Dior porta ad Atene le sue dee atletiche e metropolitane
Fra i marmi dello Stadio Panathinaiko uno show grandioso che segna il ritorno della moda in presenza, esaltando l’artigianalità locale e l’attitudine sportiva delle donne contemporanee
di Angelo Flaccavento
3' di lettura
D'amblée, lo spoiler. Questa volta, poco di letterale. L'annuncio della sfilata ateniese di Dior per la collezione Cruise 2022 - la prima con una audience dal vivo dopo quindici mesi, perché finalmente si riparte - aveva generato plausibili attese di pepli e dee e serti di lauro e sandali e frecce e faretre e mitologie assortite. E invece no, anche se i pepli e le dee ci sono stati, con tanto di strascichi e volteggiare di auree frange, ma in scarpe ginniche.
Questa volta il contesto non influenza il contenuto, perlomeno non in modo ovvio: il direttore artistico Maria Grazia Chiuri sceglie la cornice magnificamente olimpica dello stadio Panathinaiko - quello delle prime olimpiadi, per intendere, con le memorie dei giochi classici e la meraviglia lapidea del marmo pentelico, bianco e segnato da secoli di storia - per parlare d'altro. Ovvero, di dinamismo e atletismo - il che visto il luogo è consequenziale, ma per Dior è un frisson di leggero cambio d’immagine - ma soprattutto di artigianalità legata al territorio e di coralità della creazione.
L'ossessione per il fare, il desiderio pertinace di scoprire tecniche prossime all'oblio e supportare coloro che le tramandano, così come di promuovere quanti inventano nuove lavorazioni, insomma la cura dell'oggetto sono il vero punto di forza di Chiuri, il segno potente che la distingue in un sistema affollato di pallidi figuranti. Basterebbe già questo: al di là di racconti sperticati e salti carpiati tra teoria culturale e femminismo - ultimamente, va detto, ridimensionati - a parlare dovrebbe sempre essere il prodotto. E i prodotti di Chiuri per Dior parlano schietto, tanto da aver già fidelizzato stuoli di donne dal generoso potere di spesa: sono immediati, fortemente riconoscibili, fanno subito status.
Le stesse clienti, di questa nuova collezione resort, vorranno fortemente, è facile prevedere, gli anorak con le stampe degli atleti dei vasi attici interpretate da Pietro Ruffo, le giacche e le borse ricamate da Aristeidis Tzonevrakis, i cappelli fatti con Atelier Tsalavoutas. C'è molto, anche troppo: la sfilata è gigante come lo stadio, e ricapitola diorizzandolo tutto un immaginario sportivo che va dal basket al tennis al racing alla scherma alla barca. I volumi sono ampi, con gli shorts che ricordano pantaloncini da basket; le classiche silhouette new look lasciano spazio a qualcosa di più deciso, androgino e metropolitano - con echi di Bottega Veneta nel gigantismo degli accessori e di Louis Vuitton nei tocchi di futurismo atletico.
Nel 1951, Christian Dior aveva sfilato al Partenone. Le foto dell'epoca sono un tripudio di abiti a corolla. Settant’anni esatti dopo, Dior torna ad Atene con uno spettacolo memorabile popolato di donne che non sono più bambole ma atlete volitive, con la pettorina protettiva e gli stivaloni. Gli abiti non costringono il corpo in un ideale statico ma lo liberano. L’abbrivio in avanti c'è, con un occhio, sacrosanto, a quel che vende - mai s'era visto un Dior cosí vario e desiderabile. Unica pecca, in questa occasione di brillante restart, il vestito cigno finale: poco utile alla narrazione, e, per quanto ispirato ad una foto di Marlene Dietrich del 1935, troppo simile ad una creazione di Marjan Pejoski che Bjork indossó a Cannes nel 2001, presto divenuto uno degli abiti più controversi nella storia dei red carpet. La controversia, ecco, non fa per Dior. Non adesso e non in questa cornice dopo uno spettacolo cosí esaltante.
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