Dondup punta tutto su jeans sostenibili e filiera trasparente
L’azienda, fondata nel 1999 e controllata dal fondo L Catterton, punta tutto su una filiera tracciabile e trasparente
di Giulia Crivelli
3' di lettura
La notizia principale, arrivata nelle scorse ore dagli Stati Uniti, è la presa di coscienza – forse tardiva, ma molto chiara – di un’associazione in grado di fare davvero la differenza, la Business Roundtable (si veda Il Sole 24 Ore di ieri), alla quale aderiscono circa 180 amministratori delegati di altrettante aziende dei più importanti settori, da Amazon e Apple a Visa e Walmart, passando per Jp Morgan, la più grande banca americana. Le società quotate, rappresentate dai ceo del Business Roundtable, danno lavoro direttamente a 15 milioni di persone e dal 1972 dettano una sorta di agenda all’intera corporate America e, per via indiretta, alla politica.
Per quasi 50 anni in cima a quell’agenda la Business Roundtable ha messo il profitto e la soddisfazione degli azionisti. Ora la priorità è cambiata: si chiama sostenibilità ambientale e sociale, cioè attenzione ai territori nei quali si opera e al pianeta nel suo complesso e, forse ancora più imparante, al benessere dei lavoratori. Priorità che in realtà fanno già parte della cultura di molte aziende americane (quotate e non, si pensi a Patagonia) e di altri Paesi. Tra queste ce ne sono molte anche in Italia, che hanno anticipato non tanto e non solo la nuova carta etica della Business Roundtable, bensì interventi legislativi nazionali ed europei. Aziende che si sono date codici di condotta e principi che non escludono la crescita di profitti e fatturato, ma la inseriscono in un quadro più complesso di valori.
Aziende sempre più diffuse in ogni settore del made in Italy e in particolare nel tessile-abbigliamento-moda, un’industria, per definizione, con un impatto elevato sull’ambiente e che produce una grande quantità di rifiuti (alcuni considerano gli scarti tessili la nuova plastica). Lunga premessa per introdurre il caso Dondup, azienda nata nel 1999 e specializzata in jeanswear, che negli anni ai cinquetasche ha aggiunto una linea completa di abbigliamento. In occasione della recente settimana della moda maschile di Milano, l’azienda guidata dal presidente (e azionista di minoranza) Matteo Marzotto e dall’amministratore Matteo Anchisi hanno presentato i dati 2018 e le strategie future.
«I jeans sono stati, fin dalla loro nascita, un indumento diffuso e amato da persone di ogni età, per gli usi più diversi – spiega Anchisi –. Allo stesso tempo, si è costantemente evoluto, sia nei tessuti sia nello stile. La svolta principale è stata l’aggiunta al cotone di percentuali variabili di fibre sintetiche, che hanno reso i jeans più morbidi, allargandone ancora la platea. Ora siamo in una terza fase della vita dei jeans e della filiera a cui appartengono, quella della trasparenza e sostenibilità».
Una fase anticipata e poi incoraggiata da aziende come Dondup, aggiunge Matteo Marzotto: «La sostenibilità è un percorso, ogni giorno si può migliorare, seguendo quello che possiamo definire anche sogno. Un sogno realizzabile però, della nostra azienda e sempre più dei consumatori, attenti ai comportamenti ambientali e sociali delle aziende da cui comprano o dove lavorano».
La sostenibilità ha un costo, si dice sempre. È vero, ma il presidente di Dondup sottolinea che (forse lo ha suggerito persino ad alcuni membri della Business Roundtable) i margini possono anche essere , almeno in parte, sacrificati, per non “scaricare” sui consumatori i maggiori costi legati a processi produttivi sostenibili. Un concetto sul quale è d’accordo il fondo di private equity L Catterton, che dal 2015 controlla Dondup. Soddisfatti della redditività dell’azienda (fatturato di circa 60 milioni e un ebitda del 26,7%) e delle strategie. Perché anche i fondi, evidentemente, non sono più guidati solo dalle logiche del profitto e del successo di breve periodo.
«Nel 2019 abbiamo presentato il progetto Detox, il cui obiettivo è di arrivare a una produzione tracciabile e trasparente – conclude Anchisi –. Ogni capo ha già o avrà una sorta di carta d’identità, che permette ai consumatori di sapere quanta acqua ed energia, ad esempio, siamo riusciti a risparmiare». Non apparirà sull’etichetta, ma ha sicuramente grande importanza, l’impegno sulla sostenibilità sociale e sul welfare aziendale di Dondup. Giova ricordare l’origine del nome del brand: i fondatori Massimo Berloni e Manuela Mariotti lo scelsero pensando a Mingyar Dondup, il cui credo si riassume nelle parole: «Tutti gli uomini sono uguali. Razza, colore e fede non significano nulla. Ciò che ha valore sono le intenzioni e le azioni di ciascuno».
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