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Diesel, perché con il blocco dell’export dalla Russia è l’Europa a rischiare di più

Mosca è il primo fornitore al mondo, si temono carenze sui mercati internazionali e la Ue – anche se ha smesso di rifornirsi da Mosca – è fortemente dipendente dall’estero. Torna lo spettro dell’energia come arma: scioperi finiti in Australia ma il gas sale a 40 euro

di Sissi Bellomo

4' di lettura

Non c’è pace sui mercati dell’energia. Il gas riguadagna quota 40 euro per Megawattora in Europa, nonostante la fine degli scioperi in Australia. E intanto sul fronte del petrolio avanza una nuova, pericolosa minaccia, che riguarda proprio lo snodo più sensibile della filiera: quello del diesel, combustibile il cui prezzo è già in forte tensione da settimane.

Il rischio che le carenze si aggravino e che ci siano ulteriori rincari – con un impatto anche sull’inflazione – è aumentato dopo il blocco delle esportazioni di carburanti decretato giovedì 21 dalla Russia: uno stop definito «temporaneo» ma di cui non è stata indicata la possibile durata, subito interpretato da qualche analista come il ritorno da parte di Mosca ad imbracciare l’arma dell’energia.

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Che sia un atto ostile o piuttosto – come sembra più probabile – una decisione dettata da motivi di politica interna, il quadro in fin dei conti non cambia. Il punto è che il mercato perde, per un tempo indefinito, quello che in barba alle sanzioni del G7 rimane tuttora uno dei maggiori fornitori globali di prodotti petroliferi: addirittura il primo esportatore di gasolio, con oltre un milione di volumi di barili al giorno tra gennaio e metà settembre secondo Vortexa, volumi superiori (sia pure di poco) persino a quelli vantati dagli Stati Uniti.

L’impatto sull’Europa

L’Europa più di qualsiasi altra regione al mondo rischia di subirne le conseguenze. E questo anche se da Mosca non importiamo più carburanti dal 5 febbraio scorso, quando l’embargo Ue è stato esteso dal greggio ai prodotti derivati. Il Vecchio continente, infatti, da anni non ha più una capacità di raffinazione adeguata ai consumi e per il diesel in particolare dipende dall’estero per un quinto del fabbisogno.

Abbiamo sostituito le forniture russe – che rappresentavano addirittura il 40% delle importazioni – con barili acquistati dagli Usa, ma anche dall’India, dalla Cina e dal Medio Oriente, dove ci sono raffinerie moderne e sempre più competitive (grazie anche all’impiego di greggio comprato proprio da Mosca a prezzi scontati). Ora però rischiamo di approvvigionarci con maggiori difficoltà o comunque a prezzi ancora più alti di quelli attuali, perché a competizione sui mercati internazionali aumenta se viene a mancare un fornitore importante.

Il guasto in Olanda

A peggiorare la situazione c’è stato anche un guasto in un’unità minore (ma che produce diesel) della maggiore raffineria europea, quella di Pernis, in Olanda: Shell spera di ripararlo entro lunedì 25. È comunque poca cosa rispetto al blocco dell’export dalla Russia, che ha fatto balzare il prezzo del gasolio sui mercati fisici del Nord Europa, dove ha superato 1.010 dollari per tonnellata in reazione alla notizia. I margini di raffinazione – già altissimi, da settimane sopra 30 dollari al barile – si sono spinti brevemente addirittura sopra quota 40 dollari.

Il greggio

Per le quotazioni del greggio, già lanciate nei giorni scorsi verso quota 100 dollari al barile, il rialzo è stato frenato dalla contemporanea reazione alla Federal Reserve, che giovedì 21 pur lasciando fermi i tassi ha segnalato ulteriori strette entro fine anno. Il dollaro si è rafforzato e tutti gli asset “rischiosi”, comprese le materie prime, hanno sofferto. Il Brent venerdì 22 ha leggermente ritracciato, sotto 93 dollari al barile, così come il gasolio, che all’Ice si è attestato poco sopra 980 $/tonnellata.

Il gas

Il gas intanto ha dimenticato in fretta il sollievo per la fine degli scioperi negli impianti australiani di Gnl di Chevron: l’accordo, raggiunto con la mediazione del Governo di Canberra, è stato festeggiato con un ribasso fino al 6% al Ttf, che però è durato poco. A fine seduta il combustibile era tornato a guadagnare circa il 3%, intorno a 40 €/MWh, probabilmente per il nervosismo suscitato da un improvviso calo di attività nel terminal Gnl di Sabine Pass negli Usa, oltre che per la ripresa troppo lenta dei flussi dalla Norvegia.

Ad alimentare l’ansia forse contribuisce anche il timore che Mosca sia di nuovo decisa ad usare l’energia come arma. Un’ipotesi che si è affacciata nei commenti di qualche analista. «La Russia vuol fare male all’Europa e agli Usa – afferma ad esempio Henning Gloystein di Eurasia Group – Sembra che stia replicando sul mercato del petrolio in vista dell’inverno il copione usato con il gas. Stanno mostrando di non aver finito di usare il proprio potere sui mercati energetici».

Il caro carburanti

Il Cremlino sembra d’altra parte molto preoccupato soprattutto sul fronte interno. Il caro carburanti sta diventando un problema politico anche in Russia, dove – come negli Usa – si avvicinano le elezioni presidenziali: si terranno a marzo e Putin teme proteste per i rincari alla pompa, di quasi il 10% da inizio anno (mentre l’inflazione è al 4%).

In Parlamento sono già arrivate dure critiche, così come dal ministro dell’Agricoltura, che teme carenze di diesel in un periodo cruciale per le semine. Di qui il rimedio drastico, di vietare l’export di carburanti. Un provvedimento che diversi analisti immaginano possa essere revocato abbastanza presto (tra un paio di settimane per JpMorgan, tra sei per Citi), una volta finita l’emergenza. O magari quando non ci sarà più spazio nei depositi di stoccaggio, per evitare che le raffinerie siano costrette a fermarsi.

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