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Don Ciccio alle prese con i labili confini tra il bene e il male

“Il prete e il killer” di Vitaliano D'Angerio, è un noir “atipico” e mediterraneo

di Marco Onnembo

3' di lettura

Non è facile capire chi è il vero protagonista di questo romanzo. Forse i sentimenti. Quella umanità di provincia che a certe latitudini è il collante invisibile che tiene insieme le storie degli uomini. Anche quelli in apparenza più lontani, come un prete e un killer, la vedova di un suicida e un maresciallo tignoso, un direttore di banca troppo zelante e un vescovo che non rinuncia ad essere un buon pastore.

Gli ingredienti di “Il prete e il killer” di Vitaliano D'Angerio sono ben mescolati. Ne scaturisce un noir “atipico”, mediterraneo, un romanzo che sconfinando dalla via stretta del genere si fa largo a spallate sul fronte della “denuncia sociale”, toccando registri tematici diversi e somigliando più al racconto breve che alla narrativa impegnata.

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Un suicidio

Tutto parte dal suicidio di Stefano D'Onofrio, il salumiere, amico del sacerdote Francesco D'Empoli, per tutti don Ciccio, e degli abitanti di Santa Giulia, il paese immaginario appoggiato sul monte Somma, il “cugino buono del Vesuvio”. Dalla omelia tenuta in occasione della funzione religiosa per quella morte, che per un suicida non sarebbe prevista, il sacerdote lancia un “anatema” contro la banca che ha negato la dilazione del prestito a Stefano. Insomma, dal pulpito parte tutta la storia, ma l'innesco è precedente.Stefano è un uomo buono che aiuta chi non può pagare i conti della salumeria. Ma è anche un uomo sopraffatto dai debiti, incapace di chiedere aiuto ai tanti amici che non lo avrebbero abbandonato, soprattutto perché i soldi li ha impiegati per salvare la vita del figlio affetto da una malattia rara. Un uomo che, forse, per eccesso di dignità ha deciso di mettere fine alla propria vita lasciando la moglie Angela ad alzare la saracinesca - che “ogni giorno si fa più pesante” - di quella piccola attività di famiglia.

Storia policentrica

In questa storia policentrica, dove il flusso di una vicenda umana scorre parallela a quella degli altri, si riannodano violenza e amore, tentativi di salvezza falliti - di un cattivo che vorrebbe “farla finita” con la sua vita da killer – e riusciti. C'è la morte, ma anche il riscatto postumo, perché nel romanzo è presente anche una trama invisibile: quella di chi cerca di fare la cosa giusta. A volte con successo, altre volte fuori tempo massimo.Non sono presenti atmosfere da hard boiled o da poliziesco metropolitano, non c'è posto per investigatori perspicaci o cocciuti. L'aria che si respira tra le pagine di D'Angerio fa flettere la vicenda verso “Il bandito e il campione” di De Gregori, del rapporto tra Sante Pollastri e Costantino Girardengo che tra verità e leggenda ha appassionato le cronache dei primi decenni del Novecento. A Santa Giualia, che “sembrava un paese senza storie da raccontare”, la cronaca prevale sul mito. Da queste parti bisogna sporcarsi le mani con la vita vera e l'epilogo oscilla dal tragico al consolante, perché i “buoni” ogni tanto devono pur vincere (grazie al sacrificio di altri).

Anche la figura di Don Cicco non ha nulla di “metropolitano”. È un prete coraggio di periferia più che di frontiera, affonda le sue origini da illustri testimoni della cronaca vera, che proprio tra le provincie di Napoli e Caserta ogni giorno non smettono di parlare, di denunciare, di combattere, più che da predecessori letterari. Ma, tutti, buoni e cattivi hanno in comune la voglia di cambiare. Come vorrebbe fare anche Carminiello ‘o ncaccaglio, killer della mala, amico di infanzia di don Ciccio che si trova coinvolto tragicamente in una storia di vendetta e amicizia. Perché dalle pagine di questo romanzo si capisce come il bene e il male a certe latitudini hanno confini labili, confusi, come se fossero linee che a volte si sovrappongono. Il romanzo si legge facilmente, scorre senza intoppi (questo è il suo punto di forza ma anche di debolezza), così come la trama – un po’ troppo scontata – che però non si perde mai in inutili complessità che sposterebbero l'attenzione del lettore dal suo “centro”. Forse i personaggi, soprattutto Carmine e don Ciccio, andavano esplosi un po’ di più, scavando nel profondo e cercando di capire il perché di scelte di vita diametralmente opposte. Ma, nel complesso, il romanzo è riuscito bene e l'umanità – vera protagonista della storia – emerge dalla prima all'ultima pagina.

“Il prete e il killer”, Vitaliano D'Angerio, BookaBook, pagg. 95, euro 11


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