maltempo

Dissesto idrogeologico, 9mila progetti ancora fermi

di Giorgio Santilli

Operazioni di soccorso a Livorno dopo l'alluvione (Ansa)

3' di lettura

Poche criticità italiane sanno rappresentare vizi e ritardi del Paese come il dissesto idrogeologico. Ogni tragedia che si ripete, l’ultima a Livorno, ce li ricorda. Il dato peggiore è sui progetti : il 94% dei 9.230 del piano antidissesto sono «non cantierabili».

Una cifra che fotografa meglio di ogni altra l’incapacità di un Paese che da quattro anni ha deciso, fortemente deciso, di recuperare un arretrato pesante fatto di disordine urbanistico e mancati investimenti e, tuttavia, non riesce a ripartire. Palazzo Chigi ha costituito una task force che lavora a pieno ritmo da quasi quattro anni, è stato varato un piano decennale contro il dissesto idrogeologico dotato di 10 miliardi di euro di finanziamenti Ue, nazionali e regionali (recuperando anche 2.260 milioni della vecchia programmazione), a dimostrazione di uno sforzo politico senza precedenti.

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Ma se quasi 9mila progetti risultano «vuoti» o almeno incapaci di produrre cantieri e lavori concreti entro 2-3 anni in quella che tutte le forze politiche considerano una delle grandi emergenze nazionali, vuol dire che Regioni ed enti locali riempiono i programmi di indicazioni generiche senza aver creato un parco progetti adeguati su interventi che si invocano da anni. Molte parole, molti annunci, tanta diatriba politica ma quando si tratta di passare a una progettualità che coniughi soluzioni e prospettive con la tecnologia e i vincoli territoriali, allora nulla si muove. È la paralisi. E non ci si può lamentare poi se la prima tranche del «piano città metropolitane» - stralcio prioritario del piano - ha prodotto finora una spesa poco oltre 70 milioni su 654 di dote disponibile.

Per anni si è denunciata la deficienza progettuale in tutti i settori e il varo del codice degli appalti - nel 2016 la prima edizione, ad aprile scorso la «correzione» - puntava a questo: mettere in gara progetti esecutivi e non più pseudo-progetti buoni per incassare i fondi ma non per avviare i cantieri. Far fare il salto progettuale all’Italia. Da anni, in tutti i settori, è chiaro che la principale carenza italiana è l’assenza di un parco progetti affidabili. Il codice appalti, però, ha nuovamente bloccato tutto, questo si è detto. E perché? Perché i progetti esecutivi pochissime amministrazioni pubbliche li hanno fatti, convinte che sarebbe stato meglio lo scaricabarile sul nuovo codice nel momento in cui fosse entrato in vigore. Così non si affronta il vero nodo: portare quel 94% di progetti «non esecutivi» a livelli più accettabili.

Ma anche le stazioni appaltanti che non hanno fatto progetti esecutivi hanno le loro buone ragioni. Non è possibile, infatti, affidare la progettazione esecutiva di un’opera se non è finanziata. Un pericoloso circolo vizioso: senza progetti non si prendono i soldi e senza fondi (completi) non si fanno i progetti. Se un dirigente forzava la mano rispetto a questo iter finanziando il progetto e la progettazione non portava al completamento dell’opera, rischiava di prendersi una causa per danno erariale dalla Corte dei conti.

Un'immagine della zona del canale industriale colpita dell'alluvione a Livorno ( ANSA)

Come rompere il corto circuito? La task force di Palazzo Chigi per il dissesto idrogeologico, guidata da Erasmo D’Angelis e Mauro Grassi, ha rispolverato una soluzione tentata in via sperimentale negli anni ’90. Si chiama «fondo di progettualità»: Palazzo Chigi l’ha inserita nel “collegato ambientale”, legge approvata dal Parlamento a fine 2015. Il fondo è stato approvato e dotato di 100 milioni per partire.

La soluzione è giusta ma nulla è accaduto finora. Lo testimonia una interrogazione di tre “big” del Pd nelle commissioni Lavori pubblici di Camera e Senato, Chiara Braga, Enrico Borghi e Raffaella Mariani. Chiedono al ministero dell’Ambiente quanto si sia speso del fondo. E la risposta è zero.

«Si è proceduto alla ripartizione regionale », dice il ministero, si sono inseriti nelle piattaforme competenti «elenchi regionali degli interventi suscettbili di finanziamento per la progettazione fino alla concorrenza di una volta e mezza per le risorse attribuite a ciascuna regione», si è conclusa per tutte le regioni «una prima fase istruttoria» di condivisione dell’elenco definitivo degli interventi (tutte meno Campania e Basilicata). Si sono «condivisi i rispettivi elenchi regionali degli interventi da sottoporre alla fase istruttoria successiva», mentre è in corso «la verifica dei presupposti per l’ammissibilità al finanziamento, previa verifica della relativa documentazione disponibile». Risultato: «Il trasferimento delle risorse avverrà nei prossimi mesi, una volta definita la seconda fase istruttoria».

Ovviamente la conclusione ribadisce la priorità del tema: «Ferme restando le informazioni esposte, in ragione dell’importanza che la tematica del dissesto idrogeologico riveste nel nostro Paese, rimane costante l’attenzione del Governo». Ma non era urgente?

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