Governo, salute e vita associata

Domanda di futuro dietro il dovere sociale della vaccinazione

di Giuseppe Maria Berruti

(Afp)

3' di lettura

Diciamo, e sentiamo dire, che la pandemia sta cambiando il mondo. Sta cambiando il nostro modo di vivere, sta cambiando i caratteri delle persone, sta cambiando il nostro rapporto con la legge. Io sono certo che sia così. Dunque provo a esprimere una mia percezione, riguardo a ciò che si sta verificando nella domanda di governo.

Non tutti vogliono essere governati, ovvero non tutti intendono l’esser governati allo stesso modo. Esiste da sempre una forte spinta a rifiutare il governo inteso come tecnica di organizzazione della vita associata, destinatario anzitutto di poteri coattivi. Titolare della forza. Esiste una spinta, antica, anche illustre, che concepisce la legge non esclusivamente come comando, ma anche come indicazione di comportamento. Questa spinta storicamente avuto il merito di opporsi alle leggi ingiuste, consentendo di rappresentare esigenze democratiche che la legge creata e gestita da chi democratico non era, ignorava. Ebbene, stabilito che è patrimonio comune la convinzione secondo la quale la legge è fatta per l’uomo, e dunque deve essere il risultato di una considerazione attenta delle sue contraddizioni e rifletterne anche le debolezze e le esigenze meno rappresentate socialmente, essa tuttavia, una volta emessa, è tale. Non consente di ridiscutere il suo esito. Governare significa decidere. La legge è la decisione di chi governa. Preceduta, questo è ovvio, da verifiche della sua intrinseca legittimità, alla fine è decisione politica. Autoritativa.

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Ora, la domanda di governo, intesa come forma diffusa di un’organizzazione credibile della vita associata in uno Stato, si sta affermando come elemento unificante di una decisa maggioranza di cittadini. Con una considerazione. Essa si rivolge alla totalità dei cittadini dopo aver filtrato attraverso la valutazione delle maggioranze sociali, le esigenze più diffuse. Giungendo a una soluzione che consente a una comunità di perseguire fini di varia natura, capaci però tutti di consentire di guardare al futuro. In questo senso l’adesione alla politica vaccinale mi sembra per l’appunto oggettivamente una adesione politica. Prima ancora che di tipo sanitario o prudenziale, mi sembra che il carattere massiccio della adesione sia un carattere politico. La scelta è quella di giungere in qualche modo a una vita capace di far esercitare la socialità in tutti i suoi caratteri. Non si tratta insomma solo del diritto alla salute. Si tratta di volontà di aderire a un programma politico, il quale promette, nel tempo, di raggiungere il massimo possibile della socialità.

Questo non vuol dire che i vaccinati possono in quanto tali dar luogo a un partito inteso nel senso della Costituzione della Repubblica. Vuol dire che di fatto, e senza mi pare che ciò sia stato preparato, l’accettazione della vaccinazione è diventato un elemento socialmente unificante perché afferma l’accettazione di una idea di Stato. Che importa doveri, prima ancora che obblighi. E prima ancora che diritti individuali. Mi pare che l’accettazione così massiccia implichi l’idea, tutta politica, di uno Stato che mette più avanti i doveri collettivi.

Questo è domanda di governo. Essa richiede che il governante dia luogo ad atti concludenti. Chi risparmia e tiene in banca oppure dentro partecipazioni finanziarie il suo patrimonio, grande o piccolo che sia, chiede che esso venga trattato così da consentire al suo titolare di perseguire un disegno di futuro. Il futuro non si costruisce senza un governo del presente che di quel futuro sia consapevole. L’articolo 47 della Costituzione con la protezione che assegna al risparmio in qualunque sua forma, vuol dire per l’appunto che la Repubblica protegge questa speranza, questa aspettativa, questa costruzione del futuro alla quale ciascun risparmiatore ha diritto di partecipare. E alla quale è funzionale che il governante governi.

La vaccinazione, il certificato che la accompagna e che a essa induce, stanno scoprendo la domanda diffusa di un disegno del futuro. Che è un disegno certamente opinabile. Ma altrettanto doveroso da parte di chi governa.

Nella storia vi è poco di immutabile. I suoi processi non danno mai luogo a situazioni di immutabilità. Tuttavia l’affermazione prepotente della domanda di governo delle cose, delle esigenze, quelle che ci sono quelle che ci saranno, mi pare destinata a durare nei sistemi politici democratici. Essa è rientrata con forza, in modo tumultuoso, nella vita delle nazioni attraverso la vicenda Covid. Che ha imposto decisioni rapidissime. A me sembra che questa rapidità e questa attività diretta o indiretta stiano favorendo un mutamento del modo nel quale la democrazia si conforma nel concreto.

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