio. Le ragazze la usano molto, ad esempio, per descrivere un modo di fare un po' viscido da parte di una persona più grande, anche nel luogo di lavoro. Spesso anche degli spot pubblicitari o dei video su social come Instagram, Youtube e TikTok vengono indicati come cringe. La causa spesso è un modo di scimmiottare la comunicazione dei giovani, snaturando totalmente la propria identità come persona o brand.
Droppare
Una parola molto usata che generalmente significa lanciare o rilasciare. Viene usato in vari contesti: da droppare una canzone, ovvero lanciarla facendo uscire il video, a droppare una foto ovvero pubblicarla, a droppare uno sconto in chat o in un commento, ovvero pubblicare un codice sconto per un prodotto affinché gli utenti possano usarlo.
Triggerare
Termine usato per descrivere il momento in cui scatta la reazione di rabbia di una persona o di un gruppo di utenti sul web. Succede spesso quando si toccano degli argomenti sensibili, come quelli legati all'alimentazione o la salute. In ambito aziendale è usato per descrivere quelle situazioni negative che fanno “traboccare il vaso”, come ad esempio una serie di ingiustizie o dei comportamenti ostili da parte dei colleghi che fanno scattare la ricerca di un nuovo posto di lavoro.
Divergenze
Osservando attentamente la Generazione Z italiana si nota come molti giovani hanno interessi e atteggiamenti contrastanti uno con l'altro. Ad esempio, è risaputo il loro approccio sostenibile ed è dimostrato anche dal boom di app di sharing e di piattaforme che permettono di comprare oggetti di seconda mano. Allo stesso tempo però una buona parte di questa generazione non rinuncia a scelte molto consumistiche che cozzano con la logica pro-ambiente. Probabilmente spinti anche da una instabilità economica dilagante tra i giovani, si è diffusa l'abitudine di comprare vestiti da alcune note piattaforme online, utilizzarli per una sera e renderli indietro gratuitamente. Ciò crea un danno economico non solo alle imprese, ma soprattutto all'ambiente, visto che alle aziende molte volte costa più gestire e rimettere in vendita quel capo, rispetto a buttarlo via. Questo è solo un esempio di atteggiamento divergente rispetto a ciò che è risaputo della Generazione Z.
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