la couture a parigi

Dior e Schiaparelli, l’alta moda risponde agli enigmi del nostro tempo

I giorni dell’alta moda nella capitale francese si aprono con l’esordio di Daniel Roseberry da Schiaparelli e l’emozionante conferimento a Maria Grazia Chiuri di Dior della Legione d’Onore. Valli convince scegliendo una mostra al posto della sfilata

di Angelo Flaccavento

4' di lettura

Il buio pesto alle dieci del mattino, e uno sferragliare - sonoro, nulla di più - di metropolitana newyorkese in un padiglione stuccato in rue Cambon: la tre giorni della haute couture si apre con il debutto dell'americano Daniel Roseberry alla direzione creativa di Schiaparelli. Trentatrè anni, dieci dei quali passati al fianco di Thom Browne, Roseberry si mette in gioco in prima persona, alla lettera: è la prima grande occasione, e si vuol far vedere.

Daniel Roseberry al tavolo da disegno fra i modelli creati per Schiaparelli (Photo by FRANCOIS GUILLOT / AFP)

Non sta nemmeno in backstage, infatti: c’è lui in mezzo alla passerella mentre le modelle incedono, chino al tavolo da disegno, come nei mesi in cui ha concepito il progetto in un piccolo appartamento vicino al Manhattan Bridge - ecco spiegato il clangore di treni. La visione dell’artista al tavolo è un clichè: di quelli che durano e che piacciono. Oggi però Roseberry vive a Parigi, ed è chiamato a dare nuovo slancio ad una maison dal passato leggendario e il presente esteticamente poco chiaro.

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Ha un punto di vista, ma il debutto va preso come tale: un primo tentativo, da mettere a fuoco con più chiarezza e nerbo, su tutti i fronti. Non è buona la prima, per usare una metafora filmica, ma non poteva essere altrimenti, perché Schiaparelli è un vero enigma: una maison che sfida e interroga senza dar certezze; una entità singolare cui la moderna ossessione per l'identità di brand non puó rendere giustizia.

Saggiamente, Roseberry rinuncia ai surrealismi di maniera, alle aragoste e alle scarpe in testa, ad esclusione certo dei serpenti al collo, delle lucertole alle orecchie e delle unghie finte usate come elementi di ricamo, per enucleare tre momenti topici e altrettanti segmenti di guardaroba, in progressiva escalation di liberazione fantastica: giorno, sera, tempo del sogno.

Schiaparelli (Photo by FRANCOIS GUILLOT / AFP)

Dal rigore della giacca maschile indossata su una guepiere che apre lo show, quindi, si passa alla sensualità degli abiti da sera che scoprono e coprono per arrivare in fine alle esplosioni spumose di colori e forme carioca. Difficile seguire il filo narrativo: il susseguirsi delle silhouette è improvviso, invero come gli scarti brutali nel plot di un sogno. La tecnica d'atelier, d'altro canto, non sempre segue l'idea, producendo risultati alquanto scolastici. Però, davvero, è un inizio. La bussola è puntata in una direzione, che ora toccherà impegnarsi per raggiungere, senza accademismi e rigidità.

È trasformata in un antro oscuro anche la sede storica della maison Dior al 30 di Avenue Montaigne. L'augusto palazzetto subirà presto una totale ristrutturazione, quindi quale momento migliore per ambientarci un intero show? Nessuna intusione da cantiere, nessuna parete abbattuta o non finita. Al contrario, lo spazio è smaterializzato e espanso dagli interventi dell'artista femminista Penny Slinger: immagini fotografiche di archittetture, paesaggi e presenze femminili, in bianco e nero, brulicanti per ogni dove, dai pavimenti ai soffitti, a suggerir visioni doppie di altre vite e di altri luoghi.

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In questo limbo sospeso, femmineo e spettrale, Chiuri, ispirata dalle riflessioni di Bernard Rudofsky sulla modernità degli abiti, intesi come oggetti che uniscono disegno e funzione, manda in scena una lunga elucubrazione sartoriale sul potere del vestito come forma architettonica da abitare, primo spazio occupato dal corpo. Il percorso la porta ad una semplificazione ancestrale, giù fino al peplo, che veicola una idea di donna cariatide, di matriarcato greco alla Irene Papas. Chiuri sintetizza il tutto in silhouette precise, rese solide dal nero che pervade la prova dall'inizio alla fine, rendendola simile ad un lamento o ad un funerale.

Dior (REUTERS/Regis Duvignau)

Le note scritte di accompagnamento sono come d'abitudine un florilegio composito, e non sempre coerente, di rimandi ad artiste femministe, saggi seminali, riflessioni critiche, ma davvero si tratta solo di pour parler surrettizio che rischia di sviare invece di illuminare. Gli abiti bastano: hanno presenza e forza, e parlano da soli. Come è un passo falso, in tema di abito come habitat, la casa di bambola di Penny Slinger trasformata in vestito sul finale: ovvia fino all'ingenuità.

Dior (Photo by FRANCOIS GUILLOT / AFP)

La prova, però, è una delle migliori per Chiuri e la conferma che i creatori veri sono quelli che lavorano sulle forme, perché il decoro, troppo spesso, è facile souvenir. È in ogni caso un giorno doppiamente speciale per il direttore creativo, al quale viene conferito il titolo di “Cavaliere della Legione d’onore” per il costante impegno a favore delle donne e della parità dei sessi. Una cerimonia breve e piena pathos, che è il riconoscimento della passione sociale di Chiuri. Passione esperita dentro una maison del lusso, certo, ma non per questo meno forte. Passione che da italiani ci rende orgogliosi.

Giambattista Valli (REUTERS/Regis Duvignau)

Giambattista Valli, in fine, opta per un format inedito: una mostra invece della sfilata, per portare gli spettatori più vicino agli abiti, per liberare fantasia e savoir faire al massimo livello. È una scelta felice, che non si traduce in nulla di pomposo o pretenzioso. La scelta dei capi è serrata, ed esalta il dna bifronte di questa giovane maison: la purezza della linea da un lato, il fremito fiorito dall'altro.

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