Auto

Dieselgate, arrivano le prime sentenze: giudici divisi sui ricorsi

Non hanno avuto successo i ricorsi centrati sul difetto di conformità perché riguarda solo il venditore

di Marisa Marraffino

(Adobe Stock)

3' di lettura

Strategie diverse da parte degli avvocati, pronunce di vario segno da parte dei giudici. La giurisprudenza italiana sul dieselgate non ha ancora un orientamento prevalente. Ma sono emersi alcuni punti di attenzione.

Tra le sentenze più recenti e significative, a favore degli automobilisti è quella del Tribunale di Avellino, del 9 dicembre ; in senso contrario, Corte di appello di Bari (con la 222/2021 del 4 febbraio) e Tribunale di Monza (135/2021 del 28 gennaio).

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Dal punto di vista tecnico si tratta di capire se la condotta del produttore Volkswagen AG e del suo distributore italiano Volkswagen Group Italia si possa considerare pratica commerciale scorretta (articolo 20 del Dlgs 206/2005, Codice del consumo) e come tale possa dare al contraente debole (il consumatore) una di queste tutele: risarcimento del danno e nullità del contratto per violazione di norme imperative.

Sul ristoro economico ha fatto leva l’automobilista di Avellino che si è visto riconoscere un danno patrimoniale pari al 20% del valore della vettura, liquidato in via equitativa dal giudice, che lo ha parametrato al presunto minor valore di mercato dell’auto. Per il giudice la condotta della Volkswagen è stata scorretta non solo per contrarietà alla diligenza professionale ma anche per aver omesso informazioni rilevanti che hanno falsato il comportamento del consumatore medio (se avesse saputo del problema, avrebbe scelto altre auto).

È la linea anche del ricorso per la class action pendente al Tribunale di Venezia (si veda l’articolo sopra), dove per dimostrare la scorrettezza della pratica, quindi l’ingiustizia del danno, si sono portati il provvedimento con cui l’autorità tecnica tedesca (competente perché aveva omologato i modelli coinvolti) ha ordinato il richiamo e il provvedimento sanzionatorio dell’Antitrust italiano confermato dal Tar.

Alcuni ricorsi hanno ipotizzato, spesso in alternativa rispetto alla pratica scorretta e con meno probabilità di successo (sono fattispecie giuridiche che riguardano solo il venditore, ignaro del software controverso installato dal produttore ), il difetto di conformità (articolo 130 del Codice del consumo) che prevede però a scelta del consumatore la sostituzione o la riparazione della centralina oppure, se non possibile o non effettuata, la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto. Altri rimedi sono l’annullamento del contratto per errore o dolo in quanto il consumatore sarebbe stato tratto in inganno dal produttore sulle qualità dell’auto (Euro 5 o Euro 6 come indicato anche dalla carta di circolazione), la risoluzione per inadempimento o addirittura la vendita di aliud pro alio (assenza di qualità promesse o essenziali all’uso, articolo 1497 del Codice civile, sempre con risoluzione), oltre all’eventuale risarcimento del danno.

Per la Corte di appello di Bari non c’è aliud pro alio perché il software per “truccare” la centralina del motore non avrebbe inciso su commerciabilità e funzionabilità del veicolo: non sarebbe un vizio così grave da legittimare la risoluzione del contratto, anche alla luce del richiamo per rimediare al difetto aggiornando il software, accettato in questo caso dalla ricorrente. Infatti, l’articolo 130 del Codice del consumo prevede tra le tutele alternative per il consumatore gli interventi riparatori che precludono la richiesta di risoluzione del contratto, salvo che comportino disagi eccessivi per il cliente.

La Corte non liquida neppure il danno in via equitativa, ritenendo necessaria la dimostrazione del pregiudizio da parte del consumatore. Per tale dimostrazione, i giudici di Bari richiedono una perizia, che nel caso di specie (richiamo effettuato) attesti l’inefficacia della soluzione tecnica trovata dal produttore.

Stesso orientamento al Tribunale di Monza, che inoltre ritiene il vizio lamentato non così grave da rendere inservibile l’auto, «utilizzata del tutto normalmente dal consumatore che non ha subito rischi attinenti al divieto di circolazione». L’automobilista aveva rifiutato la proposta di intervento della Volkswagen a seguito della procedura di richiamo. Ma il giudice non l’ha ritenuto un valido motivo per concedere né un risarcimento del danno in via equitativa né una riduzione del prezzo.

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