Disbrigo degli affari correnti: cosa può fare il governo dimissionario
«Le due gambe sulle quali poggia la definizione di affari correnti - spiega Massimo Luciani, ordinario di diritto pubblico alla facoltà di Giurisprudenza della Sapienza a Roma - sono la tutela dell’interesse nazionale e il motore a regime minimo del governo, al quale sono precluse scelte strategiche».
di Andrea Gagliardi
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Il Presidente della Repubblica, preso atto delle dimissioni del premier Conte, ha invitato il Governo a «curare il disbrigo degli affari correnti». Vi è, pertanto, continuità: il paese non resta mai senza un esecutivo in carica. Ma in pratica, che cosa può fare e cosa no l'esecutivo guidato da Conte in attesa del nuovo Governo? Il presidente del Consiglio il 20 agosto ha diramato una direttiva ai ministri, viceministri e sottosegretari di Stato, nella quale si puntualizzano alcuni punti.
Ad esempio il governo dimissionario «dovrà in particolare assicurare la continuità della azione amministrativa». Il Cdm sarà convocato «per l’approvazione degli atti urgenti» e «non esaminerà nuovi disegni di legge, salvo quelli imposti da obblighi internazionali e comunitari». Inoltre si potrà procedere solo con le nomine «strettamente necessarie perché vincolate nei tempi da leggi e regolamenti».
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«Le due gambe sulle quali poggia la definizione di affari correnti - spiega Massimo Luciani, ordinario di diritto pubblico alla facoltà di Giurisprudenza della Sapienza a Roma - sono la tutela dell’interesse nazionale e il motore a regime minimo del governo, al quale sono precluse scelte strategiche». Un tema quest’ultimo di «correttezza istituzionale». Senza dimenticare che si tratta di due principi che possono anche entrare in contraddizione. «È il caso - spiega Luciani - del nome da indicare alla Ue per l’incarico di commissario europeo entro il 26 agosto. Una decisione politicamente rilevante ma a mio avviso inelubile da parte del governo Conte».
L’espresssione affari correnti non ha una definizione giuridica vincolante. «Si riempie di contenuto a seconda della prassi e delle necessità del momento». In linea generale si «tratta non solo della ordinaria amministrazione ma anche della risposta a eventi straordinari come è il caso un sisma che rende indispensabile l’adozione di un decreto legge». Così pure rientra nella definizione di affari correnti la «presentazione di un disegno di legge di conversione di un decreto legge in scadenza» o «l’adozione un decreto legislativo, soprattutto nel caso in cui la delega è in scadenza».
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L’espressione si identifica comunque «in negativo». Il governo non può dare attuazione al suo programma di governo o implementare grandi scelte strategiche. «L’esecutivo non potrebbe ad esempio decidere di uscire dalla Ue o sottoscrivere un trattato internazionale in materia di immigrazione». Mentre è affare corrente «garantire l’erogazione degli stipendi ai dipendenti pubblici o fare fronte a una crisi aziendale».
Quanto alle politiche adottate e rivendicate da alcuni ministri, come quella dei «porti chiusi» da parte di Matteo Salvini, per Luciani la valutazione di questa posizione «non dipende tanto dal suo rientrare o meno nel disbrigo degli affari correnti quanto dal rispetto o meno del diritto internazionale. Una questione che sarà definita dalle autorità giurisdizionali che si stanno occupando di queste cose». Inoltre la nozione di affare corrente è troppo scivolosa per poter stabilire con precisione che cosa ci rientri e cosa no. E così «chi considera arbitraria la chiusura dei porti giudicherà quest’ultima fuori dal perimetro degli affari correnti. Mentre sarà opposta la valutazione di chi guarda a questa soluzione come adeguata a impedire l’immigrazione clandestina».
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Tornando alle nomine, il criterio di correttezza istituzionale suggerisce «estrema cautela». «C’è la nomina strumentale di chi vuole occupare una casella prima di andarsene via - conclude Luciani - e c’è la nomina essenziale perché c’è una scadenza internazionale come nel caso del commissario Ue».
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