commissione d’inchiesta sulle banche

Dissesto Carife, Pm: gestione commissariale non aggravò la situazione

di Redazione Online

2' di lettura

Nel giorno in cui i relatori depositano in commissione Bilancio al Senato un emendamento alla manovra che introduce un nuovo “Fondo di ristoro finanziario” per i risparmiatori che hanno subito «un danno ingiusto, non altrimenti risarcito o indennizzato», la Commissione bicamerale d'inchiesta sulle banche fa il punto sulla crisi della Cassa di risparmio di Ferrara. In audizione, i Pm dell’inchiesta per il crac dell'aumento di capitale di Carife spiegano che il dissesto della banca non fu aggravato dall'amministrazione straordinaria avviata nel giugno 2013 e durata oltre due anni, fino alla risoluzione della banca nel novembre del 2015.

Azione decisa dei commissari aumenta il passivo della banca
Analizzando i controrni di una delle quattro crisi bancarie al centro dell'inchiesta parlamentare, il sostituto procuratore Stefano Longhi afferma che i commissari nominati dalla Banca d'Italia a Ferrara, Antonio Blandini e Giovanni Capitanio, «quando prendono in mano la gestione della banca proseguono con la riclassificazione dei crediti in modo piu' deciso» rispetto ai manager dell'istituto con una riclassificazione a sofferenza sia degli incagli che dei crediti ancora classificati in bonis senza piu' esserlo. Un'azione che aumenta il passivo della banca. Sul tema risponde anche il sostituto procuratore Barbara Cavallo rispondendo a una domanda del senatore Mauro Marino (Pd) sul clima molto ostile registrato dal parlamentare a Ferrara nei confronti dei commissari Bankitalia. Secondo Cavallo è circolata sui giornali una notizia falsa sul commissariamento. «È stata diffusa l'informazione che nella sentenza di insolvenza della banca (emessa nel febbraio 2016, tre mesi dopo la risoluzione) ci fosse, implicitamente, l'indicazione che il dissesto fosse stato cagionato dal commissariamento. Non è vero. La sentenza questo a nostro avviso non lo dice».

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Nessuna prova del concorso in bancarotta della Fondazione Carife
I magistrati di Ferrara ricordano poi che i reati contestati per gli ex manager della banca, legati all'aumento di capitale del 2011, sono oggetto dell'udienza preliminare in corso a Ferrara dove si sono costituite parti civili Consob, Banca d'Italia, Deloitte, Cassa di risparmio di Cesena e Popolare Valsabbina. Con queste due banche ci furono sottoscrizioni reciproche di azioni per raggiungere in modo fittizio l'ammontare dei 150 milioni dell'aumento di capitale. Riguardo ai rapporti con la Fondazione Carife, che al momento dell'aumento aveva il 66% del capitale e non sottoscrisse la sua quota per mancanza di disponibilità, i due magistrati chiariscono poi di non aver trovato prove del concorso in bancarotta fraudolenta con la banca. La Fondazione Carife avrebbe dovuto garantire la copertura dell'aumento nel caso non si fosse raggiunta la quota dei 150 milioni ma Carife scelse di non esporla, optando per lo scambio fittizio di azioni. La Fondazione, spiegano Cavallo e Longhi, era informata sulla sottoscrizione dell'aumento e aveva l'interesse che il prezzo restasse alto per non essere troppo diluita. La Fondazione Carife, da parte sua, ha fatto ricorso al Consiglio di Stato contro la pronuncia sfavorevole del Tar rispetto all'impugnazione del decreto di risoluzione del Governo nei confronti della banca del novembre 2015.

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