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Diritti umani e catena di fornitura, Candriam accende i riflettori su 7 multinazionali

La società di gestione (144 miliardi di euro di patrimonio in gestione) ha elaborato un report su Procter & Gamble, Nestlé, Coca-Cola, Pepsico, Unilever, Reckitt e Danone

di Daniela Russo

(EPA)

3' di lettura

Cresce l’attenzione degli investitori verso il tema dei diritti umani e della supply chain del settore agroalimentare ma la disclosure delle aziende è ancora scarsa. Su 97 aziende del food & beverage valutate dall’Alliance for Corporate Transparency, solo il 3,2% ha reso pubblici i propri elenchi di fornitori appartenenti a catene di fornitura ad alto rischio. In questo settore, il 68,4% non fornisce nemmeno informazioni sulla struttura e sui rischi della propria supply chain. Se si guarda più specificatamente ai rischi per i diritti umani, solo il 30,5% delle aziende del settore food & beverage ha fornito descrizioni specifiche su questi rischi.

Caffè, cacao e olio di palma sotto la lente di ingrandimento

Per aiutare gli investitori a orientarsi in maniera sempre più responsabile, la società di gestione patrimoniale Candriam (144 miliardi di euro patrimonio in gestione) ha condotto una ricerca finalizzata proprio a indagare i livelli di tutela dei diritti umani nelle supply chain del food.

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Dopo una breve disamina del livello di disclosure attualmente fornito dalle aziende e sulle principali denunce di violazione dei diritti umani rilevate, Sairindri Christisabrina, Esg analyst – social investments and research, e Vincent Compiègne, deputy global head of Esg investments and research di Candriam, hanno utilizzato i dati Cdp Forest e i documenti aziendali di sette aziende di prodotti di consumo (Procter & Gamble, Nestlé SA, The Coca-Cola Company, Pepsico, PLC Unilever, Reckitt e Danone SA) per valutarne la dipendenza dei ricavi da determinate materie prime e valutarne l’esposizione ai rischi per i diritti umani.

I risultati dell’indagine

«Il settore alimentare ha fatto enormi progressi nella gestione e nella divulgazione delle pratiche relative ai diritti umani nelle supply chain – spiegano Christisabrina e Compiègne –. Tuttavia, le informazioni e la capacità di analizzare i rischi legati ai diritti umani rimangono una sfida per gli investitori. Oggi possiamo fare affidamento solo sul giudizio di ciascuna azienda per raccogliere informazioni sulle rispettive supply chain e per determinare quali informazioni vengono rese note e quali rimangono riservate. Manca una standardizzazione internazionale dei requisiti di rendicontazione».

Materie prime

Per esaminare la filiera di caffè e cacao, i ricercatori Candriam si sono soffermati su una delle principali aziende produttrici di beni di consumo legate a queste materie prime: Nestlé SA. Combinando i dati della supply chain che la società riporta sul suo sito web con i dati che l’azienda comunica a Cdp Forest, evidenzia lo studio, è possibile concludere che tra il 21% e il 30% dei ricavi dell’azienda nel 2021 dipende dal caffè.

L’azienda ha visibilità sui suoi fornitori di livello 1 – fornitori diretti della materia prima - e livello 2 - fornitori o subappaltatori dei fornitori di livello 1 - e rende pubbliche queste informazioni. «I fornitori di caffè di Nestlé sono concentrati in Vietnam, Brasile e Colombia. Questo ci dà un’idea a livello nazionale dell’esposizione al rischio settoriale, come il lavoro minorile in agricoltura, il lavoro forzato nel settore manifatturiero, e ci dà visibilità sulle normative nazionali e sui regimi di applicazione della legge per i fornitori Nestlé», commentano Christisabrina e Compiègne.

Dal 6% al 10% dei ricavi della Nestlé SA, invece, dipendono dal cacao. In base ai dati pubblici relativi alla supply chain, i maggiori fornitori sono in Costa d’Avorio (43%) ed Ecuador (36%): ne consegue un elevato rischio di manodopera infantile a causa delle condizioni di lavoro di questi due Paesi, «questo aiuta gli investitori ad agire anticipatamente e segnalare internamente le aree come un possibile rischio da considerare nel nostro monitoraggio», sottolineano da Candriam.

Olio di palma

L’olio di palma è un altro esempio di materia prima per la quale è possibile analizzare il rischio di violazione dei diritti umani nei vari livelli della supply chain. Sebbene si tratti di una materia prima altamente rilevante in particolare per P&G, Nestlé e Unilever, sembra esserci poca disclosure sui fornitori di livello 2 e oltre.

«Delle società analizzate, solo Reckitt attualmente rende noti i fornitori di olio di palma dal Livello 1 al Livello 3 e solo dall’1% al 3% dei ricavi della società dipende dall’olio di palma. – concludono Christisabrina e Compiègne –. Nestlé comunica i fornitori di livello 1 e 2, mentre Unilever PLC i fornitori di livello 1 e i frantoi di olio di palma, sebbene non sia chiaro se questi siano considerati di livello 2 o di livello 1. Unilever e Nestlé mettono a disposizione un elenco di fornitori sospesi o con cui non lavorano più. La consideriamo una buona pratica perché non solo ci rivela la posizione delle aziende in merito ai diversi fornitori ma favorisce anche la trasparenza della supply chain».


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