disparità di genere

Donne penalizzate anche dalla pensione: negli assegni di vecchiaia superano gli uomini

Nei primi nove mesi di quest'anno il tasso di femminilità delle pensioni di vecchiaia (che si ottengono al compimento dei 67 anni e sette mesi) è schizzato fino a raggiungere quota 109. Significa che, a ogni cento pensioni di vecchiaia maschili, ne corrispondono 109 femminili

di Davide Colombo

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2' di lettura

La crisi economica seguita alla pandemia ha finora cancellato dal mercato 470mila posti di lavoro femminili, 323mila dei quali erano regolati da un contratto a tempo determinato. Il dato si ferma al secondo trimestre dell'anno ed è destinato a crescere, cristallizzando una delle più gravi diseguaglianze nazionali. In Italia le donne occupate con un'età compresa tra i 15 e i 64 anni sono il 48,4%, gli uomini della stessa fascia d'età il 66,6%. E il tasso di occupazione femminile italiano è il penultimo in Europa, dopo quello della Grecia.

Pensioni di vecchiaia, il sorpasso delle donne

Ma la penalizzazione delle donne sul mercato del lavoro si può leggere anche guardando a un indicatore che racconta le storie più fortunate (si fa per dire), quelle delle lavoratrici che sono riuscite nonostante tutto a completare la loro carriera fino a guadagnarsi la pensione di vecchiaia. Ebbene nei primi nove mesi di quest'anno il tasso di femminilità delle pensioni di vecchiaia (che si ottengono al compimento dei 67 anni e sette mesi) è schizzato fino a raggiungere quota 109. Significa che, a ogni cento pensioni di vecchiaia maschili, ne corrispondono 109 femminili.

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Lo spartiacque della riforma Fornero

Il tasso di femminilità delle pensioni di vecchiaia è stato sopra 100 (più donne che uomini) perlomeno per tutto il ventennio che ha preceduto la riforma Fornero. Prima il pensionamento con il requisito di vecchiaia delle donne era più basso e la riforma del 2011 lo ha improvvisamente allineato a quello maschile. Con il risultato che il tasso di femminilità delle pensioni di vecchiaia ha viaggiato sotto quota 100 per diversi anni. Fino al 2020, quando il riallineamento si è compiuto e lo svantaggio delle lavoratrici è tornato evidente. Per le donne guadagnare una pensione di anzianità è difficilissimo perché in poche riescono a mettere insieme una carriera contributiva senza interruzioni. L'anno scorso, per esempio, le pensioni di anzianità o anticipate maschili sono state 216.761, quelle femminili 111.700, meno della metà. Queste pensioni, oltre a essere più generose, consentono uscite anticipate rispetto alla vecchiaia fino a 6 anni per gli uomini e 4 anni per le donne.

TASSO DI FEMMINILITÀ (DONNE/UOMINI X 100) DELLE PENSIONI DI VECCHIAIA
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Quota 100 conferma la disparità

La sperimentazione di “Quota 100”, ovvero la possibilità di uscire con 62 anni e 38 di contributi, conferma la disparità tra uomo e donna. Finora sono stati 242.361 i pensionamenti ottenuti con questo canale aperto nei primi mesi del 2019, le donne si sono fermate a meno di un terzo (69.679). E i loro assegni sono in media del 25% inferiori a quelle del colleghi maschi. Quando il ciclo sarà concluso e nel 2022 avremo nuovi requisiti per i pensionamenti anticipati (verosimilmente con un'età minima tra i 63 e i 64 anni) le donne continueranno a vincere nella classifica più sfortunata, quelle delle pensioni di vecchiaia, perché quando non si riesce a difendere una carriera contributiva piena su un mercato asimmetrico e penalizzante, per prendere la pensione bisogna tirare avanti fino alla fine, fino all'età di vecchiaia, quando ce la si fa. E questo fanno le donne che lavorano in Italia, quelle più forti, competitive e anche fortunate. Le più vulnerabili, molto spesso, si fermano prima e aspettano per anni una pensione che, quando arriva, è più assistenziale che previdenziale.


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