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Donne e lavoro, il quadro dell’Osservatorio Jobiri tra sessismo e gender pay gap

Ingresso e ricollocamento nel mondo professionale continuano a essere problematici. L’invito alle istituzioni: potenziare sistemi di welfare e di supporto

di Camilla Curcio

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5' di lettura

Parità di genere sì, ma (per ora) solo sulla carta. I dati dell’ultimo «Osservatorio sugli ostacoli e le discriminazioni contro le donne nella ricerca del lavoro», curato da Jobiri, parlano chiaro: per inserirsi nei circuiti del mercato professionale e costruire un percorso all’altezza delle aspettative (e delle competenze), le donne devono ancora fare i conti con ricatti, domande scomode e pregiudizi duri a morire. Scogli che, nella maggior parte dei casi, ne pregiudicano la carriera già a partire dal primo colloquio.

Un quadro preoccupante

I risultati dello studio, costruito sulle risposte delle 1053 donne (d’età compresa tra i 18 e i 25 anni) intervistate tramite questionario online, non fanno altro che confermare le criticità denunciate negli anni sul fronte dell’occupazione femminile, da un tasso di partecipazione alla forza lavoro che non accenna a incrementare a divari retributivi sempre più marcati, passando per le scarse possibilità di ambire a ruoli dirigenziali. Nonostante gli anni a servizio dell’azienda e l’expertise maturata.

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A ben poco serve il vantaggio conquistato nell’istruzione (il 23.1% delle donne ha una laurea contro il 16.8% degli uomini): in ambito lavorativo non riesce a contrastare l’impatto della riduzione delle tutele e la quasi totale assenza di sistemi di welfare, tendenze strutturali parallele che, inevitabilmente, rallentano e affaticano la transizione delle professioniste. Un obiettivo che, nella maggior parte dei casi, lavoratrici navigate e giovani leve alle prese con le prime esperienze sono costrette a raggiungere in totale solitudine, con le poche (e insufficienti) risorse mese a disposizione e senza poter contare sul supporto di scuole, enti di formazione, career service universitari o centri per l'impiego.

L’impatto delle emozioni sulla ricerca del lavoro

Confusione, solitudine e rassegnazione. Sono queste le sensazioni che, a giudicare dai dati dell’Osservatorio, prevalgono tra le donne nella delicata fase di ricerca del lavoro, condizionando negativamente le loro performance e la selezione di strategie da mettere in campo per portare a casa il risultato. Nel campione analizzato, il 71% delle intervistate si sente disorientata, il 69% sola e il 45% rassegnata e priva di speranze. Uno scenario reso ancor più problematico dall’impatto di emozioni impegnative come ansia, paura e rabbia, che sembrano bloccare rispettivamente il 45%, il 22% e il 16% delle voci, lasciandole in un limbo da cui individuare la strada per rimanere a galla è faticoso.

Il nodo delle discriminazioni di genere

Ma non è tutto. Nonostante gli allarmi diffusi negli anni e l’attenzione crescente al problema del sessismo, su processi d’assunzione e avanzamenti di carriera si staglia ancora l’ombra delle discriminazioni di genere. Al netto di conquiste sporadiche, le pari opportunità rimangono uno slogan e la strada che porta a trovare un lavoro allineato al proprio profilo è disseminata di ostacoli. Il trattamento di sfavore riservato alle donne, infatti, inizia in fase di candidatura, prosegue durante il colloquio e non accenna a sparire neppure alla firma del contratto: come si legge nel report, il 71% del campione ha dichiarato di aver avuto a che fare con annunci (peraltro illegali) dove il genere faceva da discrimine, il 46% non è riuscita a candidarsi alla posizione dei sogni perché vincolata a limiti di età stringenti e il 38%, invece, si è ritrovata a vedere normalizzati requisiti al limite del body shaming . Non solo: per quanto sembrino una cosa da nulla, anche gli errori di forma fanno la loro parte. E, tra un’inserzione e l’altra, non è raro trovare professioni declinate solo al maschile (fenomeno denunciato dal 33% delle intervistate) o form che, nella compilazione, richiedono la specifica del genere, come se fosse un dettaglio dirimente ai fini della valutazione (segnalato, invece, da un buon 30%).

