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Diritto alla sessualità dei detenuti, necessario un intervento del legislatore

A pochi giorni dal rinvio alla Corte costituzionale da parte del magistrato di sorveglianza di Spoleto della norma che vieta gli incontri intimi la Cassazione ritiene necessario solo l’intervento del legislatore

di Patrizia Maciocchi

(IMAGOECONOMICA)

2' di lettura

Sul diritto per i detenuti, anche sottoposti al 41-bis, di avere degli incontri intimi con i coniugi o i partner, deve esprimersi il legislatore. Ma ad oggi, non si può affermare, alla luce delle norme sovranazionali interpretate dei giudici di Strasburgo, che gli Stati membri siano obbligati a dotarsi di strumenti normativi utili a realizzare la sessualità in carcere. Con queste motivazioni la Cassazione ha respinto il ricorso di un detenuto al cosiddetto carcere duro contro il no del magistrato di sorveglianza ad incontri intimi con la moglie dopo il matrimonio avvenuto in carcere. La Suprema corte ha negato il rinvio alla Corte costituzionale - chiesto dalla difesa - della norma che vieta le relazioni personali, comprese le sessuali, tra detenuti e partner, limitando questa possibilità alla ridotta platea di reclusi che possono usufruire di permessi premio.

La legge delega inattuata

La sentenza della Cassazione arriva a pochi giorni dalla decisione di segno contrario del magistrato di sorveglianza di Spoleto che ha invece rinviato alla Corte Costituzionale la richiesta di un detenuto del carcere umbro di Maiano di avere colloqui privati con i propri familiari e, in particolare, incontri intimi con la propria compagna. La Suprema corte ha ricordato come nel 2012 la Consulta (sentenza 301), pur ritenendo inammissibile la questione di costituzionalità sollevata dal magistrato di sorveglianza di Firenze, aveva ammesso l’esigenza di una tutela sul punto, invocando un intervento del legislatore. Quanto a quest’ultimo è rimasto comunque inerte malgrado - fa notare la Cassazione - nella legge delega di riforma dell’ordinamento penitenziario 103/2017, all’articolo 85, fosse prevista una disciplina delle condizioni generali per assicurare il diritto all’affettività delle persone detenute. Il fatto che la previsione sia rimasta lettera morta è, comunque, per i giudici di legittimità, un’ulteriore prova dell’impossibilità di colmare, in via interpretativa, il vuoto legislativo.

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L’intervento del legislatore

Che il tema meriti l’attenzione del Parlamento - afferma la Cassazione - lo dimostrano gli atti sovranazionali e un approccio comparatistico: sono sempre di più gli Stati, che in varie forme e con diversi limiti, riconoscono «il diritto ad una vita affettiva e sessuale intramuraria». Riforme apprezzate dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo, che ha comunque escluso che la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e in particolare gli articoli 8 paragrafi 1 e 12, « prescrivano inderogabilmente agli Stati di permettere rapporti sessuali all’interno del carcere, anche tra coppie coniugate». Da qui l’assenza della violazione di norme sovranazionali che avrebbero imposto un rinvio alla Consulta. Tuttavia la Suprema corte insiste sulla necessità di un intervento del Parlamento non surrogabile. Perché non basterebbe ovviamente - precisano i giudici - una semplice demolizione della disposizione incentrata sul “controllo visivo”, ma occorre una disciplina dei tempi e dei modi per esercitare il diritto di cui si discute, che non può essere assicurata da altri che dal legislatore.

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