Milano

Donne d’arte e di talento

La mostra “Le Signore dell'Arte. Storie di donne tra ‘500 e ‘600” è al Palazzo Reale fino al 25 luglio

di Ada Masoero

4' di lettura

Plautilla, Sofonisba, Properzia, Artemisia, Orsola, Lucrina: nomi che profumano d'antico e che fanno pensare a figure femminili chine su stuoli di figli o impegnate ad agucchiare o, nella migliore delle ipotesi, intente a suonare per diletto qualche strumento musicale.

Invece no, qui si parla di donne che, grazie al loro talento, seppero emergere nella società duramente maschilista del ‘500 e ‘600 (ma anche prima) diventando ottime, spesso eccellenti artiste. Ovvio che tutte avessero un gran carattere, ma da solo non sarebbe bastato. Come notava già Vasari, erano tre, allora, le vie per entrare in quell'Olimpo: nascere in una famiglia nobile e colta, che coltivasse i talenti delle figliole promettenti, come accadde alla cremonese Sofonisba Anguissola (1532-1625), oppure entrare in convento, come la fiorentina Plautilla Nelli (1524-1588) o, ancora, essere figlie d'arte, come Artemisia Gentileschi (1593-1653) e molte altre, che crebbero tra pennelli e colori.

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Palazzo Reale di Milano

Anna Maria Bava, Gioia Mori e Alain Tapié, curatori della mostra milanese Le Signore dell'Arte (realizzata da Palazzo Reale e Arthemisia con il determinante sostegno di Fondazione Bracco), come spiegano nei loro saggi in catalogo, documentati e avvincenti, hanno seguito la linea vasariana, muovendosi lungo quei tre percorsi. E hanno riunito oltre 130 opere di artiste di valore, alcune già note, altre solo oggi riportate in luce, da cui emerge anche un mondo di donne coraggiose e volitive, come la bolognese Properzia de' Rossi (1490-1530), lei addirittura scultrice (disciplina maschile quant'altre mai: Vasari non a caso le dedicò una “Vita”), che con il suo carattere spigoloso seppe imporsi nel cantiere di San Petronio anche a costo d'incappare in guai giudiziari.

Sofonisba Anguissola

Anche Sofonisba, i cui autoritratti giovanili ci restituiscono un volto angelico e delicato, seppe affrontare con grande forza d'animo una vita avventurosa, perché se dapprima fu l'ambizioso padre Amilcare a promuoverla tenacemente, inviando suoi disegni a Michelangelo, anzianissimo, che l'incoraggiò (inducendo così Giorgio Vasari a visitare «casa Angosciuola» a Cremona), lei, dai 27 anni in poi, prese a volare con le proprie ali, imponendosi grazie al suo solo talento nell'impettita corte di Filippo II di Spagna, tanto da ricevere dal sovrano una ricchissima dote quando, anni dopo, sposò l'amato Fabrizio Moncada, governatore di Paternò.

Madonna dell'Itria

Dove lei lo seguì e dove dipinse tra l'altro la grande pala d'altare della Madonna dell'Itria, in mostra. Morto lui, in un assalto di pirati, lei si risposò con il nobile ligure Orazio Lomellini che, dopo Genova, la condusse con sé a Palermo. E fu qui che, a un'età venerabile, Sofonisba ricevette l'omaggio del celebratissimo van Dyck, che la ritrasse.

Quanto alle monache (spesso monacate a forza dalle famiglie per non polverizzare il patrimonio, a tutto vantaggio dei fratelli), trovavano nei conventi delle vivaci officine artistiche, dove praticavano il ricamo (con cui creavano, nei paramenti, veri “dipinti” tessili), la miniatura e la pittura: in mostra, oltre ai lavori della citata Plautilla, sfilano dipinti di Orsola Maddalena Caccia (1596-1676) e di Giustina Fetti (Suor Lucrina, 1600-1651), monache ma anche “parenti d'arte”, essendo figlia di Guglielmo Caccia la prima e sorella di Domenico Fetti la seconda.

Artemisia Gentileschi

Loro anticipano dunque la schiera delle “figlie di”, la più famosa delle quali è oggi Artemisia Gentileschi, diventata una sorta d'icona protofemminista per aver avuto il coraggio, ammirevole, di denunciare a 18 anni il suo stupratore, il pittore Agostino Tassi, malgrado la reticenza del padre Orazio (che ne era socio e che, a dire di Baglione, era ugualmente brutale), e per aver poi intrapreso una carriera fortunata in pittura, sebbene dolorosa sul piano umano, perseguitata com'era da maldicenze velenose per le sue scelte di libertà, anche nei sentimenti.

Lavinia Fontana

Non meno felice la carriera artistica della bolognese Lavinia Fontana (1552-1614), figlia di Prospero, donna colta, talentuosa e astuta, che con le sue pale d'altare e i suoi dipinti da stanza, sontuosi e spesso maliziosi, spuntò compensi superiori a quelli dello stesso van Dyck. Perché astuta? Perché sposò un oscuro pittore affinché lui firmasse i suoi contratti (alle donne era precluso) e dipingesse gli abiti dei suoi effigiati. Non solo: lo canzonava pure, racconta, perfido, il Malvasia, dicendogli che «si contentasse fare almeno il Sartore, già che il Cielo non lo volea Pittore». Quanto all'altra bolognese, Elisabetta Sirani (1638-1665), figlia di Giovan Andrea, «nacque Femmina, ma d'effemminato altro non ritenne, che la corteccia del Nome» (è sempre Malvasia a parlare), come dimostrava con le sue eroine che, al pari di quelle sanguinarie di Artemisia, si vendicavano brutalmente dei soprusi maschili.

Giovanna Garzoni

Di tutt'altra pasta di Artemisia, di cui pure era amica, era Giovanna Garzoni (1600-1670), nata ad Ascoli Piceno, accademica di San Luca, brillante pittrice e miniatrice di tante corti, fra le quali, per cinque anni, quella dei Savoia a Torino. Fu la sposa di Vittorio Amedeo I, Madama Cristina, donna colta e raffinata, cresciuta alla corte di Francia (era sorella di Luigi XIII) a volerla a ogni costo a Torino, nel 1632, come «miniatrice di Madama Reale», pagandola quanto il pittore di corte Francesco Cairo (lui, per altro, autore di dipinti noiosi e penitenziali). A Torino Giovanna Garzoni realizzò preziose “nature in posa” e ritratti raffinatissimi. Poco è rimasto di questa sua produzione, ma in mostra ne figurano due esempi pregevoli: i ritratti postumi dei duchi Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele I, sottoposti in quest'occasione a sofisticate indagini scientifiche grazie alla Fondazione Bracco, che ha anche messo a disposizione il suo avanzato sistema d'imaging diagnostico.

Le Signore dell'Arte. Storie di donne tra ‘500 e ‘600, Milano, Palazzo Reale, fino al 25 luglio. Catalogo Skira

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