Dolci e occulte persuasioni
di Alberto Mingardi
4' di lettura
La parola nudge è forse fra le più fortunate delle scienze sociali contemporanee. Le “spinte gentili”, con l’omonimo libro di Cass Sunstein e Richard H. Thaler, sono entrate un po’ ovunque nel lessico della politica, talora a sproposito. Ma in che misura il “paternalismo libertario” di Sunstein e Thaler è davvero libertario, e fino a che punto resta paternalismo?
I nudge conquistano la fantasia delle persone perché si fondano sulla necessità di correggere degli “errori di programmazione” che, pur senza essere Daniel Kahnemann, ciascuno di noi non fatica a ritrovare in se stesso. Sappiamo che spesse volte il “me stesso nel lungo periodo” ha una prospettiva diversa dal “me stesso nel breve”. È vero quando dobbiamo decidere cosa mangiare o bere o se fare esercizio fisico oppure no. L’aver passato un’ora in più a letto anziché andare a correre oggi ci sembra piacevole, ma quando ci confronteremo con la bilancia, fra qualche tempo, ci parrà una pessima scelta.
Non è un nudge Ulisse che si fa legare all’albero per ascoltare le sirene e non pagarne le conseguenze. Un nudge è un trucco, che porta il mio “me stesso” di oggi a convergere sulle preferenze del mio “me stesso” di lungo periodo, senza che venga meno la libera scelta.
I paternalisti hanno sempre immaginato di operare “per il nostro bene”. I paternalisti libertari operano “per il nostro bene”, badando a non farcene accorgere.
I nudge possono venire dal settore pubblico ma anche dal settore privato. In quel caso somigliano di più alla scelta di Ulisse, o almeno al sostituto low cost di un personal trainer. Pensate a tutte le applicazioni che cercano di stimolare esercizio fisico e alimentazione corretta, felicemente acquistate da consumatori che avvertono il bisogno di un sostegno per la loro imperfetta volontà. Valutare i nudge del settore privato è complicato: tendono a funzionare quando gli interessi del singolo beneficiario e del produttore di un certo prodotto sono allineati. In Nudge Theory in Action, utilissimo volume curato da Sherzod Abdukadirov, si cerca di fare i conti anche con questo fenomeno, in larga misura nuovo e di non facilie valutazione. Sia perché si tratta di nudge perlopiù figli di nessuno: sortiscono, spiega Steve Wendel, non dall’accurato disegno da parte di economisti comportamentali, bensì dalle suggestioni che uomini d’azienda traggono dai best seller che questo filone di studi ha generosamente prodotto (Thaler, Sunstein, Kahnemann, Ariely, eccetera). Sia perché, ad oggi, le analisi debbono per forza basarsi su qualche collezione di aneddoti.
Nel volume non mancano contributi molto critici verso il “paternalismo libertario”. Mario Rizzo ricorda che «gli assiomi di razionalità dell’economia neoclassica non sono prescrittivi, ma rappresentano gli elementi costitutivi di un determinato tipo di comportamento, utile a fini tecnici». L’economia comportamentale dovrebbe correggere alcuni vizi della teoria neoclassica: ma in realtà fa della razionalità che sta al centro di quella teoria il termine di paragone dei comportamenti umani. Il modello diventa una cosa diversa da ciò che dovrebbe essere: non una stilizzazione della realtà, bensì un metro di giudizio.
La componente paternalista, secondo Rizzo, finisce per avere la meglio su quella libertaria. L’idea originaria era proporre politiche alternative a quelle messe in atto tutt’oggi (per esempio, rispetto al proibizionismo delle droghe), e che fossero meno coercitive di quelle. Purtroppo l’esito è stato la costruzione di nuove giustificazioni a vantaggio di politiche coercitive. Rizzo fa l’esempio di un’azienda svedese, che produce snus, tabacco per uso orale assai meno rischioso per la salute di quanto non lo siano le sigarette, perlomeno secondo un vasto numero di esperti. Per quanto anche la Food and Drug Administration fosse d’accordo, rispetto all’inferiore pericolosità, non accettò che nella pubblicità si parlasse esplicitamente di comprovati minori rischi per la salute, come desiderava l’impresa. Proprio per considerazioni di paternalismo libertario: validare l’inferiore pericolosità di un prodotto a base di tabacco poteva spingere anche verso il consumo di altri prodotti a base di tabacco.
È un esempio solo all’apparenza periferico. Fin dove può spingersi il decisore, nel truccare le nostre impressioni, affinché il me stesso di lungo termine abbia la meglio su quello di breve termine? In che misura è accettabile che lo Stato faccia il “persuasore occulto”? Non è una questione da poco. Nel momento in cui presumiamo che una persona non sia davvero responsabile delle sue decisioni, perché a un certo punto conviene che sarebbe stato meglio prenderne altre, consideriamo solo il me stesso di lungo periodo un adulto responsabile, e non quello di breve periodo. Comportandosi di conseguenza, il decisore può ampliare di molto il proprio potere discrezionale.
C’è un prezzo, sottolinea Adam Thierer, che non si vede ma può essere ingente. Le persone imparano soprattutto dagli errori degli altri e qualche volta anche dai propri. Impedir loro di commetterne guasta un processo di apprendimento che dai guai dei singoli trae informazioni preziose per la società. Parafrasando Deng, sbagliare è glorioso.
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