Disciplina cinese per la trentina Aquafil che non si è mai fermata
L'azienda ha tarato le contromisure forte dell'esperienza fatta a Jiaxing
di Barbara Ganz
2' di lettura
C’è lo schema per l’utilizzo della mensa (una sola persona per tavolo, gli altri posti dovranno rimanere liberi. Tutto il personale deve essere girato dalla stessa parte. I tavoli singoli ai lati del locale non saranno utilizzabili), i cartelli con le informazioni generali (indossare la mascherina, mantenere la distanza) e quelle più specifiche mirate ai lavoratori (evitare di condividere la macchina, seguire i percorsi indicati). All’entrata della fabbrica viene misurata la febbre: se dovesse essere superiore a 37,5 C non si può entrare e ogni timbratura di ingresso vale come conferma quotidiana della dichiarazione di non sussistenza dei sintomi da infezione respiratoria per se stessi e i conviventi.
La trentina Aquafil - azienda trentina da più di 50 anni specializzata nella produzione di fibre sintetiche - ha tarato le proprie contromisure all’emergenza pandemia forte dell’esperienza fatta a gennaio, nella sede cinese di Jiaxing, 120 chilometri a sud ovest di Shanghai. «Quel sito serve il mercato asiatico, ma anche Australia e Nuova Zelanda: per questo ci siamo trovato in una situazione particolare, con la produzione in corso anche nei giorni in cui molte aziende erano ferme per il capodanno cinese - spiega il presidente Giulio Bonazzi - Abbiamo subito preso le misure necessarie, mascherine e distanziamento: teniamo conto che in quel Paese c’è una cultura favorevole a questo genere di protezioni, anche chi ha un semplice raffreddore si copre per non diffonderlo». Aquafil ha inviato in Cina mascherine e dispositivi in abbondanza: «La cosa curiosa è che, nel periodo successivo, dalla Cina sono ritornate a noi, visto che la situazione era cambiata». L’azienda ha filiali anche in Slovenia, Croazia, Inghilterra, America, e ha dunque visto il propagarsi dell’epidemia - e le successive contromisure - con gli occhi dei diversi Paesi. «Il sito croato ha provato a mandarci materiali di protezione, ma il governo ha bloccato tutto. La situazione più caotica l’abbiamo però vista in America».
Quanto alla casa madre trentina, mascherine e disinfettanti sono arrivato in anticipo sulle disposizioni nazionali: «Osservavamo alcuni operai togliersi la protezione appena fuori dal cancello, perché il problema sembrava lontano: putroppo non lo era affatto. Abbiamo rifornito i lavoratori e anche le famiglie, considerando che Arco di Trento è un luogo conosciuto per la cura delle affezioni polmonari: ci sono molte case di riposo e centri per le terapie, quasi in ogni famiglia c’è un operatore sanitario. Questo spiega la guardia tenuta altissima per non far entrare il virus in azienda; anche qui ha pesato l’esempio cinese, a ogni caso positivo finiva in quarantena non solo la famiglia, ma l’intero condominio». Per la produzione iniziale delle mascherine l’azienda ha mobilitato anche le sarte del paese: ora però si apre una nuova prospettiva. «L’impatto ambientale delle mascherine sarà devastante: abbiamo affidato a un centro di ricerca tedesco una analisi sui materiali che produciamo, per capire se potrebbero essere utilizzati per dispositivi di protezione lavabili, riutilizzabili e, infine, riciclabili», conclude Bonazzi.
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