La situazione non migliora quando ci si ritrova faccia a faccia col recruiter: nella conversazione, il 56% delle donne si è sentita messa a disagio da domande, esplicite o implicite, sulla sua vita privata e il 55%, invece, da una curiosità invadente rispetto a gestione e cura dei figli. Resta radicato il problema delle molestie: da commenti a sfondo sessuale a complimenti indesiderati, fino a contatti fisici inopportuni e promozioni scambiate con favori sessuali (un modus operandi segnalato, ad esempio, dal 12% delle candidate). Ultimo ma non per importanza, il fardello del gender pay gap : superare il recruiting e arrivare a un passo dal contratto, infatti, significa spesso dover valutare proposte di stipendio più basse e con meno benefit rispetto a quelle rivolte ai colleghi uomini (come riscontrato da una fetta significativa del campione, circa il 68%).

Tra gap di competenze e curriculum problematici

Ci sono poi elementi che, pur sembrando marginali, fanno la differenza. Presentarsi con un biglietto da visita costruito male o non avere le skill richieste può allontanare la meta e rendere tutto più complicato. Nell’analisi di Jobiri, ad esempio, accanto a gap di competenze dovuti a una scarsa formazione in fasi particolari della vita (come la maternità) o a una preparazione tecnica che non raggiunge il livello imposto dal datore di lavoro (quasi 6 donne su 10 non incrociano le abilità richieste), emerge che l’85% delle interpellate non è in grado di compilare un curriculum efficace, dimenticando di inserire le parole chiave, utilizzando formati difficili da leggere e promuovendo poco e male traguardi accademici e professionali.

Un ostacolo dovuto a una quasi totale mancanza di indicazioni nel corso della carriera accademica o nell’immediato post-laurea, che non preparano più di tanto neppure a reggere il confronto col responsabile delle risorse umane. Arrivare pronte e psicologicamente solide fa la differenza. E invece, nelle diverse fasi del recruiting, sono numerose le candidate che non arrivano sufficientemente informate sull’azienda (75%), che non si esercitano a simulare le domande dell’intervista (75%), che non riescono a dimostrare il giusto entusiasmo (55%) o che non investono tempo nel riflettere sugli aspetti da affinare (82%).

Supporto cercasi

Al netto di mancanze personali da colmare, però, in molti casi non si tratta di lacune attribuibili al cento per cento alle donne. Il sistema di supporto al mondo del lavoro, infatti, fatica a stare al passo con i ritmi della rivoluzione digitale e sono sempre più diradati gli investimenti dirottati sull'orientamento professionale. A partire dai servizi erogati da enti scolastici e universitari, sportelli lavoro e società che si occupano di reinserimento e ricollocazione. La quasi totalità delle intervistate (98%) ha notificato l’uso di software e banche dati inadeguate, il 79% l’assenza di un sostegno rapido a cui fare riferimento nei vari step dell’iter e il 47%, infine, una grave carenza di professionalità da parte degli addetti.

Le soluzioni papabili

Quali, dunque, le soluzioni da prendere in considerazione per restituire colore a una fotografia così catastrofica? Abbattere il gender gap, in linea con gli obiettivi segnati nell’Agenda di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Imparare ad affidarsi alla tecnologia, sperimentando soluzioni che possano aiutare a snellire la burocrazia e rendere prioritarie le esigenze degli utenti. Garantire solide opportunità di studio e crescita a professioniste in erba o già navigate. Favorire l’emancipazione indipendentemente da età, classe sociale o esperienza con sostegni utili a barcamenarsi tra in una quotidianità che richiede alla parte femminile presenza (e prontezza) in ufficio, nella gestione della casa o del business familiare e nel care giving a genitori anziani. Invitare le istituzioni a sviluppare network di supporto capillari ed efficienti, con servizi che accelerino ingresso o reintegro nei circuiti professionali. Migliorare la capacità delle donne di affrontare le continue rivoluzioni del mercato del lavoro, aiutandole a “maneggiare” a dovere il proprio talento e a sviluppare la consapevolezza giusta per diventare inattaccabili. O quasi.

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