«Difficoltà a reperire il 40% delle assunzioni, formazione fondamentale per attrarre i talenti e trattenerli in azienda»
Il punto di Paola Boromei, responsabile risorse umane e organizzazione di Snam
di Simona Rossitto
5' di lettura
(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Il gruppo Snam, l’anno scorso, ha trovato difficoltà di reperimento nel 40% delle assunzioni, per carenza di candidati. Occorre dunque lavorare a monte, per trovare i talenti, e a valle per trattenerli. È la ricetta dettata da Paola Boromei, responsabile risorse umane e organizzazione di Snam, nel corso di un’intervista con DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore Radiocor e di Digit’Ed, gruppo leader nella formazione ee nel supporto alla crescita del capitale umano. E di fronte a un mercato del lavoro post Covid in profonda trasformazione, con i lavoratori che hanno altre esigenze e chiedono di trovare uno scopo in quello che fanno, la formazione «è una leva fondamentale» per fare restare i dipendenti più a lungo in azienda.
«C’è – dice Boromei - un obiettivo generale che sovrasta tutti gli altri: costruire una cultura purpose driven. Le nuove generazioni, e ormai anche quelle intermedie, hanno bisogno di sapere qual è il grande disegno a cui stanno contribuendo».
Il nostro mercato del lavoro è contrassegnato sempre più da un mismatch di competenze, da cosa deriva questo problema e come risolverlo?
Il mercato del lavoro oggi è influenzato dal declino demografico e dal contestuale sbilanciamento della struttura della popolazione aziendale verso fasce di età più anziane, che rende meno agevole l’incontro tra domanda e offerta. Ci sono due sfide per il mercato del lavoro che anche noi stiamo riscontrando: soddisfare il fabbisogno di lavoratori meno qualificati, segmento ancora rilevante nel mercato del lavoro italiano, e allineare alle esigenze delle imprese le competenze dei profili ad alta scolarizzazione. Ciò richiede un impegno congiunto da parte del sistema educativo, delle aziende, delle istituzioni e delle parti sociali. C’è un dato che forse può essere sufficiente a spiegare l’urgenza di azioni mirate e coordinate: nel solo 2022, infatti, in Snam circa il 40% delle assunzioni di gruppo ha incontrato difficoltà di reperimento, per carenza di candidati. Da un lato, dobbiamo quindi lavorare a monte, nel trovare talenti, ma dall’altro lato occorre anche impegnarsi a valle nel trattenere in azienda le persone qualificate, richieste - come tali - da un mercato altamente competitivo. Il sistema educante, rappresentato da scuole, università ed anche imprese, è a sua volta fondamentale, perché può creare un humus sinergico con il mercato del lavoro e le sue filiere, che generi valore di competenza secondo le richieste crescenti del mercato.
Le nuove tecnologi,e e l’intelligenza artificiale in particolare, impattano ogni settore economico, i rischi sono maggiori o minori dei vantaggi?
Da sempre lo sviluppo tecnologico coniuga rischi e opportunità. La sua recente accelerazione però è dirompente ed esige strategie più performanti, che per noi hanno soprattutto un nome, SnamTEC, il programma di innovazione con cui stiamo costruendo l’energy company di domani (TEC = Tomorrow’s Energy Company). Si tratta di oltre 50 progetti che mettono al centro le persone per dotarle di competenze e soluzioni tecnologiche e gestionali con cui perseguire, complessivamente, quattro diversi obiettivi: sicurezza delle persone, continuità dell’esercizio, salvaguardia delle cose e dell’ambiente e ottimizzazione dei processi. La formazione continua, in tutto questo, è la base, e il nostro Snam Institute lavora proprio in questa direzione, puntando molto anche sulla responsabilizzazione delle persone rispetto ai rischi della dimensione cyber. Ma non si tratta solo di nozioni: crediamo sia essenziale diffondere e condividere una vision che deve diventare patrimonio comune, bypassando le differenze generazionali affinché tutti partecipino convintamente al processo di trasformazione digitale. La realtà aumentata, solo per fare un esempio, non dev’essere prerogativa delle sole nuove generazioni.
Secondo alcuni dati di una recente ricerca dell’ente di formazione Digit’Ed, cresce anche in Italia il problema del job hopping, riscontrate anche voi questo fenomeno e se sì come contrastarlo?
