Diversificazione, filiere corte e Industria 4.0 spingono l’export italiano post Covid
di Marco Fortis
4' di lettura
I dati del terzo trimestre 2021 hanno dimostrato chiaramente che quella italiana del 2021 è un’autentica ripresa, reattiva e solida su basi strutturali, e non un semplice “rimbalzo”. Infatti, è ormai un dato di fatto che Francia e Italia hanno fatto registrare nei primi tre trimestri del 2021 la più forte crescita acquisita del Pil tra le maggiori economie Ocse, l’organizzazione che raccoglie 38 dei Paesi industrializzati più ricchi del pianeta: +6,6% e +6,1%, rispettivamente. Ciò grazie a nuovi importanti progressi nel terzo trimestre dell’anno, +3% per Parigi e +2,6% per Roma, dopo quelli già messi a segno nel secondo trimestre (+1,3% e +2,7%, rispettivamente).
In particolare, se rapportato al primo trimestre del 2021, il Pil italiano è aumentato negli ultimi sei mesi del 5,3%, mentre quello francese del 4,4%: un modello “Dracron” che si sta affermando anche in economia.
Sono risultati in accelerazione che brillano rispetto alle recenti frenate di Cina (+0,2% il Pil nel terzo trimestre) e Stati Uniti (+0,5%), mentre a sua volta la Germania appare molto rallentata in confronto a Francia e Italia a causa della crisi delle forniture internazionali (che ha limitato a un +1,8% l’aumento del Pil tedesco nel terzo trimestre). Inoltre, rispetto alle ultime previsioni del Fondo monetario internazionale di ottobre, Francia e Italia, grazie alla sola crescita già acquisita nei primi tre trimestri, sono già oltre le stime per l’intero 2021 (vedi tabella). Più in ritardo rispetto alle previsioni dell’Fmi appaiono invece gli Stati Uniti, ma soprattutto la Spagna (che ha rivisto al ribasso i dati preliminari dei primi due trimestri), il Regno Unito, il Canada e la Polonia (le stime di crescita acquisita di queste ultime tre economie si riferiscono però soltanto ai primi sei mesi).
Dietro a questa sostenuta dinamica del Pil italiano ci sono i contributi importanti dell’edilizia residenziale e della ripresa del turismo e della spesa delle famiglie, ma soprattutto il boom della manifattura e dell’export. Molti, anche tra coloro che l’hanno sempre poco considerato, stanno scoprendo i pregi di un modello produttivo come quello del nostro Paese, che è estremamente diversificato e flessibile.
Come sono lontani i tempi in cui tanti affermavano che la nostra manifattura sarebbe stata travolta dalla concorrenza mondiale perché, questa era l’argomentazione prevalente, l’Italia non produce né Mercedes né iPhone o ha una bassa spesa “ufficiale” in R&S sul Pil (noi che facciamo innovazione non misurata a tutto campo).
Oggi, nel caos di una globalizzazione che i grandi del G20 faticano a governare e le cui reti internazionali di trasporti, approvvigionamenti e scambi sono state completamente sconvolte dal coronavirus, si intuiscono sempre più i vantaggi di un sistema manifatturiero come quello dell’Italia. Un sistema non dominato da poche grandi produzioni in serie e da poche grandi imprese, ma imperniato su centinaia di leadership mondiali in settori di nicchia e su una forte struttura di imprese medie e medio-grandi sorretta da una moltitudine preziosa di imprese più piccole dentro le filiere e i distretti. Un sistema con capillari reti di fornitura interne, meno vulnerabili di quelle globali, e con una miriade di competenze tecniche mai abbandonate perfino negli anni dell’euforia delle delocalizzazioni.
È il made in Italy, bellezza. Quel “calabrone” capace di volare dato sempre per spacciato, ma sempre più sorprendentemente vivo e competitivo. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) non c’entra, deve ancora arrivare… E, ovviamente, tutti coloro che hanno a cuore le sorti dell’Italia fanno affidamento sulla capacità di Mario Draghi di metterlo a terra con successo. Ciò al fine di dare al nostro Paese ulteriori prospettive per una crescita sempre più solida e sostenuta nel tempo, in continuità con la forte ripresa del 2021, che i successi della campagna vaccinale che il presidente del Consiglio ha meritoriamente accelerato hanno favorito, eliminando i rischi di nuovi lockdown e permettendo la ripartenza della socialità, degli spostamenti e dei consumi.
Ma l’Italia aveva già avuto un suo mini-Pnrr ante litteram: è stato il piano Industria 4.0, che deve ora diventare continuativo e strutturale perché molte nostre imprese più piccole sono partite in ritardo rispetto a quelle medie e grandi e devono ancora completare il loro ciclo di ammodernamento tecnologico-digitale e di rafforzamento competitivo. Da qui l’importanza anche del regolare rifinanziamento della Sabatini e del ruolo cruciale del leasing nell’acquisto di nuovi beni strumentali da parte delle Pmi.
Grazie a Industria 4.0 la manifattura italiana tra il 2015 e il 2018 è diventata più innovativa e ha enormemente accresciuto la propria produttività, preparandosi per nuove sfide. Sicché si è fatta subito trovare pronta sui mercati mondiali non appena la pandemia è venuta rallentando. I risultati del nostro commercio estero lo dimostrano in modo lampante. Infatti, nei primi otto mesi del 2021 l’export italiano è aumentato del 4,9% rispetto allo stesso periodo del 2019, cioè rispetto ai livelli antecedenti il coronavirus.
Mentre se si analizzano i dati più disaggregati, disponibili per il periodo gennaio-luglio, si ha una plastica evidenza della solidità di un modello manifatturiero altamente diversificato come quello del made in Italy. Infatti, su 352 prodotti Ateco a 5 cifre in cui si può suddividere al massimo livello di dettaglio il nostro interscambio con l’estero, nei primi sette mesi del 2021 ben 197 di essi avevano già superato o eguagliato i livelli di export precrisi del gennaio-luglio 2019, con incrementi spesso a due cifre. E altri 17 prodotti avevano quasi completamente recuperato tali livelli distandone ormai di meno dell’1 per cento. Dunque, ci troviamo di fronte a un boom dell’export italiano a tutto tondo, dai mobili alla meccanica, dai formaggi ai prosciutti, dal cioccolato ai vini e agli spumanti, dalla refrigerazione commerciale alla chimica, dal valvolame alle pompe, dalle macchine agricole alle mele e agli ortaggi, dalla meccatronica ai pullover, dalle piastrelle ai motocicli, dagli elettrodomestici agli apparecchi medicali.
Un risultato svetta su tutti, quasi a simboleggiare con la sua capacità di fondere insieme tecnologia, qualità e design, questa nuova verve di un made in Italy che è ormai pienamente diventato tutto Industria 4.0, perfino nella produzione di prodotti tipici come il Gorgonzola. È il risultato straordinario della nautica da diporto italiana, che nel periodo gennaio-luglio 2021 ha visto il proprio export di yacht e altre imbarcazioni crescere del 18,6% rispetto allo stesso periodo del 2019. E che nei 12 mesi terminanti a luglio 2021 ha toccato un nuovo massimo storico delle sue vendite all’estero di quasi 2,9 miliardi di euro.
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