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Digitalizzazione e lavoro, Abete: formazione permamente di qualità antidoto contro l'ansia

Oggi, dice il presidente della Luiss Business School, sono i lavoratori a chiedere formazione permanente. Lo smart working? Se sei un manager non lo puoi fare

di Massimo Frontera

3' di lettura

(Il Sole 24 Ore Radiocor) - L'impatto pervasivo della digitalizzazione nel mondo del lavoro combinato con l'acceleratore indotto dalla pandemia, è un trauma che sta modificando il mondo del lavoro a tutti i livelli, ma soprattutto tra i lavoratori che si collocano tra due fasce. La prima, molto ristretta, è composta da coloro che hanno funzioni di alta dirigenza e compiti strategici; la seconda, molto più ampia ed estesa, comprende le persone che svolgono servizi di utilità sociale. In mezzo invece appunto un'ampia a fascia di lavoratori, in buona parte dipendenti con "posto fisso" e contratto a tempo indeterminato. È proprio quella - ha spiegato Marco Magnani, docente alla Luiss Guido Carli, Istituto Affari Internazionali - la fascia su cui sta impattando in maniera più incisiva la digitalizzazione, non tanto e non solo nella meccanica e nella produzione, ma anche nelle professioni intellettuali, grazie all'intelligenza artificiale che si dimostra sorprendentemente competitiva rispetto all'intelligenza umana naturale. Un impatto che genera paure e ansie in chi pensa di poter perdere il lavoro, ma che produce anche un disorientamento tra chi sta studiando e si affaccia al mondo del lavoro. Il tema è stato al centro dell'incontro "L'economia digitale e le conseguenze sul mercato del lavoro", svolto al Festival dell'Economa di Trento, con l'intervento, tra gli altri, di Luigi Abete, presidente della Luiss Business School.

Da Capgemini Italia piano di 3mila assunzioni

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La buona notizia è che ci sono grandi imprese che si stanno preparando a massicci piani di assunzioni, proprio per attrezzarsi a cavalcare l'onda della digitalizzazione. Una di questa è Capgemini Italia, che ha annunciato un piano di assunzioni di 3.300 persone. Parlando del piano di assunzioni, il capo delle risorse umane di Capgemini Italia, Michelangelo Ceresani, ha dettagliato i profili che la società sta cercando. «Il piano di assunzioni corpose che abbiamo annunciato prevede una ricerca di vari profili: cerchiamo ingegneri informatici, economisti, matematici, tutto il comparto "stem"», cioè Science, technology, engineering and mathematics. «Guardiamo anche con molto interesse agli Its e ai diplomati», con fasce d'età che vanno dai maturandi di 18 anni ai laureati magistrali di 24-25 anni. «Nell'ultimo anno - aggiunge Ceresani, abbiamo incontrato più di mille diplomandi».

Formazione permanente, oggi a chiederlo sono i lavoratori

Sulla formazione di qualità come antidoto all'ansia e alla paura il presidente della Luiss Business School, Abete ha idee chiare. «Dobbiamo mettere tutti nella condizione di poter accedere a un livello formativo di "rango superiore", flessibile, e che consenta di vivere il cambiamento nel mondo del lavoro non con l'ansia ma con la fiducia», ha detto Abete. Sulla formazione permanente, il presidente della Luiss Business School ha segnalato il cambio di prospettiva secondo cui «una volta la formazione era un'esigenza delle imprese per mantenere le competenze del lavoratore che servivano all'interno dell'impresa. Oggi la formazione è opera dei singoli lavoratori, che non la fanno per fare escalation interna all'azienda ma per fare altri lavori, per accedere ad altre posizioni, oppure per fare gli imprenditori».

"Chi lascia il posto fisso non è pazzo»

«La formazione permanente - ha ribadito Abete - oggi viene dall'offerta, non più dalla domanda». In questo contesto, sempre secondo Abete, si spiega anche il fatto di lasciare il posto fisso. «Le persone che hanno il posto fisso e lo lasciano - ha detto anche Abete - non lo lasciano perché sono pazze, lo lasciano perché sono lucide». E ha spiegato: «non vivono il fatto di non avere il posto fisso assimilandolo all'aggettivo 'precario', ma assimilandolo all'aggettivo 'temporaneo' o 'autonomo'; perché se io ho consapevolezza delle mie professionalità - e penso di saper stare sul mercato non semplicemente nella logica di guadagnarmi lo stipendio ma in quella di fare cose utili agli altri e per le quali sarò remunerato adeguatamente - io non ho paura del vuoto».

Smart working? Non è per i manager

Anche in tema di smart working Abete non ha usato giri di parole. «Lo smart working - ha detto - non si può fare per tutti, chi è manager lo smart working non lo può fare: deve stare sul campo». «Chi è leader, mi dispiace per lui, ma deve stare sul campo - ha aggiunto -. La leadership è uno strumento se realizza collettività e inclusione». «Il ceto dirigente - ha spiegato - deve fare due cose: essere esemplare nella coerenza tra quello che dice e quello fa; e poi deve spiegarlo».…

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