La pandemia di Covid-19 ha lasciato una legacy importante sulla motivazione delle persone al lavoro, con impatti anche radicali sulle ragioni per cui scegliere un’azienda. Insomma: conoscere e soddisfare ciò che una persona “vuole fare”, offrendo percorsi ai suoi progetti di carriera, è importante, ma c’è anche molto altro. “Come” si lavora, ad esempio, è altrettanto fondamentale, perché da quello dipende la possibilità di sentirsi bene. Mi riferisco, fra le altre cose, alla possibilità di conciliare sempre meglio i diversi aspetti nei quali si articola la vita di una persona, dal lavoro alla famiglia passando per la salute, cercando così di allungare cicli di soddisfazione che tendono a esaurirsi in poco tempo. Sempre di più, inoltre, rileviamo l’importanza che le persone attribuiscono allo scopo, al purpose, per il quale si trovano a lavorare: inscrivere la propria traiettoria professionale nel solco di una causa importante aiuta a consolidare il rapporto con l’azienda in cui si lavora e Snam, da questo punto di vista, può mettere in gioco – come già sta facendo - il proprio ruolo per il Paese e l’Europa. Tutto questo dev’essere trainato da modelli di leader (e di leadership) positivi, rispetto ai quali l’esempio parla più e meglio delle parole, aiutandoci - nel solco di strategie via via più efficaci - a mitigare i fenomeni di “job hopping”, “great resignation” e “quiet quitting”. Il leader, in fondo, deve sì trasmettere il senso del dovere, ma deve anche trasmettere il dovere del senso, la necessità cioè di conferire significato ai compiti di ogni giorno: solo così potremo preservare, valorizzare e migliorare ulteriormente la qualità e i contenuti del lavoro svolti dalle persone, favorendone l’engagement, la soddisfazione e l’entusiasmo con cui affrontano l’acquisizione di competenze e conoscenze nuove, anche auto-apprese. La formazione è quindi una leva fondamentale, come mostra la ricerca Digit’Ed: i dipendenti che si sentono parte di un percorso di ‘enhancement’ e di formazione da enti riconosciuti tendono a rimanere in azienda più a lungo. Per questo, nell’ultimo anno, ci siamo impegnati in un progetto di evoluzione di Snam Institute verso una maggiore personalizzazione degli interventi, a beneficio della soddisfazione delle diverse esigenze e aspirazioni, in accordo coi responsabili delle diverse strutture.
Restando sul tema della formazione, l’Italia ha recuperato posizioni ma resta sotto la media europea e lontano dalle best practice come quella svedese, come recuperare questo gap?
È vero, l’Italia è ancora al di sotto della media europea per quanto riguarda il livello di istruzione della popolazione e la partecipazione alla formazione continua, ma il bicchiere è comunque mezzo pieno, perché il trend è in miglioramento e il livello di consapevolezza sta crescendo. Ormai è diffusa la percezione di quanto la formazione abiliti non soltanto competitività e innovazione delle imprese, ma anche inclusione sociale e coesione territoriale. Sull’istruzione tanto resta da fare ma le best practice non mancano, nemmeno in Italia. Una di queste, peraltro, ci riguarda da vicino: due anni fa, infatti, Snam ha avviato, in collaborazione con il ministero dell’Istruzione, il liceo quadriennale delle scienze applicate per la transizione ecologica e digitale (Tred), che integra, in un unico programma didattico, conoscenze umanistiche e conoscenze scientifiche del tradizionale liceo italiano, con un’attenzione particolare all’inglese e alle materie Stem, quindi scienze, tecnologie, ingegneria e matematica. Abbiamo coinvolto circa trenta imprese, quattro Università sponsor e 27 licei. Nel primo anno abbiamo avuto un enrollment di 500 studenti, e altri 500 sono entrati quest’anno. Trecento docenti sono coinvolti a loro volta in un programma formativo. Il 70% dei mestieri del futuro, del resto, richiederà competenze Stem, e il problema è che oggi in Italia non si arriva al 5% di ragazze che desidera intraprendere questo percorso di studi e al 20% di laureate. Ma come dicevo prima c’è un obiettivo generale che sovrasta tutti gli altri: costruire una cultura purpose driven.
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